Grand Tour/II
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AGRICOLTURA E REGIONI: I NODI AL PETTINE
Incontro a Potenza, nel cuore di una regione che pare vivere di terremoto, con i responsabili dell'agricoltura regionale: organizzazioni professionali, cooperative, l'associazione degli allevatori. Da un ideale processo alla politica regionale emergono i capi d'accusa, gli argomenti di difesa, gli elementi per concedere una mora di giudizio
Sua Eccellenza il Sisma
Tra tutte le città nelle quali mi hanno condotto la passione di turista o il mestiere di reporter l'incontro con Potenza mi propone una vista cui non so confrontare alcuna esperienza precedente: accalcata su un dosso tra mille dossi deserti, é una città ingabbiata tra centomila stampelle: metà degli edifici sono serrati tra solidi ponteggi di ferro alzati per sostenerli durante la riparazione dei danni del terremoto. Tra le cortine di carpenteria metallica, qualche ponteggio di legno, qualche graticciato su cui un rampicante é salito fino al terzo piano: sopravvivenze, il viaggiatore immagina, di lavori iniziati dopo altri terremoti.
Potenza, é noto, é la città di sua eccellenza Emilio Colombo. A chi constata il numero dei cantieri essa si rivela, più propriamente, città di sua eccellenza Colombo e del Terremoto. È il Terremoto che provvede, infatti, secondo le regole di un fato antico, a produrre crepe e lesioni nei suoi edifici, é sua Eccellenza a provvedere Potenza dei fondi necessari a ingabbiarli e a procedere, lentamente, al loro consolidamento. In attesa che il Terremoto ottemperi, di nuovo, ai propri uffici.
Se la sismologia occupa un posto, peraltro, nel novero delle discipline geologiche, esiste una sismologia anche tra le discipline politiche. La prima registrò, con la sommaria freddezza delle scienze naturali, l'epicentro dell'ultimo tremito dell'Appennino appulo-lucano nell'area di Sant' Angelo dei Lombardi, la sismologia politica di epicentri ne identificò, successivamente, due, uno nel centro di influenza di w:Emilio Colombo, uno in quello di Ciriaco De Mita: tra i due poli la delimitazione delle aree di diversa intensità sismica, secondo il peso relativo degli amici delle Loro Eccellenze, non é stato impegno agevole né immediato. Dovendosi ridurre, all'estinguersi, nei prossimi anni, dei fondi, il numero dei ponteggi, le tensioni tettoniche sono destinate, inevitabilmente, ad acuirsi. Con gravi rischi di nuovi sussulti
Il bradisismo
La correlazione che lega il Terremoto e il Potere politico costituisce il termine di confronto più proficuo per indagare sui rapporti tra la politica regionale e l'agricoltura, lo scopo del mio viaggio a Potenza, un obiettivo che impone di verificare le reazioni delle autorità regionali di fronte a un fenomeno che rivela, anch'esso, inconfondibili caratteri sismici, che si manifestano in forma opposta, tuttavia, a quelli del terremoto. Perché non é terremoto, infatti, ma é bradisismo. All'osservatore che la rivede dopo qualche anno di assenza l'agricoltura lucana presenta l'immagine di un'isola che affonda lentamente: affonda la zootecnia della montagna, una zootecnia estensiva indifesa all'urto della concorrenza comunitaria, eppure sottoposta a tutte le coazioni della zootecnia comunitaria, affonda la cerealicoltura della media collina, travagliata da sette anni di siccità e invano sorretta dalle provvidenze nazionali e regionali, tante, peraltro, promesse e mai erogate, affonda l'agricoltura avanzata del litorale metapontino, una delIe aree ortofrutticole più feraci d'Italia, dove nel disordine mercantile la panacea universale di tutte le alee colturali é l'Aima: Aima per il pomodoro e per le pesche, Aima per l'uva da tavola e per il vino. O le sovvenzioni regionali, come quella, 400.000 lire per ettaro, varata per rianimare la coltura della barbabietola, una pianta che pareva voler abbandonare per sempre, ormai, il litorale ionico.
