Guerino detto il Meschino/Capitolo XXX

Capitolo XXX

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Capitolo XXIX Capitolo XXXI
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CAPITOLO XXX.


Come il Meschino narrò ai romiti ogni cosa per ordine; poi partì con Anuello, e andarono verso Norzia, donde si partì per Roma.


G
iunto il Meschino al romitorio, e postosi a sedere, dimandò ad Anuello che cosa era avvenuto del suo cavallo e delle sue arme. Rispose che n’era bene: dimandò da mangiare, e subito gliene fu dato, ed anche del buon vino che aveva portato Anuello, e quando parve un poco confortato, i romiti dimandarongli parte a parte che cosa egli aveva fatto, e quello ch’aveva sentito e veduto; ed ei raccontò loro ogni cosa. E quando disse che aveva trovato Macco, e come stava, se ne risero per le pene che aveva ricevuto, e però dicevano: Non si fidi niuno nel mal vivere dicendo: Per questa via non andrò! Li ringraziò del buon ammaestramento da loro datogli, e poi si partì dopo di avere ricevuta la loro benedizione. Montò sopra un ronzino di quelli che Anuello aveva menato, e verso Norzia andarono insieme, e per la grazia di Dio giunsero alla città sani e salvi all’albergo d’Anuello, dove il Meschino stette tre dì. Poi fece molti ringraziamenti ad Anuello, e montò a cavallo armato, e l’oro e l’argento lasciò a lui, appena portandosi tanti danari che lo conducessero a Roma. Partito da Norzia tra pochi giorni arrivò in Roma, e dimoratovi un giorno, cominciò a discorrere con alcuni signori dove era [p. 257 modifica]stato, e poi ch’ebbe detto tutto il cammino, disse la promessa che aveva fatta di ritornar a Persepoli dalla bella Antinisca, e in quanto tempo ei doveva tornare E molti di quelli che erano presenti ad udirlo si fecero beffe di lui, dicendo non esser possibile quello che diceva.

Allora disse il Meschino quello che gli avevano comandato quei tre romiti che erano nel romitorio dove si andava dalla Fata, e presentossi al papa con una lettera di loro mano, che narrava il tutto. A questa fu data fede, ed alla causa perchè egli era andato. Di poi il papa dimandò con che intenzione era entrato; ei disse solo per trovare il padre suo....1 E così gli fece [p. 258 modifica]dar duecento denari d’oro, e disse: — Se per il cammino di San Giovanni di Galizia tu senti che vi sieno ladroni, fa che tua possanza li discacci, e farai sicuro il cammino, acciocchè i pellegrini possano andar sicuri che non sieno rubati». Ed ei così promise di fare con tutta la sua possanza, e con la santa benedizione di lui si partì. E questo fu papa Benedetto III, l’anno di Gesù Cristo 824, ed era imperatore re Carlo Magno il vecchio. Poi tornò all’albergo, e nella seguente mattina armato a cavallo con la sua lancia in mano si partì da Roma, e verso la Toscana prese il suo cammino.



  1. Tutte le edizioni del Guerino dal 1700 in poi, che ho potuto avere sott’occhio, lasciano quivi a desiderare una parte. Ho creduto di riempiere questa lacuna con un breve rischiarimento:
    Secondo il poema di Tullia d’Aragona, il Meschino è avvertito a Norcia dagli eremiti e dall’oste suo d’essere scomunicato per avere contra la fede di Cristo visitato gli Alberi del Sole, ed essersi recato alle grotte della Sibilla. Per questo fine Guerino se ne va a Roma da papa Benedetto III, dal quale ottiene l’assoluzione, coll’obbligo di recarsi per penitenza in pellegrinaggio a San Giacomo di Galizia, e quindi in Irlanda per entrare dal pozzo di San Patrizio nel purgatorio.
    Il Guerino che va a San Giacomo di Galizia, ci mostra chiaramente come ad una medesima sorgente abbiano attinto i romanzieri della cavalleria nel medio evo, a quel Turpino cioè, supposto scrittore della vita di Carlomagno, il quale viene generalmente considerato l’Apollodoro dell’epopeia romanzesca d’Italia. Carlomagno, l’eroe della favola Turpiniana, dopo aver conquistato l’Anglia, la Gallia, la Lorena, la Borgogna, l’Italia e la Brettagna, ed infinite altre città dall’uno e dall’altro mare, standosene un giorno neghittosamente cogli occhi rivolti al cielo, vide una via di stelle che dal mare della Frisia dirigevasi fra la Germania e l’Italia, fra la Gallia e l’Aquitania, passando in linea retta per Guascogna, Blasca e Navarra e Spagna fino in Galizia, ove da gran tempo rimaneva nascosto il corpo del beato Jacopo. Già da alcune notti stava Carlo contemplando quel cammino di stelle, quando gli apparve l’apostolo Jacopo, manifestandogli essere lui trascelto da Dio a liberar la Galizia dalle mani de’ Moabiti, ed esterminare la perfida progenie de’ Pagani, ed aprire la via ai pellegrini onde potessero in avvenire visitare la basilica e la sua tomba, a fine d’impetrare perdono dei loro peccati. Seguono quindi i prodigi con cui fu segnalata l'impresa di Carlo. Intorno a siffatta leggenda ebbe a scrivere il Dossio: Auctor hujus operis non Turpinus, sed Callistus II. papa, qui tribus post mortem Caroli Magni sæculis illam fabulam confinxit, non ut Carolum Magnum, sed ut sanctum apostolum et ecclesiam Compostellam, quam ardenter amabat, illustriores his fabulis redderet. Simili invenzioni non sono certamente troppo rare nella storia dell’imbecillità umana. Checchè sia egli è, che il sepolcro di san Giacomo di Galizia aveva nel medio evo tale venerazione, che turbe infinite di cristiani colà andavano pellegrinando, come a Gerusalemme ed a Roma in penitenza de’ loro peccati.
    In quel luogo doveva perciò andare ancora il nostro cavaliere, il quale aveva commesso il gran peccato di avere prestato fede alle parole di una Fata; e come Carlomagno fece dei Moabiti, così egli doveva liberare la via da certi malandrini che impedivano ai pellegrini la loro andata al Santo Sepolcro. I nomi e le imprese saranno diverse, ma il fondo del romanzo del medio evo è lo stesso, cioè quel maraviglioso conservato e perfezionato nelle favole de’ trovatori, poscia circa l’undecimo secolo trasfuso nelle chimeriche storie di Turpino e di Goffredo di Montmouth, primi autori che abbiano parlato delle supposte guerre di Carlomagno e del re Arturo, diventate il fondamento di quelle narrazioni favolose, e di quegli strani incantesimi e fantastiche invenzioni, che secondo Mallet nella sua introduzione alla storia di Danimarca rivelano la mitologia, che gli Sciti od i Goti condotti dal celebre Odino nel settentrione dell’Europa recarono dall’Asia ai Celti o Scandinavi.