Guerino detto il Meschino/Capitolo XXXI

Capitolo XXXI

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Capitolo XXX Capitolo XXXII
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CAPITOLO XXXI.


Il Guerino partitosi da Roma, va a San Giacomo di Galizia.


B
enchè il Meschino due parti del mondo avesse già cercato, molto più gli piacque questa terza che è l’Europa, dopo avere cercato l’India, la Persia, la Soria, e quasi tutte le provincie d’Asia, e d’Affrica, e molto gli parve bella l’Italia fra le altre province e reami d’Europa. Partito da Roma passò la Toscana, la Lombardia e il Piemonte, e giunse in Savoia, e poi nel Delfinato e andò a Sant’Antonio di Vienna, poi passò per la Provenza e andò in Avignone, ed a Mompellieri ed a Tolosa, e passò i monti Pirenei, e giunse a Merlieri in Guascogna, e giunto al fiume detto Garona, lasciò la strada di San Giacomo, e volle andar a vedere la città detta Salvatera. Per questa via si va a Murlan, poi passò le montagne, e giunse a Burges, poi andò all’Apalina ed alla Stella, ed a Veneta, e quando si partì da Veneta fu alquanto travagliato da’ malandrini, e molti ne fece morire.

Partito il Meschino dalla città di Veneta per andare al regno di Spagna, giunse ad un fiume chiamato Ibero, e trovato un picciolo borgo di case e un picciolo albergo, si fermò e domandò all’oste se aveva da mangiare. L’oste disse che aveva mal da mangiare e peggio da bere: per cagione di certi malandrini che [p. 260 modifica]sono quivi appresso in una selva, chè pare che in queste parti non si faccia giustizia, e rubano tutti i pellegrini, e anco a noi ci hanno tolto il pane e il vino ed altre vivande, e non possiamo comprare niente minacciandoci di peggio, e dicendo aver io fatto campare molti pellegrini che non li hanno potuti rubare; però se voi volete smontare, cuocerò della carne salata». Pose mente il Meschino a questo luogo, il quale gli parve proprio un ridotto di malandrini e di ladroni, e però smontò, e postosi a mangiare, l’oste disse: — Messer, voi siete molto adorno», ed ei se ne rise. Mentre che mangiava l’oste disse: — Ahimè, ch’io vedo venire tre ladroni di quelli che vanno rubando!» e sull’istante giunsero essi sopra il Meschino. Come lo videro, si fermarono e dimandarono da bere all’oste, e il Meschino li invitò a bere e mangiare con lui. Quelli volentieri acconsentirono, e gli dimandarono donde veniva e donde andava. Ei loro disse che veniva da Roma e andava a San Giacomo, e che aveva bisogno di compagnia per due o tre giorni che gli insegnassero la via, ed eglino subito si profersero di andare con lui credendo di svaligiarlo. Faceva conto il Meschino per amor di san Giacomo farli tutti morire, e per trovare i loro compagni accettò questi in compagnia. E come ebbero mangiato pagò l’oste, e montò a cavallo. L’oste gli accennava ch’ei non andasse con loro, ma ei disse: — Non temo, tu non sai chi io sono». Partissi dall’albergo con questi tre ribaldi che facevano una ragione, ed egli un’altra contra. E accorgendosi il Meschino che i malandrini lo avevano tirato fuori della via, si drizzò l’elmo in testa con la visiera levata, e con la lancia in mano, e, quando furono entrati circa una lega per una selva, fu attorniato da più di quaranta. Questi tre gli presero la briglia dicendo: — Smonta!» Egli disse: — Per mia fede voi siete cattivi compagni!» e già erano di quelli che il toccavano con le lancie per trarlo da cavallo, ed ei toccando il cavallo con gli sproni, gittò due di quelli per terra, poi provò la punta della sua lancia, e tratta la spada contro di loro, li pose in fuga, ma non si poterono sì tosto da lui partire, che con le sue mani in questo primo assalto non ne uccidesse ventidue. E correndo [p. 261 modifica]essi per la selva, gli corse dietro con gran rumore tanto che capitò ad un castello verso il mare detto Monfer, appresso alla città detta Egistrato, a sette leghe. Quando quelli del castello udirono il rumore, corsero in suo aiuto con i giustizieri, cioè il rettore del castello, e molte persone con molti cani. Con lui insieme per terra attorno alla selva andarono cercando, e ne furono presi ed impiccati settantacinque, avanzatine tre soli, che erano in tutti cento. Quelli del paese gli fecero grande onore, chiamandolo il santo pellegrino, e così liberò quella strada da’ ladroni.