Latte, orzo, suini
Il giudice più severo che incontro, nel mio itinerario tra i rappresentanti dell'agricoltura regionale, dell'intervento pubblico, in particolare quello regionale, é Domenico Bronzino, presidente dell'Unione regionale degli agricoltori. Non é facile citare un caso solo, mi spiega, in cui i grandi investimenti per infrastrutture industriali nel settore agroalimentare abbiano prodotto, in Lucania, risultati felici: le centrali del latte, monumenti ciclopici disseminati sulle nostre montagne, non sono riuscite a conquistare un litro di latte agli allevatori, che lo manipolano in azienda, né a sottrarlo ai trasformatori artigiani: il loro fallimento é stato coronato dal crollo, sotto la neve, del tetto di quella della Val d'Agri, che é in media montagna, dove la neve é la regola, ma dove non era previsto che sulla centrale potesse nevicare. Gli impianti cooperativi costruiti allo scopo, idealmente encomiabile, di concentrare l'offerta dei prodotti della fascia litoranea, realizzati, nella realtà, per assicurare gettoni e stipendi a clienti fedeli, non sono mai decollati. Eppure si litiga ancora per una presidenza o una direzione, che consentono ameni soggiorni a spese del ripianamento prossimo venturo. E i trionfi suinicoli? Fu deciso di collocare un megaimpianto, incalza, impietoso, il mio interlocutore, nell'area industriale di Potenza, per fruire di tutte le provvidenze del caso. Purtroppo gli artefici del progetto si preoccuparono dei contributi, non considerarono il corso dei venti, col risultato che ad un'ora determinata del giorno, tutti i giorni, la città, che ha nell'aria di montagna uno dei propri vanti maggiori, era investita dal lezzo dei suini collocati ai suoi piedi. Hanno dovuto chiudere, e le porcilaie deturpano quello che resta dello splendido fondo valle che non é più. L'ultima invenzione della classe politica lucana é una grande malteria: si proclama che sarà una della maggiori del Paese, costruita al centro di una regione che di orzo non ha mai prodotto più di quanto ne impieghi nell'alimentazione di qualche centinaio di cavalli e di suini. Perché se ne produca si dovranno erogare contributi per ogni ettaro coltivato, imboccando una strada senza meta ma anche senza ritorno. Quanti ettari dovremo sovvenzionare? E a che prezzo? Mentre constatiamo il fallimento delle velleità industriali, la Regione ci mostra lo spettacolo indecoroso dell'incapacità di usare gli strumenti a sua disposizione, ma non sottoposti al suo arbitrio esclusivo. La nuova direttiva sulle strutture, la 797, non ha animato, insiste Bronzino, che dibattiti accademici: nessun impegno per fermare parte di quel denaro che sta irreparabilmente scorrendo dalle casse comunitarie verso le agricolture concorrenti. E conoscendo lo stato di salute finanziaria della Cee é difficile prevedere che un altro regolamento a favore delle strutture possa essere mai più varato. Stiamo perdendo anche l'ultima occasione, la prova d'appello che era stata concessa a chi ci amministra. Come stiamo perdendo l'ultima occasione della politica comunitaria per le regioni svantaggiate: anche i programmi mediterranei sono stati straordinaria occasione di convegni. Dai quali é nato, fino ad 'ora, un solo progetto, la cui notula é stata pagata agli estensori senza che l'assessore competente si sia peritato di apporre la firma necessaria all'inoltro a Bruxelles.
