Guerino detto il Meschino/Capitolo XVIII
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CAPITOLO XVIII.
Il Meschino e le guide, scampati da molti pericoli, vennero dal Soldano in Babilonia, il quale fece Guerino capitano di tutta la sua gente.
Tre giornate cavalcò il Meschino con grande affanno per non trovar acqua, nè abitazione, nè niente di buono da mangiare. Il terzo giorno tornato verso il Nilo, il quale in quei paesi si chiama Calicer, trovò buone acque, e poco andando giù per il fiume Calicer, essi trovarono gran quantità di gran ciurme di bestiami. Furono assaltati da gran cani con tanta tempesta che subito uccisero un cavallo ad una delle guide, e avrebbero morti gli altri due se non fosse che smontarono e misero i cavalli nel fiume, sì che i cani non li potessero mordere, e alla riva si difendevano, e se il Meschino non si fosse accorto di quello a cui avevano ucciso il cavallo, uccidevano ancora lui. Il Meschino adirato disse fra sè medesimo: «Ho cercata tutta quanta l’India e combattuto con diverse fiere, e ora vedo i miei compagni essere mangiati dai cani». Prese a due mani la spada, lasciò il cavallo nell’acqua, e gittossi tra i cani per modo che più di venti ne uccise innanzi che ei potesse campar il compagno, e verso il fiume ritirossi tutta volta combattendo, e gran pezzo li tennero i cani così assediati nel fiume. E mentre, che in questo pericolo essi erano, il Meschino vide molti Mandriani che stavano a vedere, e non dicevano niente. «Per mia fe’, disse il Meschino, mai non ebbi paura simile a questa, imperocchè questi cani erano comunemente come leoni, e perchè noi ne avevamo ammazzati più di quaranta, ancora maggiore assalto ci facevano, ed erano al mio credere ancora più di cento cani». Vedendo il Meschino i traditori pastori non dir niente ai cani, non fu senza grande ira, e immaginava il cattivo loro pensiero. Prese la spada a due mani, e gittossi nel mezzo dei cani, mentre i suoi compagni si stavano nel fiume, i cani si affrettavano intorno lui, ed egli ne uccise tanti, e tanti ne ferì, che si ritornarono indietro. «Io credo, disse il Meschino, che morti ne sieno più di ottanta e quasi tutti gli altri feriti». Fatto questo, il Meschino giurò di farsi sentire da quei traditori mandriani, e con grande ira montò a cavallo e spronollo verso quelli, e cominciò con gran voce a gridare, e giunto tra loro cominciò ad uccidere. Disse il Meschino: «Io vidi cose che ancora lodo e loderò sempre Iddio, che per il rumore che io faceva uccidendo i mandriani, i cani medesimi si voltavano sopra loro, e molti ne uccisero, e tutti i loro bestiami erano volti in fuga confusamente il grosso ed il minuto. Durava questo avviluppamento quattro miglia e più, e questo era tutto venuto per divino miracolo d’Iddio». E fatto questo il Meschino ritornò ai compagni, e fece rimontar ognuno a cavallo, e quello che era molto trafitto dai cani sel mise in groppa, e cavalcando trovò certi alloggiamenti di questi traditori mandriani, dove trovò molto pane, carne e buone acque. Mangiato che ebbero per lor bisogno, misero in tasca pane e carne. Camminò tutto quel giorno, ed alla notte arrivò coi compagni ad una picciola villa sopra il fiume, e passarono sopra una piccola isola in mezzo al fiume che si chiama Atacia, che circondava quaranta miglia di là, e giunsero alla città detta Artasia.
