Guerino detto il Meschino/Capitolo XIX

Capitolo XIX

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CAPITOLO XIX.


Il Meschino venne dal soldano Polinadoro,
che lo fece capitano di tutta la sua gente contro gli Arabi.


DD
opo tutte queste cose, adunati quarantamila Saraceni, diede ordine di andar subito in Babilonia. Il Meschino partì colla sua gente, facendola andar molto in punto in quattro schiere, ed in due dì giunse ad una città detta Opia Magna, appresso al Cairo tre giornate. Qui mandarono a dire che andavano al Soldano, e, dopo cavalcato tre dì, essendo appresso al Cairo dieci miglia, scontrarono il Soldano con gran moltitudine di gente. Sentendo il Meschino come il Soldano veniva con gran moltitudine appresso, si affrettò di far andar le genti molto ordinate; entrò innanzi a tutta la gente, e andò intorno per vedere se alcuno usciva fuori della sua schiera. Il Soldano con venti cavalli era dinanzi a tutta la sua gente, e fermossi per vedere: oh quanto gli parve più bella gente, che non soleva vedere per il tempo passato, sol per andar ordinati! Il Meschino essendo armato di tutto punto si gittò da cavallo, inginocchiossi dinanzi al Soldano, ed ei lo fece rimontar a cavallo, e chiamare il re di Polismagna, dicendogli: — O nobile re, sino a questo [p. 182 modifica]dì ti ho tenuto il più savio re d’Egitto; ma ora non mi sembri quello che ti tenea, conciossiachè ne’ tuoi giudizi ti ho trovato indiscreto; scrivendo non di ragione che giudicassimo costui ai pastori, e che non conosci i fatti di questo nobile cavaliere. Oh che stoltizia è a non conoscer lui non aver atto da ladrone! e più fallasti a ritenerlo in prigione: ma de’ pastori e bestiami qualunque è il migliore di loro è un ladrone». E volto al Meschino dimandogli come egli aveva nome: ei rispose: — Guerino;» ed era loro attorno gran quantità di gente, e molti re e signori, ed in presenza di tutti il Soldano si fece dare un pezzo d’asta, voltossi verso Guerino, e disse: — Guerino, per parte degli Dei d’Egitto e di tutti noi, ti faccio capitano generale di tutta la nostra gente da piè e da cavallo, e appresso a me il secondo signore, e chi non ti ubbidirà sarà fuori della mia grazia, e per segnale ti dono questo anello del mio figliuolo, dicendo: Tristo colui che non ti sarà obbediente, sia chi si voglia». E come fu restato di parlare, si levò un gran rumore fra la gente, dicendo tutti: — Capitano, capitano!» ed andarono le grida grandi dal campo fino in Babilonia, e di voce in voce.

Ricevuto Guerino il grande officio, rendè molte grazie al Soldano, e con gran riverenza disse: — Signore, io non son degno di tanto onore». Andò poi verso la città del Cairo, e penò due dì a passare il ponte che passa per mezzo fra il Cairo e Babilonia sopra il gran fiume Nilo, ed accampossi di fuori. Il Meschino dimandò a certi degni di fede, quanto era grande il Cairo, i quali dissero della grandezza non saperne, ma ben sapere delle entrate, che ne ha il Soldano, e il numero della gente da portar arme che dentro al Cairo eran quattrocento migliaia d’uomini e altrettanti d’intorno alle mura appresso al Cairo, non contando Babilonia che ne ha tanti di là dal fiume verso Asia; ma veramente parve al Meschino tutta gente da poco, gente rozza, disonesta. Non attendono se non a lussuria, di ogni trista condizione, con poca regola, e pochi sono che vivano bene e onestamente. Poi, passato il ponte, stettero tre dì in Babilonia, dove si ridussero tutti i signori e gentiluomini, e non potè comprendere il Meschino la grandezza di Babilonia, ma poi vide la città di Parigi in Francia, grande come Babilonia. Era in [p. 183 modifica]Babilonia gran quantità di gentiluomini, che erano più onesti e soliti a meglio vivere; ognuno di essi gli faceva onore, e chiamavalo signore. Il quarto dì si partirono di Babilonia, e per dieci dì camminarono verso la città di Damiata, la quale è sul mare che è dentro della terra, cioè mare Oceano, e su tre confini della terra presso il lago Silonis, che è in mezzo tra due mari, cioè il mare Rosso e il mare di Soria, detto Pelago d’Egitto, ove posero campo per aspettare la gente. Non passarono otto dì, che venne tanta moltitudine di gente che Guerino si maravigliò, poichè eranvi nel campo sette re di corona e ottocentomila persone per combattere. Il primo re di questi era Balisarca di Renoica: il secondo era chiamato Sacador di Dragondisca: il terzo era chiamato Bada di Smaritnica: il quarto aveva nome Galopidas da Monte Libici: il quinto aveva nome Libatiri Leonoro: e il sesto aveva nome Palinodor di Polismagna: il settimo aveva nome Parinonos di Arabia Petrea; a questo re avevan tolto gli Arabi tre città, cioè Bostra, Malaura e Albero; e in poco tempo avrebbe perduto il regno. Ancora erano in campo quindici duchi aspettanti la corona regale, di cui la maggior parte aspettava che fosse finita la guerra per incoronarsi, e questo stimò il Soldano il quale aveva sotto la sua signoria settantacinque reami, e mandò per molti che si volevano far re, che non avevano se non una città, che erano più di trenta ancora. Sappi, che la provincia del Cairo e di Babilonia si mette per tre reami, e che il Soldano aveva sotto la sua signoria venti porti di mare, e ogni porto era città, sei sopra il mare Rosso, e quattordici nel mare che si stende da Ghibel Taoro infino in Soria, dentro delle porte della terra, cioè fra l’Affrica, e l’Asia, e l’Europa, detto mar Oceano.

