I Marmi/Parte prima/Ragionamento settimo/Il Bizzarro academico Peregrino e l'Ardito
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Il Bizzarro academico Peregrino e l'Ardito.
Bizzarro. Da poi che io mi son fatto uno studio di quanti libri ho potuti avere, quasi quasi ch’io non ho dato la volta al canto. Ma chi non c’impazzerebbe? Oh e’ son pur diversi e varii i nostri umori! Dio ve lo dica per me. Credo pur che gli scrittori abbino il gran piacere a vedersi in mano a tutte le persone e dispiacere ancóra: chi ti strapazza, chi ti loda, chi ti biasima, chi t’invidia e chi si forbisce degli scartabelli nostri, per mettermi nel numero anch’io de’ guastalarte. Egli è pur ancóra un bel ridersi degli scrittori moderni (non tutti, qualche dozzina), che, assetati di questa fama, s’inalberano nell’immortalitá e urtano nella stampa al primo tratto e si tuffano nel mare delle chimere. Ma, perché son presi i passi, tolti i luoghi, e occupati i sederi, ciò è in tutte le scienze, professioni, materie, capricci, fantasticherie, amori, umori e pazzie è stato imbrattato fogli, e’ fanno come colui che, essendo invitato a banchetto, giugne quando egli è sparecchiato; onde va rifrustando e piluccando le cose malmenate da tutti, un boccon di questo e di quell’altro avanzaticcio, e cena, id est s’empie il corpo; se ben non son le cose in quella perfezione, stagionate, calde, condite e per ordine, non gli dá noia, s’attende a saziare il ventre. Pur che questi scrivani trovino de’ rimasugli, non dá lor noia nel far l’opere come le si stieno; basta colmare i fogli di parole. Quanti hanno scritto in materia amorosa? Mille millanta; e che non hanno fatto alla fine altro che spilluzzicare un poco di qua e di lá dagli antichi che presero i passi: buon per chi fu il primo, che trovò pastaccio da ficcarsi! Benedetto sia il Doni! almanco i suoi pistolotti inamorativi furon pur nuovo trovato. Che vi pare dell’umor di chi scrive i sogni? non è bella pazzia ancóra il far novelle e favole? far diventare un uomo un asino, e un asino un uomo? far de’ sassi similmente donne e uomini? convertire una femina in uccello, un maschio in un barbagianni? Oh che dolori colici debbono aver costoro nello stomaco, a farneticar sí fatte stravaganze! Passerá per savia zucca mai colui che fa favellar cani, lupi, elefanti, scimie, papagalli, moscioni, civette, testuggini e granchi in cambio d’uomini? Dicano di no costoro. Chi fa poi cicalare le mura? Fra’ capi rotti bisogna metterlo; altrimenti non s’avrá onore del fatto suo. Come può egli stare questo latino, che uno imbrattalibri si possi convertire, quando compone una comedia, in vecchio, in donna, in putto, in familio, in fante e in buffone a un medesimo tempo? — Oh con l’animo — mi direte — e’ vede con l’intelletto.— Son contento: può egli vedere quel che non è e imaginarsi ciò che non fu e non può mai essere? Non, crede il popolo; pure l’uomo s’imagina che le bestie favellino, negozino e sien savie savie come dottori e dottoresse. A questo, si dice che colui che se lo crede è una bestia lui, un pazzo, come sarebbe a dire. Madesí, un pazzo, se giá egli non avesse certi uomini per bestie e avessi fattogli favellare, come crede che sieno, da bestie. Ma quel metter savie cose in bocca loro, che son pazze, a che siamo? Vuol dire il testo che se le bestie sapessin parlare come sanno loro, che le sarebbon meglio assai di loro. Il favellare ancor qui da me solo su questi Marmi e rispondere io a me medesimo di che sa ella questa cosa? La pute di cervel leggieri; pensa se qualche uno mi vedesse quando io sono solo solo nella mia casa e ch’io leggo qualche cosa e rido da me da me! So ben certo che io sarei tenuto pazzo publico, quando mi vedessin secretamente, nel lègger l’opere di questo e di quell’altro ignorante, dirgli villania, dico a quel libro, come se vi fosse