Senza programmi
Potremmo definirci la regione dell'emergenza continua, esordisce Nicola Manfredelli, presidente regionale della Confcoltivatori: terremoto, grandinate, siccità, che sono state calamità dalle conseguenze gravi, ma delle quali si é usato, sistematicamente, come pretesto per sfuggire ad ogni impegno di programmazione, all'elaborazione di risposte organiche alle domande sul futuro della nostra agricoltura. In più di un comprensorio si registrano, é doveroso riconoscerlo, esperienze significative, prove di intraprendenza, ma é un progresso episodico, spontaneo, senza corrispondenza ad alcun disegno. Lo prova il fatto che nessuna politica organica é mai stata apprestata per la zootecnia, l'attività portante delle aree interne, quindi meno pronta ad evolversi spontaneamente, lo conferma l'estensione dei cereali nelle aree di recente irrigazione, dove é stata portata l'acqua, dove con l'acqua non é giunta alcuna proposta credibile di riconversione colturale. Ci forniscono la dimostrazione trasparente delle attitudini della nostra amministrazione, argomenta il Presidente della Confcoltivatori, le scelte di recepimento dei provvedimenti comunitari, tra i quali vengono privilegiati, sistematicamente, quelli che assicurano strumenti di erogazione diretti e di utilizzo immediato, rifiutando quelli che richiedono capacità di prospezione e di indirizzo. Viene recepito il premio per la nascita dei vitelli, o l'indennità “compensativa”, non il piano di sviluppo, che imporrebbe l'assunzione di autentiche capacità di amministrare
La brucellosi
Alleviamo animali e ne commercializziamo i prodotti, spiega Luigi De Trona, presidente dell' Associazione regionale allevatori, senza poter contare su nessuno degli strumenti che costituiscono il supporto necessario di qualsiasi zootecnia moderna. Tutto l'apparato pubblico per i controlli sanitari versa in stato comatoso, assolutamente incapace di operare. Siamo arrivati alla tragicommedia: sospettando, per la frequenza degli aborti, l'esistenza, in un certo comprensorio, di un focolaio di brucellosi, ma non riuscendo, nonostante le insistenze, a ottenere i controlli necessari, l’Associazione ha dovuto provvedere direttamente, approfittando delle ferie del veterinario competente, per dimostrarne la presenza. La carenza ci pone al limite della regolarità per quanto riguarda le verifiche della produttività, che l'Aia prescrive siano eseguite in stalle dichiarate indenni. Quale stalla può essere ritenuta indenne se gli organismi ufficiali non controllano l'indennità? E' un'assurdità complementare a quella della mancanza, nella regione, che é regione di allevamento, di un servizio zooprofilattico capace di provvedere a tutte le esigenze degli imprenditori. Abbiamo un istituto zooprofilattico in condominio con la Puglia: non muovo alcuna obiezione alla natura interregionale, proclamo, però, che é mio diritto fruire di tutte le analisi che mi siano necessarie presso una sede distaccata, a distanza ragionevole dalla mia azienda, di non dover correre a Foggia ogni volta mi occorra procedere a un esame che esce dalla routine più banale. Se, poi, dal terreno dei controlli sanitari passiamo a quello della trasformazione e della commercializzazione, dalla tragedia passiamo alla farsa: la regione é stata costellata di cosidette “centrali del latte”, solo quella di Potenza ha la capacità di trasformare 1.800 quintali al giorno. Non se ne producono, probabilmente, tanti, in tutta la regione. Una centrale per fare cosa? Latte u.t.h., uno dei derivati del latte dal valore aggiunto più modesto, in una terra dove le vacche producono, in montagna, un latte di costo altissimo, ma di altrettanto elevata qualità, dal quale si possono ricavare specialità casearie di valore proporzionale. Dieci miliardi di strutture inutili, oltre ai sistematici ripianamenti delle perdite di gestione: eppure l'impianto di Potenza da solo non bastava, insiste De Trona, così é stato fatto quello della Val d'Agri, tanti altri miliardi, questi travolti dalla neve. Pensi che tra le giustificazioni del crollo i responsabili si sono peritati di dichiarare che la neve della Val d'Agri avrebbe un peso specifico maggiore della neve comune d'Italia, e che non potevano supporre l'anomalia.
