Guida di Castiglione dei Pepoli/X
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X.
Il Castello Baronale
Maestoso e severo, sul lato sud-ovest della Piazza, sorge l’antico castello feudale, la cui parte più importante è un ermo, vasto troncone di torre, con assai elevata scarpa, costruita nel secolo XIV, dopo la distruzione dell’antica ròcca per opera dei Bolognesi, modificato in appresso, più volte, e specialmente nel secolo XVI. Vi si veggono ancora le troniere e le feritoie per le colubrine e le spingarde, pronte alla difesa. Nel mezzo al torrione v’ha un pozzo interrato, che il volgo crede ostinatamente sia stato un trabocchetto perchè non sa figurarsi un castello baronale dei secoli scorsi senza quegli agguati leggendarii, irti di lame acute e taglienti, per mezzo dei quali il perfido sire accomiatava da sè e dal mondo gli ospiti esecrati.
Di fronte alla facciata nord di questo fortilizio, vi sono due fabbricati paralleli tra loro, posti a tal distanza l’uno dall’altro, chè vi intercede un ripiano assai ampio.
Il fabbricato a ponente è il più antico, per gran parte in buona pietra battuta: è per questo scarpato. Fu costruito, a quanto si pare dal sistema architettonico, dalle tradizioni e dalle cronache, nel sec, XVI: si chiamò fino a questi ultimi tempi «Palazzo della Ragione» dagli ufficii, che vi si esercitavano. È unito alla torre mediante un bel cavalcavia, detto «Voltone» e nei suoi bassifondi vi erano delle carceri, che possono vedersi ancora, orride, squallide, tenebrose, degne dei tempi.
Rimpetto a questo v’ha un altro fabbricato «La Palazzina» dimora preferita dai dinasti, che qui vennero in tempi più calmi. É unita per mezzo d’una muraglia, alla torre e nel suo fianco sulla piazza, si veggono ancora i vestigi dello stemma baronale, fatto ricuoprire dai francesi invasori — in nomo della libertà, della uguaglianza, della fraternità....
I due fabbricati uniti, a nord, da una muraglia già merlata, formano un’assai ampia corte, cui si accede per un ingresso, tra la Palazzina e la torre, detto il Portonaccio.
Questa era la corte baronale e servì per secoli, di Campofranco, ai gentiluomini, che vi si recavano da ogni parte a duellare. I Pepoli gli accoglievano e davan loro ogni sicurezza, in ossequio alle leggi per quanto assurde, della cavalleria1.
Veramente nella corte baronale — il Campofranco — stonava maledettamente, col palazzo della Ragione, posto davanti!2 Antico palazzo Pepoli, sede del Municipio Palazzo Comunale da ovest
Sui merli della torre si dava un giorno ai venti il vessillo feudale, portante una scacchiera a quadretti bianchi e neri: su per giù, lo stemma di Pistoia. In questo torrione dovettero avere albergo nei primissimi tempi i dinasti, dappoi le guardie comitali, i famigli, i ferrovieri. I feudatarii passarono a risiedere, in appresso, nel Palazzo della Ragione, finchè in tempi più quieti, non ebbero fabbricato la Palazzina.
I tre poteri, legislativo, giudiziario ed esecutivo si cumulavano, quasi esclusivamente, nel feudatario e di qui la necessità per lui, d’armi, d’armati, di giudici ossequenti, di luoghi di pena: strumenti tutti indispensabili alla divina Astrea.
Nell’antico fortilizio eravi un Oratorio dedicato a S. Agata, la Martire Catanese, protettrice dei Castelli; di questo rimane, unico ricordo, un dipinto rappresentante S. Stanislao Kostka: si conserva alla Chiesa parrocchiale.
Ora, la parte più antica del fabbricato contiene le carceri mandamentali, l’abitazione del custode, l’ufficio telegrafico e postale, più una porzione adibita per vari uffici comunali, una sala pel circolo in cui si riuniscono a lieti ritrovi i maggiorenti del paese, e la sala dell’Osservatorio metereologico3.
Si entra nel cortile, di cui già parlammo, del palazzo, per un vecchio portone detto «Portonaccio».
Le due parti più antiche del Castello, ben distinte, son riunite mediante un bell’arco, antico detto il «Voltone» con sopra un corridoio. A destra abbiamo il cosidetto palazzo della Ragione.