Partito da loro cavalcò tanto che giunse in Galizia a Compostella, e stette cinque giorni in Galizia a San Giacomo; poi udendo dire come molti ladroni e corsari da mare venivano a rubare di là da San Giacomo intorno a Santa Maria de finibus terræ, montò a cavallo, menando alcuni del paese seco. Giunse due galere di corsari, e fece abbruciare ed impiccare centoventidue ladroni, e furono morti alla zuffa trenta, e uccisi cinque soli del paese. Il Meschino andò fin sopra il mare, dove finisce la terra, e smontato da cavallo inginocchiossi a rendere grazie a Dio di tanto dono, che l’aveva condotto al fine della terra abitata di ponente, e disse a coloro ch’erano con lui, la cagione perchè s’inginocchiò. L’ultima terra di levante è chiamata Tamista, e l’ultima terra di ponente Santa Maria de finibus terræ; dove è Tamista sono le grandi montagne detto monte Noci, dove esce il Nilo e viene per mezzo la provincia del prete Janni. Poi si partì da Santa Maria, e tornò fino a Lordus, dove entrò in una nave, e verso Inghilterra andò per mare, poi prese il suo cammino per andar in Irlanda, e passò Londra, ed andò verso Norgales ch’è il più vicino porto per andare in Irlanda. Giunto a Norgales, dimandò se vi era nave per andare in Irlanda, e gli fu detto di no, ma che se ne stava apparecchiando una per partire. Pensando il Meschino come questa città si chiama Norgales; dimandò a certi cittadini e marinari se conoscevano un gentiluomo in quella terra, che aveva nome messer Dionino che era appresso il re d’Inghilterra, ed essi risposero: — Egli è nostro signore». Dimandò ad essi se egli era allora in quella terra, risposero [p. 262 modifica]di sì, e dimandò quanto tempo era ch’egli era venuto dal Santo Sepolcro; dissero che era circa un anno. Ancora dimandò quanti dei compagni erano tornati, risposero: — Ei solo, mercè di Dio e d’un cavaliere che l’ha campato in Affrica, che aveva nome Guerino!» Il Meschino non rispose, facendo vista di non intendere, e sorrise. Dissero alcuni di loro: — Sareste voi?» Il Meschino non rispose niente; alcuni di loro andarono al palazzo a dire a messer Dionino, com’era al porto un cavaliero che dimandava di lui, ed egli levò le mani al Cielo, e disse: — Dio mi dia grazia che sia il mio signor Guerino!» e venne a piedi sino al porto, e come vide il suo cavallo, disse: — Questo è il mio signor Guerino che mi campò in Affrica». E quando il Meschino lo vide venire con sì gran compagnia di gente smontò da cavallo, e Dionino se gli gittò in ginocchioni a’ piedi, e tutti quelli che erano con lui, dicendo egli verso Guerino, e lagrimando: — Ben venga il mio signore!» Guerino l’abbracciò e levollo in piedi, baciaronsi molte volte in fronte piangendo dall’allegrezza; e tutti questi gentiluomini, non ostante che mai non l’avessero veduto, l’abbracciarono, e tutta la moltitudine della città corse per vederlo per la nominanza che messer Dionino gli aveva data, e così a piedi andarono al suo palazzo. Molto maggiore fu la festa che gli fece la donna di messer Dionino, che quella che gli fece lui, per amore del suo signore, e, dicendo da lui aver riavuto il suo signore, l’abbracciò, e gli apparecchiò una ricchissima zamarra, e disarmato per mano di messer Dionino, fu rivestito molto riccamente. E correva al palazzo tutta la città per vederlo.

Or chi potrebbe contare la festa che si fece in quel lauto desinare? Guerino disse come era stato dalla Fata, e a Roma, e messer Dionino disse: — Ora tu non avrai riposato; io son disposto che tu riposi qui in casa meco, perchè solo una cosa non sarà a te, e a me comune, ogni altra cosa sarà più tua che mia» e quella era la sua donna. Poi disse: «Io ho una sorella, la quale ha quindici anni, e questa sarà tua donna». Disse Guerino: — Io sono obbligato alla bella Antinisca a cui promisi di ritornare a torla per donna, ed essa mi aspetta a Persopoli». Quando Dionino intese che Guerino aveva [p. T33 modifica]La fata l’andò a visitare con molte damigelle. [p. 263 modifica]animo di tornar in Persia, si maravigliò e disse: — O signor mio Guerino, io ti prego, che noi andiamo a visitar il re d’Inghilterra, che per le parole che io gli ho detto di te ha gran desiderio di vederti». Guerino rispose: — Mi conviene andar altrove, e se a Dio piace che io torni, io voglio attendere quel ch’io ho promesso alla bella Antinisca, e questo voglio adempire solamente per farla battezzare, e prego per questa buona amistà di giurata fratellanza, ch’è fra te e me tu mi faccia condur in Irlanda, e quando sarò tornato andremo a visitar il re d’Inghilterra». Messer Dionino rispose: — Tu non anderai senza di me». Rispose Guerino: — Voglio che perdoni, imperocchè a me solo bisogna compir questa faccenda». Disse messer Dionino: — Almeno sino in Irlanda ti farò compagnia,» e comandò che una nave fosse apparecchiata in quel punto. Disse il Meschino: — Prega Dio per me». Per questo ogni uomo lagrimò per tenerezza, poi entrando in nave, il Meschino prese licenza da ognuno, e messer Dionino gli fece compagnia fin in Irlanda. E navigando vide l’isola d’India e in pochi giorni giunse al porto Sconfarda in Irlanda, nella quale isola sono queste città in sul mare Sconfarda verso Inghilterra, e verso Garbino, e un’altra città che ha nome Diocida; da Sconfarda sino alla città di Dans son cento miglia, e di là sino a Ibernia sono cento miglia. Vi sono molti castelli, molti bestiami, e molti gran boschi disabitati. E ancora verso la Spagna v’è un altro paese chiamato Lancia, e ha due città: una ha nome Laurimerichie, e l’altra Sersfoncs, e vi sono molti castelli e ville; è molto temperato paese, e le persone molto vivono, ma perchè è lontano dalla terra ferma, è male abitato. E questo dimostra l’umana natura, che per consuetudine partecipa più di terra che altro elemento, e con tutto che in questo paese si viva molto, nondimeno abitano più in terra ferma, perchè la terra mostra esser più naturale elemento e vera nostra madre. E si partì da Sconfarda e andò in Irlanda, poi in Ibernia l’ultima città ch’è verso ponente, la quale per natura è bellissima, grande e ben popolata, e assai miglia di bel paese ben abitato d’ogni cosa delizioso, e forte di terreno, e di gente, e di belle fortezze, e gente sempre sta sulle porte a far guardia per paura de’ corsari. Signoreggia il paese l’arcivescovo d’Ibernia.