Il raccordo
Connetto giudizi e notizie dei responsabili delle organizzazioni agricole sommandole a perplessità alimentate da tempo, e le propongo all'assessore regionale all'agricoltura, Gabriele di Mauro, poco più di cinquant'anni, avvocato, socialista: un connotato di frattura in un assessorato chiave per una regione a economia agricola, tradizionalmente democristiana. Dopo il primo mandato, inevitabilmente transitorio, le regioni hanno disposto di due legislature, sottolineo, per dimostrare la propria capacità di assolvere ai compiti loro assegnati dalla Costituzione. Alle ultime due legislature ha coinciso un periodo di significative trasformazioni dello scenario agromercantile, tali da richiedere risposte coerenti e lungimiranti. Quelle risposte non ci sono state. Non é la prova che la Costituzione ha affidato compiti troppo onerosi a organismi inadeguati?
Ammetto che due legislature potrebbero avere fornito prove più convincenti della funzionalità del meccanismo istituzionale, e riconosco la legittimità delle perplessità, risponde, disarmante, l'avvocato Di Mauro, seppure mi pare si debba ricordare che l'impegno maggiore dell'organismo regionale é stato, fino ad ora, piuttosto quello di consolidare le strutture istituzionali che quello del governo concreto, nel nostro caso, delle vicende agrarie. Sono profondamente convinto, comunque, che il sistema può funzionare, e che é possibile dimostrarne la funzionalità proprio nel governo del settore agricolo. I mercati hanno assunto, ormai, dimensioni mondiali, dettano leggi per ottemperare alle quali é necessario avvalersi sistematicamente dell'innovazione tecnologica, e le regole secondo le quali confrontarci con i mercati sono le regole scritte a Bruxelles. Proprio in questo quadro credo che le regioni possano assolvere ad una funzione essenziale, la funzione di raccordo tra gli impulsi mercantili, la disciplina comunitaria e la realtà locale. Non v'é dubbio, infatti, che governo dei mercati e politica della ricerca sono compiti che investono, per la loro natura, le competenze europee e quelle nazionali: la Regione può costituire, solo ne sussista la volontà, l'elemento di connessione più coerente. E' lo strumento adeguato per promuovere quella partecipazione che l'ispettorato di una volta, uno strumento burocratico, non era in grado di promuovere. E per accrescere l'efficienza nell'espletamento dei compiti regionali rilevo che nella sfera statale si stanno apprestando gli strumenti che ci sono necessari, il nuovo piano agricolo e la legge poliennale di spesa, mentre si moltiplicano gli strumenti a nostra disposizione per la conoscenza dei mercati internazionali, quegli strumenti che ci possono consentire di operare, in ogni ambito produttivo, nella consapevolezza della maglia dei condizionamenti entro la quale la nostra azione deve sapersi orientare. Sono, mi pare, elementi a suffragio di un ottimismo tutt'altro che irragionevole.
Avere sostituito all'ispettore, funzionario imparziale, un rappresentante elettivo non ha determinato, ribatto, la trasfusione in interesse elettorale di tutte le richieste di intervento amministrativo, con l'emarginazione dell'obiettività e dell'imparzialità verso una sfera sempre più irraggiungibile?
La degradazione elettorale della politica regionale é nell'ordine delle cose possibili, riconosce Di Mauro. Mi pare si debba sottolineare, tuttavia, che gli interessi che reclamano tutela in sede regionale sono interessi conflittuali: sul terreno agroalimentare interessi di produttori, di trasformatori, di consumatori, la cui contrapposizione ne postula e ne induce, di per sé, la mediazione e la composizione. E' vero altresì che tra gli interessi in conflitto non sono sempre quelli meglio tutelati a meritare di affermarsi, ma ciò prova che la mediazione deve, comunque, essere operata da chi rivesta responsabilità politica, siccome la mera competenza tecnica può essere aggirata in modo illegittimo. Credo, in ogni caso, che per la nostra regione la nomina di un socialista alla responsabilità dell'agricoltura abbia costituito un significativo elemento di dinamismo: i miei predecessori democristiani erano legati al mondo agricolo da vincoli più solidi e più cogenti, con la conseguenza che su di loro potevano esercitarsi condizionamenti maggiori che su un responsabile che non ha interessi agrari
Partito socialista e agricoltura
Un socialista responsabile del governo dell'agricoltura lucana. Secondo quale filosofia, chiedo a Di Mauro? Della propria filosofia economica il Psi lascia trasparire due anime contrapposte: una anticapitalistica, un po' rivoluzionaria, un po' velleitaria, l'altra neoliberale, efficientista e spregiudicata fino a colorarsi de reaganismo. Con quale delle due l'assessore Di Mauro governa l'agricoltura lucana?