La stanza d’ingresso di questo è quadrata, coperta d’un soffitto a dadi bianchi e neri, — lo stemma dei dinasti — ed a mezzo havvi una vasta scalea per cui si accede all’interno4.
Le sale del palazzo son coperte da un soffitto in legname — abiete secta — adoperato a profusione, testimonianza anche questa dell’innumera selva d’abeti, che dovettero frondeggiare in queste convalli. Vi sono stanze spaziose, secondo il costume dei nostri antichi, ma non offrono gran che di notevole.
V’ha una sala, che è detta «degli specchi:» questo nome le fu dato forse per le riquadature a stucchi, che tuttora vi sono, o meglio, perchè i ricchi feudatari l’avean decorata coi tersi preparati cristalli di Boemia, o del men rinomato Murano.
Tradizione non lontana parla ancora del fasto della piccola Règgia e delle ricchezze accumulatevi.
Si narra che i malaccorti, rudi montanari, insorti contro la signoria francese, vi facessero man bassa nel 18095.
Sulla porta della sunnominata sala si vede l’unico della famiglia Pepoli, qui rimasto: è quello del B. Niccolò, che professò Pandette allo Studio di Bologna, nella prima metà del secolo XIII6.
Non è stato poi tanto tristo il fato di questo palagio baronale.... Ove vissero i Vicari del Cesare alemanno, non tiranni, ma paesani ed osservatori delle sanzioni feudali, amministrano oggi le cose del Comune i rappresentati del popolo, devoti alle leggi ed alle istituzioni della patria.
⁂
L’antico edificio appartiene adesso, intieramente al Comune, perchè gli cedette ogni suo diritto su quello, il Marchese Gioacchino Pepoli, che memore dell’affetto portato dai buoni montanini ai suoi avi, e dell’amore e della stima di cui circondavano Lui, volle mostrare con tale atto benefico la propria riconoscenza. Alla vista, al ricordo di questi monti — alla sua fervida immaginazione dovettero riaffacciarsi, come in un caleidoscopio, i tempi fortunosi nei quali la sua famiglia, cacciata in bando, cercata a morte, trovò rifugio, ostello, salvamento in queste balze...
Per onorare la memoria dell’uomo benefico, due righe biografiche. Pur troppo, il tempo è gran nemico anche ai nomi grandi!
Gioacchino Pepoli nacque in Bologna il 10 Ottobre 1825 dai M.se Guido Taddeo e dalla Principessa Letizia Murat, figlia dell’eroico e sventurato Re di Napoli, che, a Pizzo di Calabria, pagò la sua fede nella gratitudine dei popoli, e il fio d’un idea, serotina, è vero, ma nobilissima. Sia lode all’animo buono dei Pontefici, che perseguitati un giorno dal pallido Còrso dagli occhi d’aquila, offersero ai suoi asilo sicuro; mentre nulla ebbero, o quasi dai potenti coi quali il gran Condottiero ebbe il torto, il debole d’imparentarsi. Ne fa testimonianza il Duca di Reicstadt, il suo figlio infelice!
Oltrechè congiunto coi Bonaparte, come figlio di una Murat, cugino in 2° grado di Napoleone III — il quale, quasi solo, in Francia fu vero amico d’Italia — il Pepoli era legato di parentela anche con varie delle prime famiglie germaniche, avendo sposato una sorella del principe d’Hohenlhoe. Questo, eziandio, conferì a renderlo accetto alle Corti straniere, utile strumento alla patria.
Ebbe educazione adeguata alla sua nascita, al suo ingegno, al suo cuore, e vi corrispose degnamente.
Capo della Guardia Nazionale nelle giornate perigliose del 1848, respinse gli Austriaci, che irrompevano sulla città natia. Dopo essersi adoperato a ben disporre Napoleone III in favor d’Italia nel 1859, fu de’ primi sollevatori della Romagna per l’annessione al Piemonte. Oramai i tempi eran maturi.
Fu Ministro delle Finanze, poi degli Affari Esteri nel Governo provvisorio delle Romagne. Fu deputato al primo parlamento italiano, commissario straordinario nell’Umbria — e vi fece buona prova; — Ministro d’Agricoltura e Commercio con Rattazzi nel 1862; ministro d’Italia a Pietroburgo nel 1863, a Vienna nel 1863.
Appartenne poi, e ben degnamente, al Senato, e de’ suoi discorsi, pronunziati, è celebre quello in cui, nel 1866, spronava a romper, senza indugio, la guerra all’Austria e a farla bene, per rivendicare alla Madre Patria le provincie irredente.