Veduti Guerino tanti signori e tanta gente, disse al Soldano che tanta gente sarebbe stata cagione di farsi rompere. Il Soldano diedegli piena libertà, che facesse quel ch’ei voleva. Il Meschino di tutta la moltitudine tolse duecentomila, quali parevano atti a battaglia. Tutti i signori ritenne, salvo ch’ei disse al Soldano che tornasse in Babilonia, che si partì con poca speranza di vittoria, perchè tutta la sua speranza era nella moltitudine della gente. Il Meschino levò il campo, e passò in Palestina, appresso il campo degli Arabi, i quali, come il sentirono, [p. 184 modifica]mandarono una lettera facendosi beffe di lui, e per disprezzo gliela mandarono per un nacarino o buffone. Come l’ebbe in mano, il Meschino la diede a un antico vecchio barone, e disse: — Leggete, che ogni uomo intenda». In questa forma era espressa la lettera: «A noi è manifesta la tua venuta, e come il Soldano ti fece trarre di prigione dove tu eri, per ladrone degno di esser messo in croce, e non fece giustizia, perchè la giustizia ti dovevano far gli Arabi i quali devono signoreggiare l’Egitto, e te con gli altri signori e baroni porremo in croce come proprio ladroni.» Come ebbe compito di leggere, tutti i re e baroni furono pieni di paura, per le minaccie degli Arabi; il Meschino cominciò a ridere dicendo: — Si fanno più beffe di loro medesimi», e in questa forma cominciò a confortar i baroni, dicendo: — O nobili principi, re, duchi, alti signori, fugga da voi la paura; senza fallo Dio ci darà vittoria di questa superba gente, perocchè il più delle volte colui che fa poca stima del nemico riman perdente: chè non si vincono con minaccie le battaglie. Chi ha forza di farci signori se non gli ordinati modi di Dio conceduti alla potenza della fortuna, alla quale siamo tutti sottoposti, più o meno, secondo le operazioni ed il voler del dispositore? A due cose tutti siamo eguali, per legge universale della natura, la quale è sottoposta alla fortuna in alcuna cosa, cioè in nascere ed in morire. Ma chi è colui che in questa ruota della fortuna confidi? niun può dir che sarà se non sol Dio, il quale sa il presente ed il passato ed il futuro. O signori d’Egitto, questa non è la prima volta che avete vinto il nemico con capitan d’altra legge, conciossiachè Mosè era giudeo, e gli Egizi lo fecero capitano contro Troapati, comandamento degli dèi; però, che se con un capitano cristiano dovete vincere, io sono cristiano, e voi ci chiamate Franchi per la nostra franchezza e libertà, che abbiamo noi nella nostra fede. Se voi conosceste chi io sono, niuna paura sarebbe in voi, e crediate, che in me non è paura degli Arabi; io voglio che col loro mezzo mandiamo loro a dire, che noi faremo la risposta con la spada in mano.» E comandò alle sue schiere in punto di farne tre; la prima diede ai due re, cioè Albanico della Morea e Potidonos di Arabia, e a molti duchi, signori e baroni, e diede a loro diecimila Saraceni; la [p. T24 modifica]Allora il Meschino s’inginocchiò e diedegli la spada. [p. 185 modifica]seconda con cinquantamila Saraceni a tre re, cioè il re Pogna di Polismagna e il re Senador di Dragondisca, ed il Balisarca di Ranoica. Comandò che nella seguente mattina, due ore innanzi ognuno con le schiere cavalcasse, e giungendo ai nemici ciascun desse la battaglia con la sua schiera, e come fu sera chiamò a sè il re di Polismagna, e comandogli che le bandiere fossero mandate nella prima schiera, perchè quando gli Arabi vedranno quella schiera, crederanno aver tutto il campo, e la schiera rinfrescherà la battaglia, e soggiunse: — Nobil re, l’ordine mio ti scopro, perchè so che sarà segreto; la prima mostra la metto per perduta, per dar passo ai nemici, e voi con il mezzo di questa schiera, sarete appresso la battaglia, e quando entrerete in battaglia farete far nel campo gran fumi, imperocchè con l’altre in mezzo di questa schiera voglio tutta notte cavalcare; quando vedrò il fumo assalirò gli Arabi dalla parte di dietro, e sicuramente, s’io non m’inganno, quando morto non sarà il sole a mezzodì, io vi farò vittoriosi della battaglia. Ma quando siete per entrar nella battaglia, mandate per tutte le schiere che le bandiere reali non son quelle che si mostrano nella schiera prima, ma non mandate prima la voce ch’io ve lo dica, acciò non venga all’orecchio de’ nemici;» e avvisato il re, si partì come fu sera, cavalcando tutta la notte, e posesi in certi boschi dietro agli Arabi.