Stiamo cercando il contemperamento di due alternative, e non credo sarà sforzo sterile, risponde il mio interlocutore. L'efficientismo socialista di cui si parla é impegno ad affrontare i problemi concreti, a premiare le scelte innovative, a progredire verso traguardi obiettivamente perseguibili. Credo che il complemento necessario di questa attitudine debba ricercarsi nell'esperienza amministrativa: la conoscenza dei problemi della gente maturata nella gestione di un ente locale, di un'istituzione pubblica, che é stata la strada attraverso la quale sono arrivato, personalmente, all'agricoltura. E' indubbio, peraltro, che questo pragmatismo impone condizionamenti minori, ma offre anche minori certezze, di atteggiamenti più rigidi, penso, ancora, a quelli di certi responsabili delle forze cui siamo alleati. Nell'atteggiamento abituale di un collega democristiano ci sono, palesemente, rischi inferiori: l'autonomia offre dei vantaggi, ma impone anche delle alee.
Quali sono state, chiedo a Di Mauro, le reazioni delle forze agrarie alla rottura degli equilibri costituita da una presenza socialista all'assessorato che rappresenta il loro interlocutore abituale?
Dall'atto della mia nomina, che é ancora evento recente, mi é stata concessa una tregua d'armi, risponde l'avvocato Di Mauro. Riconosco, in questo, la correttezza dei miei interlocutori, che attendono, palesemente, le mie scelte per giudicarle. Sul piano delle affinità, é indubbio che mi sento più vicino, per l'opzione per i valori dell'efficienza e della produttività, alle forze che sottolineano le urgenze di sviluppo produttivistico e imprenditoriale dell'agricoltura, meno vicino a quelle più propense all'uso generalizzato di strumenti di erogazione a fini di tutela.
Mi ha detto dell'ispirazione della sua gestione: in quali obiettivi essa é destinata a prendere corpo, chiedo a Di Mauro? Quale strategia proporrà al mondo agricolo regionale che attende di conoscere le sue scelte?
E' mia intenzione, é la risposta del mio interlocutore, orientarmi verso poche scelte essenziali. Che mirino ad incidere sul problema capitale della trasformazione dei prodotti. In termini diversi dal passato: suppongo non sia mancato chi le abbia parlato delle nostre centrali del latte, espressioni di un approccio al problema degli sbocchi commerciali disancorato da ogni analisi obiettiva della domanda. L'analisi della domanda, la consapevolezza che esistono mercati soprassaturi, ci dicono che se oggi c'é ancora spazio per vendere prodotti agricoli, quello spazio é aperto piuttosto per le produzioni di qualità. E la nostra regione, per le proprie condizioni ambientai i e aziendali, possiede un’evidente vocazione a produrre derrate di elevata qualità: pensiamo ai nostri caciocavalli e alle nostre ricotte, che sul mercato di Milano potrebbero essere vendute al prezzo che volessimo chiedere. Ma vendere a Milano comporta una continuità di rifornimenti che impone, oltre alla qualità, la quantità, che obbliga a perseguire, quindi, la costanza della prima accrescendo la seconda. Credo sia la grande sfida che la nostra agricoltura deve affrontare, l'unica strada attraverso la quale potrà emanciparsi dal retaggio letale dell' Aima, e da tutti i meccanismi affini.