Ingegno pronto, versatile, fecondo, oltre a lavori economici e politici, produsse varie opere drammatiche7.
La caratteristica però, che lo distinse in modo speciale fu l’affetto che pose nelle classi operaie, per le quali non guardò a dispendï, a studï a fatiche e per le quali lavorò e pensò fino all’estremo della sua vita.
Studiando il carattere del popolo, giudicò esser giunto il momento di prepararlo a migliori destini, coll’istruirlo e coll’educarlo, per farlo capace di raggiunger la mèta. Ma non solo pensò..... al pensiero fu compagna l’azione8
Come Senatore del Regno ideò e propose la cassa-pensioni per gli operai impotenti al lavoro, ed ottenne la presentazione dell’altra legge sulla personalità giuridica delle società di Mutuo Soccorso. E di queste fu alacre promotore e valido aiutatore in ogni parte d’Italia.
Spirò ai 26 Marzo 1881 nella città nativa, mentre tutto lasciava sperare che sarebbe vissuto ancora lunghi anni, pel bene della patria.
Il suo trasporto funebre fu un’apoteosi; i figli del popolo riconoscenti vi presero parte grandissima: a centinaia e centinaia vi si videro i lor vessilli abbrunati. — Le sue ceneri riposano nel superbo cimitero, monumento dell’arte cristiana, la Certosa, ove le accompagnò l’universale compianto.
Ecco l’epigrafe commemorativa del generoso dono fatto dal Pepoli al Comune — epigrafe posta nella sala degli Specchi.
1875 — Il dì 31 Agosto
Il M.se Gioacchino Pepoli
Senatore del Regno d’Italia
Rinunziava al Municipio di Castiglione
Ogni ragione a Lui competente
Sugli edifici posseduti dal Comune
La Municipale Rapprentanza
Q. L. P.
A perpetua memoria del dono
Ed a onoranza del donatore
Questa epigrafe è tutt’altro che classica per la forma, ma attesta un nobile sentimento dell’anima, la gratitudine, virtù che dovrebbe essere la più facile ed è la più rara ad essere esercitata.
Possono però i Castiglionesi, per quanto sia modesto l’attestato della loro riconoscenza, ripetere col Venosino.
Exegi monumentum aere poerennius
Regalique situ, Pyramidum altius!
Note
- ↑ Ugolino. Uomini illustri Bolognesi. Pag. 72.
- ↑ Quanto diverso il palazzo Castiglionese della Ragione, da quella sala immensa di Padova, dove il popolo si riuniva al suono della campana della libertà per deliberare o accorreva, tremando all’appello della tirannide.! Vi è pur non ostante una certa analogia.... si licet parva componere magius.
- ↑ Questo osservatorio fondato (Giugno 1882) per cura specialmente del T. Colonnello Domenico Giannitrapani, benemerito delle discipline geografiche e della pubblica istruzione, col concorso del Municipio, della Sezione Bolognese del Club Alpino Italiano e di taluni generosi paesani, è fornito di un Termometro a Massimo — di un Psicometro ventilatore, con termometri — di un Barometro Fortin e di un Phirometro. L’Anemografo fu posto sul M. Gatta. A dirigere quest’Osservatorio è preposto il sig. Luigi Becheroni, gentilissima persona, da cui ho attinto non poche e utili notizie. Nella sala dell’Osservatorio a Nord — si apre un’ampia finestra metereologica, con orizzonte interamente libero: di lì si gode un vasto e svariato panorama sulle vallate del Brasimone e del Sètta.
- ↑ Vedi «Una leggenda Castiglionese» del sig. Luigi Becheroni, riportata in appendice dalla «Gazzetta dell’Emilia» alcuni anni fa.
- ↑ Memorie estratte dall’Archivio di Stato dal Cancelliere Paolo Cisterni.
- ↑ Sarti — De claris Archiginnasi bononiensis professorilevi. Malagola — Prefazione ed aggiunte all’Opera suddetta.
- ↑ Angelo De Gubernatis. Dizionario Storico degli Scrittori comtemporanei.
Nuovissimo Melzi — Vallardi — Milano.
La Rousse — Dictionaire biografique.
Atti del Senato. - ↑ Mengarelli Clemente Necrologio. Bologna, Tipografia Azzurri 1882.
Altra Necrologia. Trani. Tip. Vecchi 1881.