Avendo preso il cammino verso la città di Polismagna, trovò una quantità d’armati, i quali molto a loro ponevano mente. Il Meschino se ne avvide, e disse ai compagni: «Questi hanno voglia di metterci le mani addosso, e sono stati mandati qui per pigliarci». Però non andò nella città, ma stette di fuora per fuggir la loro prava volontà e questione; ma poco gli valse, che altrettanti lo giunsero, e accompagnaronsi con loro, dicendo che andavano a Polismagna per dritto e giusto re, che manteneva ragione, giustizia, ed era uomo vecchio e cortese, e aveva nome questo re Polinadoro. Albergò due notti per la via; una notte sopra l’isola, e l’altra oltra il Nilo; e questi non ebbero ardire d’assalirli. L’animo del Meschino era, s’ei si movevano, di provarsi con loro ed ucciderli tutti. L’altro dì giunsero alla città, grande e bella, nella quale era gran popolo di Saraceni e piena di molte parti intorno, per una via molto lunga, tutta piena di alberghi. Montarono ad un albergo: allora si partirono da loro quelli armati, e poco stette, che tre cavalieri vennero all’albergo dov’era il Meschino, co’ suoi compagni, e dissero al Meschino: «L’usanza del nostro re si è, che quando viene in questa città alcun gentiluomo forastiero, vuol ch’ei vada a smontare alla corte, e così vi manda a dire che vi piaccia venire ad alloggiare al palazzo regale, perchè gli è stato detto della vostra venuta». Rispose il Meschino: «Questa usanza io non la voglio guastare», e rimontarono a cavallo, e andarono alla corte, e furono accettati graziosamente, e fugli fatto grande onore, ed egli non s’avvedeva della fraudolenza, e che l’onor gli era fatto per inganno. Il re Polinadoro gli fece dare una ricca camera, e mandogli un ricco vestimento, e quando fu dinanzi a lui gli fece buon viso, e dimandogli s’egli era cristiano, perchè Guerino mostrò le lettere del prete Janni, e dissegli la guerra dei Cinamoni. Era ora di cena, e volle ch’ei cenasse alla sua tavola, e le sue guide a riscontro, facendo a tutti grand’onore.
Quando ebbero cenato, il Guerino cogli altri andava molto per la sala in giù ed in su; egli aveva la spada a lato e l’usbergo indosso. Quindi fu con due doppieri accompagnato a vedere il suo cavallo, il quale era molto trafitto da molti cani, e poi accompagnato a dormire. Stando nella camera, serrò l’uscio, si disarmò, ed entrò in letto credendo essere sicuro. Ma appena addormentato entrò, non so come, qualcuno nella camera, che gli tolse l’arme salvo la spada, poi venne una gran brigata all’uscio che parevano più di mille al gran rumore che facevano. Il Meschino risvegliato al rumore saltò in piedi, volle pigliare l’arme, e non trovò che la spada. Quelli di fuori con certi legni buttarono giù l’uscio, ed il Meschino colla spada mostrossi all’uscio, tagliò molte lancie, giavarine e spiedi, nel mentre che sentiva i Mandriani gridare, che lo chiamavano ladrone, e per questo conobbe che lo volevano pigliare. Alcuni uomini d’arme dicevano: «Renditi, chè se tu non hai fallato, non ti sarà fatto torto», e cacciavano via due villani che non gli dicessero villania, ed egli rispose: «Se vedrò la persona del re mi renderò, altrimente prima morirò che rendermi». Nel mentre i suoi compagni erano nascosti fra il letto ed il muro, e tremavano di paura. Questo che aveva detto fu riportato al re, ed ei come gentile andò alla camera, e disse: «O gentiluomo, non avere paura, renditi a me», e toccossi il dente, e disse: «non ti sarà fatto torto». Il Meschino rispose: «All’uomo che va per cammino, essendo assaltato è lecito di rendersi?» Rispose il re: «Certo sì, se da lui non vien la questione». Disse il Meschino: «O re, se io mi rendo voi terrete a cuore queste parole?» Disse il re: «Certo sì». Allora il Meschino s’inginocchiò e diedegli la spada, ed il re comandò, pena la vita, che niuno l’offendesse, e disse: «Egli ha fatto come un valente cavaliero a difendersi», e prese la spada in mano, e poi lo fece mettere in prigione, ordinando che gli fosse dato quello che gli bisognava. Per le parole che il Meschino disse innanzi che si rendesse, il re fece pigliar tutti i pastori, e furon messi in prigione, ma non dove era il Meschino, per intendere la verità dell’una e dell’altra parte.