l’autor proprio in petto e persona. Quando io trovo uno che ricoglie da questo e da quell’altro autor goffo, io me gli vòlto con un dirgli: — Dappoco! castronaccio! se tu volevi rubare qualche cosa per comporre un libro, perché non manometter buoni autori? — E mi verrá un altro che avrá dato di naso nel buono e avrá rubato tanto goffamente che se n’accorgerebbono i bambini; e qui mi vòlto a costui a dirgli: — Sciocco dissoluto! tu non sarai mai da nulla. — Come rido io, quando mi viene opere di dotti fra l’ugna, che non si credano che altri che loro sappi quelle cose che sono in latino! Io, che sono dotto in vulgare, gli spennacchio di parole da maladetto senno; verbigrazia: — Va, attendi a dar lezione a’ putti; va, pratica inanzi con le persone e poi ti metti a far libri; egli non è cosa su questo tuo scartabello che non la sappino insino a’ zanaiuoli; arrogante, furfante! — eccetera. Degli «Opus» de’ pedanti non ve ne dico nulla. Oh se mi sentissino! Io gli rifrusto pure senza una discrezione al mondo: — Fatevi in qua, ser pedante — dich’io — chi v’ha fitto tal farnetico nel capo, a far gettar via tanta carta a’ librari? Perché avete voi impedito il luogo di qualche dotto componimento? Fatevi inanzi, pedanti gaglioffi! — e mi par esser loro attorno — accostatevi tanto che io vi giunga con questo carnato. Parv’egli, pedanti ignoranti, che si traducano i libri a questa foggia? avete voi a rubar sempre da questo e quell’altro autore sí spensieratamente? non sapete voi che Oficina Testoris non è da essere spogliata si malamente né la Poliantea da voi? chi v’ha insegnato a rifare i libri vecchi e tramutare il nome? Ah, pedanti, pedanti, pedanti furfanti! voi non volete attendere ad altro? — E, dando lor quattro calci nel forame, gli mando alla scuola, promettendo, se non mutan verso, di fargli castrare. Mai mi venne voglia di dir: — Fate da voi o componete un’opera di vostro capo — perché mi sarebbe paruto d’aver gettato via il fiato e il tempo; prima, perché non sanno, l’altra, nessuno non la leggerebbe. Come si dicesse: Opera del tale e del quale — Oh! oh! egli è pedante — madesí, che l’andrebbe alla salsiccia! E’ ci vanno quelle che fanno di rimescolamenti e ruberie da’ buoni autori latini cavate; pensate voi quel che farebbon le loro stiette, sbucate dalla semplice pedanteria! I rattoppatori degli altrui scritti mi fanno star mutolo un pezzo talvolta; e guarda questo libro e riguarda quest’altro, squadernane uno, squadernane un altro, scorri, considera, rimira e pon ben mente, io son forzato a star cheto e stringermi nelle spalle; e se pure non vo’ crepare d’ambastia traggo un sospiro e dico due paroline pian piano: — Oh poveri autori, in che mano siate voi capitati! — Un altro direbbe alla prima, non avendo quella pazienza che ho io: — Canaglia (che vi dovereste vergognare ad assassinare i libri a questa foggia!) che fa qua questa postilla? che allegazioni son queste? perché dichiari tu la sí fatta cosa con questo senso a rovescio? che comentaccio è questo? che allegoria, che fracasso, e che storpiamento ha’ tu fatto al povero autore? Va alla mal’ora! Scrivi del tuo e non rattoppare quel d’altri. — E se punto punto l’uomo s’incolerasse, dargli d’una mano sul mostaccio o fargli mangiar tutto quel libro assassinato dalla sua ignoranza. E’ mi par udir gente che dichino: — E’ dice il vero. — Quei libri che son senza nome dell’autore, o un nome finto, mi danno il mio resto; e l’ho caro, per non avere a dir nulla de’ fatti loro, né in lode né in biasimo. Lo Stucco, academico nostro, come e’ trova un libro che non sa di chi egli sia, l’ha per letto. Egli fia bene ch’io non passeggi piú sopra questi Marmi; io ho un pezzo anaspato da me solo come fanno i pazzi, ho ascoltato ancor qualche cosa: io me n’andrò a casa, perché io veggo che costoro son per starci infino a mezza notte.