Ma per vendere a Milano, oltre a produrre i caciocavalli, bisogna disporre di strumenti adeguati per la loro vendita. Le “centrali del latte” lucane non sono state esperienza propriamente felice, senza la flebocisi dei ripianamenti regionali pare che in Lucania le cooperative non possano sopravvivere. A chi affiderete, Assessore, l'immissione sui mercati dei vostri prodotti di qualità?
Parlare di cooperazione nella nostra regione equivale a parlare di capannoni sorti inopinatamente, scatole vuote che si sono candidate alla commercializzazione, riconosce icastico Di Mauro. Stiamo dirigendoci alla creazione di una società di commercializzazione, ma sappiamo che i problemi sono oltremodo ardui. Per sviluppare un'industria di trasformazione non basta costruire gli stabilimenti, bisogna che agli stabilimenti arrivi la quantità di materia prima necessaria nei tempi concordati. Nelle nostre aree irrigue, come risposta alle incertezze, anche le aziende più piccole si dedicano alla più impensabile molteplicità di colture, la specializzazione é chimera irraggiungibile. E l'inoltro alla trasformazione risente ancora della mentalità di quando si portava la verdura ai mercato sull'asino bardato con due “cofani”. L'industria non si piega alle lentezze dell'agricoltura, pretende efficienza, se non la trova da noi la cerca altrove. Sono questi i termini del nostro problema agroindustriale.
Cooperazione: produrre educando?
E' per conoscere cosa abbia realizzato e cosa intenda operare per l'agricoltura lucana la cooperazione che incontro Saverio Lamiranda, presidente della Confcooperative, un'organizzazione giunta nella regione, nel 1978, con un biglietto di viaggio emesso da Giovanni Marcora, che facilitò l'acquisizione e la ristrutturazione di uno dei monumenti della politica del nulla agroindustriale nel Mezzogiorno, il grande impianto per la trasformazione del pomodoro di Lavello. Dal pomodoro l'organizzazione si é rivolta, successivamente, a sfere diverse, ad altre ancora si sta protendendo. Compiacimento delle realizzazioni e ambizione dei programmi futuri promanano luminosamente dall'eleganza della sede dell'organismo, un antico palazzo restaurato con gusto raffinato, smagliante di cristalli e moquettes. Un'associazione ineludibile mi riporta alle visite al Presidente dell'Unione di casa mia, nello studiolo francescano da cui ricevono ordini decine di caseifici, centrali ortofrutticole, cooperative edilizie, un business di centinaia di miliardi. Candidamente, non posso non manifestare la prima impressione al mio ospite, chiedendogli quale macchina economica muova da tanto elegante centro manageriale.
Vantiamo, é la risposta di Lamiranda, uno degli impianti di punta, sul piano nazionale, per la trasformazione ortofrutticola: Lavello, dopo la ristrutturazione, dispone di una potenzialità di trasformazione di 700.000 quintali. Alla catena di lavorazione del pomodoro abbiamo aggiunto una linea di trasformazione della frutta che entrerà in attività quest'anno, e abbiamo definito i programmi per intervenire nel settore degli ortofrutticoli freschi. A Policoro abbiamo assunto l'onere di riavviare lo zuccherificio, e dopo l'esperienza del primo anno, senz'altro positiva, quest'anno, con 4.500 ettari impegnati, gli impianti potranno lavorare a regime accettabile, anche se la meta che ci proponiamo sono 8.000 ettari. Abbiamo due cantine sociali, una a Metaponto, una a Aglianico, e presto le affiancheremo con un acetificio, ad Acerenza, capace di trasformare 50.000 quintali di vino. Ai nostri silos sono stati conferiti, l'anno scorso, 300.000 quintali di grano duro, e in tre anni prevediamo di raggiungere un volume di 800.000, su una produzione regionale di 2 milioni. Muovendoci, insieme, per l'approvvigionamento di mezzi tecnici degli agricoltori che ci affidano i propri prodotti.