Passati i tre giorni da che furono messi in prigione i baroni furono menati dinanzi al re, ed egli li esaminò, e sentito come il fatto era andato per loro sacramento, e per le ferite dei Combattimento coi cani. suoi compagni, cioè per le morsicature de’ cani, e per quelli che eran tutti morsicati, che dicevan come i pastori avevano attizzati i cani, e gridavano del danno loro, e del loro male, furono rimessi in prigione. Il Meschino se ne accorse, che la maggior parte de’ pastori erano ritenuti, come egli, e per questo non si dubitò di morte. Fugli detto da uno di quelli, che lo guardavano, che il re aveva ogni cosa saputo da’ Mandriani, nondimeno stette in prigione tre mesi, poi fu tratto fuora in capo di tre mesi e due dì. Il Meschino fu rivestito, ed ogni uomo gli faceva riverenza, e per quello credette che fosse fatto beffe di lui. Il re gli faceva grande onore, e domandogli la perdonanza di averlo tenuto in prigione, ed egli ne fu contento. Allora gli domandò il Meschino: «Come mi avete così liberato?» Il re disse: «La cagione della tua liberazione è questa: gli Arabi hanno cominciato guerra contra il Soldano di Babilonia. Il Soldano mandò molta gente contra il loro, la qual è stata sconfitta; quelli d’Egitto pieni di paura mandarono ad un idolo, ed hanno fatto sacrifizio, e domandarono consiglio della guerra. Hanno avuto in risposta di pigliare un capitano cristiano se vogliono vincere la guerra, altrimenti non possono vincere, e deliberando di mandar in Grecia per Alessandro, un sacerdote ricordò al Soldano, dicendo, come tu eri in Polismagna in prigione, e per questo il Soldano ha mandato per te. Ma non voglio, che niuno si possa lamentar di giustizia tanto quanto comporta la mia discrezione, e sappi, che io feci ritener tutti questi, che hanno avuto parte in questa cosa, i quali esaminati, dissero che i cani avevano assaltato te e i tuoi compagni. Feci consiglio con i miei giudici, che provarono come i cani erano scusati, perchè facevano il loro officio, ma per la morte di tanti, meritavano la morte». Il Meschino rispose: «Se avessi un cane, e lo mettessi addosso a una persona, ed il cane per questo l’uccidesse, quel ch’è messo addosso alla persona meriterebbe egli la morte?» Rispose di sì, ma che i cani dei Mandriani non avevano ucciso alcun di loro, ed egli da capo disse: «Se un malandrino assalta alla strada per rubare, e quel ch’è assaltato si difende, il rettor li piglia, e trova che l’assaltato ha morti due de’ malandrini, e due son presi, chi deve morir di questi, colui che si era difeso, ovvero quei due malandrini?» Rispose: «I due malandrini debbono morire». Il re allora seguì: «Io giudicai, che tu stessi tanto in prigione, che mandassi al Soldano, e mandai ambasciatori al Soldano a dir della tua questione. Fummi risposto, che se tu avevi rubato ai Mandriani quando i cani ti assalirono che io ti facessi morire, e se i pastori consentivano l’assalto dei cani per guadagnare la vostra roba, che quelli ch’erano morti riavessero il danno, e quelli ch’erano campati li facessi tutti morire, e sappi, che questa cosa è molto stata esaminata; onde i pastori furono assai biasimati; nientedimeno non per te campare, nè per loro ho voluto fare contro la giustizia, anzi ordinai che tu fossi menato in Babilonia insieme con i pastori. Ora la fortuna, o forse la ragione ti ha aiutato; sei fuor di pericolo, e sei capitano; pregoti giudicare i pastori che ancora sono in prigione, e pregoti non li giudicar nè per vendetta, nè per superbia, nè per ira, ma come gentile e giusto cavaliere, quale mi sembri», e posesi la lettera in mano della elezione la quale in questa forma era espressa. «Gli Arabi con centomila vengono contra noi, passano in Egitto, condotti da due capitani, cioè Nabar e Falnar di Armenia. Il nostro capitano hanno ucciso, e la nostra gente sconfitta e rotta; noi con gran riverenza sacrificammo al dio Amone: dio Bacco rispose, ch’era di necessità far un capitano cristiano, e volevamo mandare in Grecia a Costantino per Alessandro, ma un sacerdote di Apollo ci disse: Mandate a Polismagna, per quel ch’è prigione. E però veduta la presente lettera lo farai cavar di prigione, e tu con lui vieni con quanta gente puoi del tuo regno in aiuto nostro e di tutto l’Egitto». Il Meschino allegro, alzò le mani al cielo e lodò Dio, e la sua SS. Madre, che più grazia gli faceva, che non dimandava, e però fece dar morte ai pastori, ma prima fece lor constare, come molti per questo modo avevan fatto morir col mezzo dei cani, ed avevano avuta la roba loro. Fece venire tutti i cani, e fece loro mangiare quelli, ch’erano usi a mangiar i corpi umani. Fece ordinare che in quel paese mai più non si tenessero cani, e, mandato qua e là un giustiziere, il paese di poi rimase sicuro.