I Calabroni (Aristofane-Romagnoli)/Introduzione

Introduzione

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Aristofane - I Calabroni
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1924)
Introduzione
I Calabroni Persone della commedia

[p. 143 modifica]I Calabroni furono scritti probabilmente poco dopo l’elevazione dell’ indennità giudiziaria da un obolo a tre. Scopo principale della commedia è mostrare ai cittadini d’Atene, entusiasti di quel miglioramento, come i demagoghi, illudendoli e tappando loro la bocca con quell’offa, divorassero poi quasi per intero, essi coi loro accoliti, i tributi delle città alleate. La dimostrazione svolta nel contrasto da Schifacleone, ha la precisione di linguaggio, l’aridità d’un’esposizione finanziaria. Non so leggerla senza pensare ai versi d’Orazio (Sat. I, 4, 45): Idcirco, quidam, comoedia necne poema esset, quaesivere quod acer spiritus ac vis nec verbis nec rebus inest, nisi quod pede certo differt sermoni, sermo merus. Ma questa tagliente nudità dove impressionare, impressiona ancor oggi più di qualunque acceso volo d’eloquenza. S’aggiunge e concomita col primo fine la canzonatura della mania giudiziaria che aveva sempre, invaso gli Ateniesi. E [p. 144 modifica]n’esce Filocleone, il più bel tipo di fanatico cke abbia mai calcate le scene, al cui cospetto impallidisce persino l’indimenticabile antiquario goldoniano Anseimo Terrazzani. L’azione, che nella condotta è come un rivolto delle Nuvole — Schifacleone, su per giù, al posto di Lesina, Filocleone, di Tirchippide — è intelligibile senza commento. Solo bisogna badare che la scena del cane è a chiave. Altrimenti può sembrare una puerilità. Essa è una specie di apologia, o, almeno, difesa di Lachete. Lachete fu spedito dagli Ateniesi il 424, capitano della flotta, in Sicilia. Qui badò più al proprio interesse che a realizzare in qualsiasi modo gli ambiziosi sogni di dominio degli Ateniesi: onde fu richiamato e sostituito; ma non punito. Quando Aristofane scriveva i Calabroni (423-22), gli affari di Sicilia doveron tornare a galla; e Cleone avrà ripreso 1 accusa contro il comandante che aveva tirato l’acqua al suo mulino. Nella commedia, il cane Labete (dal tema lab, pigliare) è, naturalmente, Lachete. Il cane accusatore è Cleone. L uno e l’altro sono oriundi di Cidatene; e le accuse che il difensore di Labete scaglia contro la bestia pigra e rumorosa son quelle per l’appunto che Aristofane lancia di solito all’odiato demagogo. Che poi il nostro commediografo simpatizzasse con Lachete, si spiega senza tirare in ballo parzialità partigiane. Ai suoi occhi era già un merito essere accusato dal conciapelli. E poi, sebbene li canzonasse, Aristofane non odiava questi soldatacci, come Lachete e Lamaco, che fanfaroneggiavano forse, ma all’occasione sapevano morire in campo. E Lachete cadde infatti pochi anni dopo a Mantinea, non ignobilmente. La condotta scenica della prima parte è perfetta: non c è che ammirarla. La seconda merita una speciale considerazione. [p. 145 modifica]Essa non ha più alcun rapporto con la prima. Filocleone ha dimenticato affatto il suo fanatismo, ed è rimasto un puro e semplice Pulcinella, non d’altro vago che di sconcezze e buffonaggini. Poi, la prima scena è un travestimento, motivo comico di carattere eminentemente popolare. Poi si va a pranzo. Mentre i convitati sono adunati nel simposio, Sosia esce all’ improvviso, appunto come uno di quei servi convenzionali ricordati nella Pace, urlando per le busse ricevute, e usando un’espressione ben degna di quelli: Oh tartarughe fortunate per la vostra pelle... Filocleone fa un’uscita fanfaronesca, che devesi anche annoverare fra i buffi motivi diletti alla farsa: ha bastonato e minaccia di bastonare quanti incontra, recita versi e canzoncine, squassa una fiaccola, leva alte grida di gioia, come il vecchio della farsa canzonato nelle Nuvole. Il Coro fa prima un’uscita perfettamente indipendente dall’azione, poi uno di quegli oziosi commenti ammirativi il cui carattere tradizionale abbiamo dianzi rilevato (voi. I, p. 7). Non manca la solita sfilata, in persona dei tre ridicoli figliuoli di Grancino; e bisogna confessare che è proprio un’appiccicatura. E la danza a cui Filocleone sfida tutti i volenterosi, e nella quale “la gamba coi calci tocca il cielo», che altro può essere, se non il lórdax, il trescone tanto biasimato nel citato luogo delle Nuvole? Si aggiunga che un simposio è il tenue ordito su cui vengono tramate le varie scene, e che il complesso di queste raggiunge su per giù i 300 versi, quanti un’antica notizia ne tribuisce ai più vetusti ludi scenici; e

facilmente ci persuaderemo che questa seconda parte dei CaAmtofane - Commedie, Il - IO. [p. 146 modifica]


calabroni, interamente disimpegnata dalla prima, alla quale tien dietro giusto come una farsa a una commedia, ci presenta una immagine della commedia di piazza quale fu nei primi momenti
del suo congiungimento col Coro falloforico.