Il re Albanico e il re Polinadoro si affrettarono di cavalcare, confortando le loro genti, ch’erano centomila, e nel dì assalirono il campo degli Arabi, i quali erano disarmati, perchè facevano poca stima degli Egizi, e fu fatto nell’assalto grandissima uccisione degli Arabi per il gran disordine ch’era in loro, e se Guerino si fosse allora scoperto, gli Arabi venivan rotti; ma egli non pensò che stessero così disordinatamente, per il farsi beffe del nemico. Ora, avendo i due re assalito il campo, e con grande uccisione, i due capitani Arabi Nabar e Falisar montarono a cavallo, come franchi cavalieri, correndo pel campo e confortando gli Arabi che fuggivano, onde con gran fatica li rivolsero alla battaglia. Il re Albanico sostenendo la gente d’Egitto col re Polinadoro, fece gran resistenza, ma gli Arabi in fine li misero entrambi in fuga, e riacquistarono il campo, molta [p. 186 modifica]vendetta facendo de’ loro nemici. Era il sole all’ostro, quando, fra le uccisioni delle due parti, il re di Polismagna fece cacciar fuoco in certi alloggiamenti, sicchè il fuoco ed il fumo fu molto grande. Dopo ciò diede la battaglia strettamente cogli altri due re. Quando il Guerino vide il fuoco, si scoperse, ed assalì gli Arabi, gittò per terra le loro bandiere e li mise in fuga. Que’ d’Egitto sentendo come il lor capitano aveva rotto sei bandiere degli Arabi, presero ardire e forza, ed avanti che il sole fuggisse a Gerbino, furono morti centomila Arabi. Mentre che la rotta era grande, fu menato il capitano degli Arabi Nabar al Guerino, che comandò gli fosse tagliata la testa. Ma prima gli disse queste parole: — O superbo Arabo, la sfrenata lingua ti fa con la tua superbia morire; poichè tu e il tuo compagno diceste che la giustizia era in Arabia sopra di me, e giudicasti me alla croce, lo che io non voglio fare a te.» E fecegli così tagliare la testa. Poi misero all’uccisione il resto degli Arabi. Fu mandata a Guerino la testa dell’altro capitano degli Arabi Falisar. Ed ei subito fece montare a cavallo venti cavalieri, che portassero le due teste al soldano, le quali empirono di sale; ed andarono a Babilonia colle due teste e colla vittoria ricevuta.

Dappoi che gli Egizi ebbero la vittoria contro gli Arabi, molte ricchezze trovarono nei padiglioni dei loro nemici, ed ogni cosa misero a loro uso. Il Guerino poi fece ritrovar il corpo del re Colopidas da Monte Libici e quello di Polinadoro di Arabia Petrea, e mandati furono nel loro paese, ed incoronati i figliuoli degli detti de’ loro reami. Poi fece levar il campo, e contro le terre che tenevano gli Arabi n’andò, e cominciò a entrar nella Arabia Petrea, e prese la città detta Bostra, ch’è appresso il monte Sinai due giornate, fece signore il figliuolo del re Polinadoro, e fu seppellito il padre all’usanza loro, e questo giovane avea nome Polimando. Partito di Bostra andò a Maplanzoo, e la prese, e poi prese Crandona, e Turcasso, e Timalan: e quivi passò il fiume detto Armaforis, che divide l’Arabia Petrea dalla Caldea. Questo fiume è sotto tre città, la prima Babilonia, dove furono divisi i linguaggi al tempo di Nembrot, quando ei fece la gran torre di Babelle, e questa città è parte sul [p. T25 modifica]E poi tutta Soria fece far pace coi Persiani e cogli Arabi. [p. 187 modifica]Tigris, e parte sopra Ammansoris; l’altra città si chiama Bembribae, e la terza Barhodana, e tutte si rendettero, e fecero signor Polimando. Prese il Meschino queste città e reami, si volse verso Soria, e prese parte di Giudea e Palestina, e del reame Litra, e soggiogolli al Soldano, e accampossi sul fiume Jordano. Mandò due secreti messi a Persepoli per sapere novella di Antinisca, sua sposa, e per suo amore fece che il Soldano pose fine alla guerra, e per tutta Soria fece far pace coi Persiani e con gli Arabi, e con una onorata vittoria tornò in Egitto, dove gli furono di nuovo fatti grandissimi e trionfali onori, molte ricchezze portando al gran Soldano delle ricevute vittorie.