Ma il pomodoro ha conosciuto il rilancio degli anni scorsi grazie a una sovvenzione comunitaria, obietto, di cui Lavello é creatura legittima, le barbabietole in Lucania si coltivano grazie ad un sostanzioso contributo regionale, e il grano duro lo ammassate perché, per ogni quintale che consegna, il conferente riceve una consistente anticipazione, secondo una procedura cooperativistica tipicamente siciliana. Non sono, queste, le prove che la cooperazione lucana sopravvive se ed in quanto a chi partecipa alle vostre imprese la collettività assicura generose elargizioni?
Non v'é dubbio che in tutti questi meccanismi l’ingranaggio è mosso dal denaro pubblico, riconosce il mio interlocutore, ma sottolineo che gli incentivi hanno ipnotizzato tutto il mondo agricolo: impegnarsi per animare una cooperazione che sappia autogestirsi, che accresca il capitale trattenendo una quota delle liquidazioni, che é il nostro impegno, impone uno sforzo titanico. Lo stiamo esperendo, senza farci illusioni sui tempi che saranno necessari per diffondere una mentalità nuova. Ma perché il nostro sforzo possa riuscire occorre che anche attorno a noi il quadro si evolva, che l'assistenzialismo incondizionato trovi freni e limiti. La cooperazione é sempre stata ritenuta, in questa terra, la soluzione per le congiunture critiche, la tramoggia dove scaricare i prodotti quando i commercianti non compravano, per tornare a vendere ai commercianti appena offrissero una lira più di quanto potesse anticipare la cooperativa. Stiamo lavorando per cambiare. A Lavello l'accordo interprofessionale dell'anno scorso ha ridotto la quota che possiamo trasformare: siccome lavorando al di sotto delle potenzialità rischiamo che i costi risultino eccessivi, abbiamo detto agli associati che il consorzio non può garantire il prezzo regionale. In molti si sono ribellati, pretendendo garanzie sulla liquidazione. Ma il consorzio non garantirà, distribuirà, secondo la regola della cooperazione, quello che avrà guadagnato dalla trasformazione, e credo non mancheranno gli agricoltori che accetteranno la regola. Nel Brindisino centinaia di coltivatori conservano, in cornice, gli assegni a vuoto con cui commercianti salernitani hanno pagato, l'anno scorso, i pomodori: La cooperazione garantisce di pagare: quanto dipende dal bilancio. Lo zuccherificio di Policoro, controdeduce, ancora, Lamiranda, ha riaperto, é vero, grazie a sussidi pubblici, ma se l'impresa si svilupperà nel tempo non sarà, pretendo si riconosca, per quei sussidi, sarà per la sicurezza che saremo riusciti a ristabilire sul futuro della bieticoltura. E per quanto riguarda il frumento l'ammasso favorito da un'anticipazione a tasso agevolato equivalente a quattro quinti del prezzo costituisce, convengo, espressione di una cooperazione anomala, ma stiamo cercando di convincere la Regione ad affidare l'erogazione alla cooperazione: siccome non tutti i conferenti hanno immediato bisogno di quel denaro, con fondi immutati potremmo, progressivamente, conquistare spazi maggiori. Mi pare un'espressione di responsabilità nell'uso del denaro pubblico. Aggiunga che ai conferenti di grano duro tratteniamo il 2 per cento del valore del prodotto come quota sociale.Potrà sembrare poco: per farlo abbiamo dovuto vincere resistenze ingenti. E' una scelta che si scontra con una tradizione antica e radicata, contiamo non immutabile.
Al di là del consolidamento delle iniziative che avete in corso, e considerando i condizionamenti della tradizione, quali mete può perseguire, chiedo a Lamiranda, la cooperazione in Lucania?