Ardito. Non ti partir, Bizzarro, ch’ancora io son per venir via; aspettami tanto che io intenda quando questi signori vogliano dar principio alle materie ordinate e avisate, poi vengo.
Bizzarro. Ascolta; d’ogni cosa che tu cerchi, ti sodisfarò io; sí che non accade che tu vadia. Dimmi, che fai tu qua?
Ardito. Son venuto ad accompagnare un poeta forestiero, che ha portato una soma di motti fiorentini e vuol che qualche academico gne ne snoccioli; ed è venuto a posta per questo, come se gli fosse mancato fiorentini fuor di qua; perché le son cose che ogni minimo di loro le sa benissimo.
Bizzarro. Questo è quello che io ho udito dire ai Marmi, che lunedí sera vogliano cominciare a dichiarar non so che di regole di gramatica, di vocaboli, di detti, di motti, di sentenze: sí, sí, io ho compresa la cosa.
Ardito. Noi saremo, se Dio vorrá, ancóra noi a questa festa.
Bizzarro. Sí, oh egli è forza. Hai tu veduto la listra dell’opere nuove che si stampano ora nell’academia! Oh le son la bizzarra cosa!
Ardito. Se le son bizzarre, debbano esser tue.
Bizzarro. Non; le sono del Divoto, dell’Elevato, del Viandante, del Pellegrino e del Romeo: questi cinque barbassori hanno dato il lor maggiore; oh le son la dotta, ingegnosa e stupenda cosa! Io ti giuro che mai viddi piú mirabil dottrina e invenzione.
Ardito. Come l’hanno eglino battezzate?
Bizzarro. Io ti dirò: egli v’è nella cittá molte compagnie, e i nostri academici, per mostrare quanto obligo abbino a Dio per avergli amaestrati nella sapienza e per far conoscer l’amore che portano al prossimo, questa quaresima passata son iti a far certe dicerie per quelle scuole, ciò è compagnie, e hanno fatto cinque libri, un per uno, discorrendo tutto quello che si può mai sapere, e ogni cosa sopra il viver dell’uomo, a utilitá del cristiano e non ad altro fine. Tutte le materie che ha risolute la chiesa, non se ne favella, come coloro che piú tempo fa hanno stabilito in loro quello che ha risoluto il sommo pontefice: ma, vedi, le son cose sí belle, sí dotte e sí, ardisco dir cosí, divine, che si può poco poco migliorare.
Ardito. E’ mi sa male d’essere stato tanto tempo fuori dell’academia; pure il leggerle mi ristorerá. Le saranno adunque cose utili?
Bizzarro. Anzi ho per opinione che tutti gli uomini ne vorranno; dico, e l’affermerei con giuramento, che saranno dalla scienza, dal piacer dell’opere tirati a forza ad averne in casa.
Ardito. Che titolo dánno eglino a cotesti libri mirabili?
Bizzarro. Non sono ancóra fatti i primi fogli, ma io penso che gli chiameranno Elementi dell’anima o veramente La vita peregrina; e se non si risolvono, diranno Le prediche degli academici Peregrini.
Ardito. Questo titolo mi piace piú. Ècci egli altro di nuovo da far fuori?
Bizzarro. Mancano! Ma per la prima cosa, conoscendo d’esser debitori a chi sa e chi non sa, vogliono a onor di Dio giovare con queste e dilettare. Tu hai letti i Mondi, n’è vero?
Ardito. Si, ho, e pescatovi dentro anch’io.
Bizzarro. È vero; non mi ricordava che tu eri nella cittá in quel tempo. Cosí come sta il mondo massimo, cosí vi sono una parte di quelle dicerie: ma io stupisco che l’opere son tanto curiose, attrattive e leggiadre che pare impossibile; hanno spirito, ratto di mente e ti astraggono con gran contento dell’animo tuo.
Ardito. Ogni ora mi parerá un anno insino che io non le veggo. Ma ecco qua quel poeta freddo: ritiriamoci, perché sarei impianato seco tutta notte; andiamo a cicalare altrove.
Bizzarro. Sará ben fatto.