Integrare l'adesione delle aziende che conferiscono ad uno o all'altro dei nostri organismi, risponde il Presidente regionale della Confcooperative, offrendo loro lo sbocco per le altre produzioni, e l'acquisizione dei mezzi tecnici relativi. Dato il numero delle aziende che associamo, sommeremmo una quota ingente della produzione regionale, in tutti i settori. E faremmo di aziende che partecipano alla cooperazione sporadicamente, per un solo prodotto, aziende integrate funzionalmente nel tessuto cooperativistico. Ma entrando nella sfera dei mezzi tecnici invadereste, annoto, lo spazio del Consorzio agrario, in cui avete già messo piede ammassando frumento. Quali sono i vostri rapporti con il Consorzio agrario della Lucania?
Ci sforziamo di andare d'accordo, é la lapidaria risposta del mio interlocutore.
Il tramonto dei sogni
Cerco di ricavare la sommatoria delle notizie, ammissioni, proposte dei miei interlocutori. Il risultato che ne desumo si contrappone ad uno slogan che conobbe una stagione fortunata, ricordo, sui fogli agrari di vent'anni fa: il Metaponto tessera di quella California d'Europa che qualcuno immaginava si sarebbe dilatata da Caserta a Trapani, che non é mai stata, che forse non sarà mai. Propongo l'antitesi all'assessore Di Mauro.
Il Metaponto era, mi risponde, in decenni non ancora remoti, terra di palude e di malaria. Prima la bonifica, poi l'irrigazione, lo hanno trasformato in un'area di agricoltura ad altissima produttività, e di elevata imprenditorialità. Ci sono produzioni metapontine che affrontano i mercati con successo, basta ricordare l'actinidia. Ci sono, é vero, produzioni in difficoltà, per le quali dobbiamo ripensare i canali di immissione sui mercati. Dobbiamo ripensare la commercializzazione, ripensare la trasformazione industriale, insiste Di Mauro, nella consapevolezza delle scelte che i due obiettivi implicano in termini di specializzazione colturale, delle quantità di cui é necessaria la disponibilità, degli orizzonti geografici e temporali entro i quali é necessario operare le scelte mercantili. Non si può dimenticare, peraltro, che la nostra é una piccola regione, che é vano immaginare disancorata da un contesto più ampio. Sarebbe gratuito presumere che possiamo risolvere noi tutti i nostri problemi.
Ma non é proprio il campanilismo regionale, obietto, che costringe a pensare il futuro delle produzioni meridionali in termini obbligatoriamente localistici? La Sicilia ha la sua politica agrumaria, la Calabria la sua politica olivicola, la Puglia una politica del vino, la Lucania la sua strategia delle centrali del latte.
Credo che proprio la Lucania possa offrire qualche elemento di speranza a chi paventa il frazionamento regionalistico, mi rassicura Di Mauro. Siamo una piccola regione incastonata tra tre regioni più grandi e profondamente diverse. Quando le nostre montagne si attraversavano solo sulle mulattiere, l'area settentrionale del Potentino gravitava economicamente su Salerno, Matera su Bari, tutte le montagne che attorniano il Pollino sui borghi calabresi dell'area di Sibari. Siamo, per questo, una regione di congiunzione e di saldatura, tradizionalmente educata ai rapporti con i nostri vicini. E oggi siamo chiamati a risolvere problemi di enorme importanza, l'utilizzazione delle acque delle nostre valli, con la Puglia che ne é assetata. Per la formazione tecnica in agricoltura siamo consorziati con Puglia e Calabria, per il commercio degli ortofrutticoli non possiamo disinteressarci dei mercati della Campania. Sarà, é difficile pensare altrimenti, un processo faticoso, ma sui problemi dell'agricoltura meridionale dobbiamo cominciare a riflettere insieme a coloro che sono responsabili, con noi, dell'agricoltura in questo contesto di regioni.
Dal pragmatismo socialista l'ultima speranza per l'incerta, vacillante agricoltura del Mezzogiorno? Buon lavoro, Assessore.
- Terra e vita, n. 25 1986