Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte III/Capitolo II. I suffissi. Derivazione propria.
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CAPITOLO II
I Suffissi. Derivazione propria.
§ 1. La derivazione, propriamente detta, di parole da altre parole, si fa mediante il suffisso, che consiste in alcune lettere (compresa la flessione o terminazione grammaticale) attaccate in fine al tema o radicale di una parola. Donde sorge la distinzione fra parole primitive e derivate; dicendosi primitive quelle dove non apparisce altro elemento che il tema e la flessione; derivate quelle dove al tema si vede appiccato un suffisso. P. es. da lod-áre voce primitiva nascono, mediante i suffissi, lod-évole, lod-evolíssimo, lod-atóre, lod-atríce, ecc. che sono voci derivate. Da am-áre primitiva, nascono am-óre, am-oróso, am-orévole, am-orevolézza, ecc. voci derivate. Una voce derivata può avere un solo ed anche più suffissi. Così lod-évole ne ha uno; lod-evol-íssimo ne ha due; am-or-os-étto ne ha tre (óre, óso, étto).
A tutto rigore anche le flessioni sono suffissi, come apparisce chiaramente nei verbi; ma in una grammatica pratica qual è la nostra, bisogna procedere a grandi tratti, lasciando le più profonde ricerche alle grammatiche storiche, e specialmente a quelle delle lingue originali, come il sanscrito ed il greco.
§ 2. Fra i derivati della nostra lingua una gran parte, anzi la maggiore, sono voci già formate in latino, e passate tali e quali, salvo piccole ed esteriori modificazioni, nella favella italiana. E molte di queste non si possono scomporre in maniera, che se ne vegga chiara la derivazione o il significato, senza ricorrere al latino. P. es. ígn-eo, vir-íle, út-ile sono voci la cui formazione esce dal campo nostrale, perchè non usiamo nè ígne per fuoco, nè víro per uomo, nè un radicale ut- che dia origine ad alcuna voce italiana primitiva. Altre parole, benchè già formate in latino, mostrano però chiaramente la loro derivazione; p. es. fèrr-eo da fèrro; opin-ióne da opináre; mort-ále da mòrte, impera-tóre da imperáre, ecc. ecc.
Or noi, esponendo i principali suffissi della lingua italiana, porteremo esempii di derivazioni che o siano del tutto italiane o che, se sono già latine, si lascino chiaramente spiegare anche nella forma nostrale.
§ 3. La parola primitiva attaccandosi il suffisso conserva, per lo più, inalterato il suo radicale.
I temi fìnienti in c e g gutturali, accoppiandosi ad un suffisso che cominci per i od e, seguono per regola generale la flessione del plurale, cioè a dire: conservano la gutturale, quando si conserva anche in tal flessione, e la mutano nella corrispondente palatale quando la flessione stessa la muta (vedi P. II, cap. iv, §§ 10 e 11) p. es.: lárgo, lárghi, larghézza; dúca, duchéssa; túrco, turchésco; cuòco, cuochíno; vácca, vácche, vacchína; fuòco, fuochísta; dròga, droghière; clássico, classicíssimo.
§ 4. Vi sono per altro alcune eccezioni, specialmente coi suffissi ía, ità, íno (non diminutivo), ísmo, ízia e talora èllo che preferiscono la palatale; p. es. mágo, mághi, magía; cadúco, caducità; cièco, cecità; vácca, vaccína; opáco, opacità; tònaca, tonacèlla: pudíco, pudíchi, pudicízia; diálogo, dialogísmo.
Ciò accade talora anche col suffisso íssimo; p. es. pudíco, pudicíssimo; cadúco, caducíssimo.
Al contrario i suffissi diminutivi íno ed étto ed il suffisso ézza preferiscono la gutturale anche quando il plurale abbia la palatale; p. es. médico, medichíno; amíco, amichíno e amichétto; mònaco, monachétto e monachíno.
Altre eccezioni: pòrco, pòrci, porchería; árco, árchi, arcière, ecc.
§ 5. Il dittongo uò quando nella derivazione perde l’accento, si scempia e diventa o: p. es. nuòvo, novità; suòno, sonáglio; buòno, bonário, boníssimo; fuòco, focherèllo; figliuòlo, figliolétto; cuòre, corággio.
Il dittongo resta per lo più negli avverbii composti da ménte; come in buonaménte, nuovaménte. Alcuni lo conservano anche nei superlativi, scrivendo buoníssimo e nuovíssimo.
Il dittongo iè anch’esso, col perdere dell’accento, suole scempiarsi, restando e; p. es. Sièna, senése; volentièri, volenteróso; piède, pedèstre, pedóne; leggièro, leggerézza; fièro feríno.
Si conserva però generalmente coi suffissi di aumento, diminuzione e peggioramento; p. es. piède, piedíno, piedóne, piedáccio; e in tutti que’ casi in cui tal dittongo non è un semplice ampliamento di e (casi che si possono accertare solo col confronto del latino). Onde abbiamo, p. es.:
sciènza | scienziáto |
pièno | pienézza |
chièsa | chiesuòla. |
piève | pieváno |
fièno | fieníle |
sièpe | assiepáre. |
Si conserva pure coi suffissi ézza e talora con íssimo; p. es.:
fièro | fierézza |
fièro | fieríssimo |
tièpido | tiepidézza |
liève | lievíssimo |
vièto | vietíssimo. |
§ 6. In generale, quasi tutte le differenze che si riscontrano nel tema fra la parola primitiva e la derivata, hanno la lor ragione nel latino; perchè spesso la voce derivata è stata presa dal latino direttamente dagli scrittori, e perciò conservata nella sua forma originale. Ecco perchè abbiamo accanto a
chiamáre | clamóre |
chiérico | clericáto |
cénere | cinèreo |
piázza | plateále |
prèzzo | prezióso |
sapére | sapiènza |
sostánza | sostanzióso |
vétro | vítreo |
e tanti altri casi somiglianti. Spesso accanto ad un derivato italiano si trova anche il derivato latino, p. es. accanto a
fièro | fierézza | e ferità |
fióre | fioríto | flòrido |
cièco | ciechézza (antiq.) | cecità |
sécco | secchézza | siccità. |
§ 7. L’accento della parola derivata, regolarmente passa dal tema nel suffisso: p. es. da baróne, baronía; cáne, canáglia; paúra, pauróso. Si eccettuano alcuni fra i derivati con suffissi tutti di vocali (io, ia, eo, ea) ed alcuni pochi col semplice suffisso ico; i quali conservano l’accento sul tema; p. es. assassínio, abomínio, Rússia, fèrreo, itálico, ecc.
§ 8. Talora il vero suffisso è preceduto da un altro che serve di formazione, senza che aggiunga nulla al significato: tali sono più spesso er in er-ía, er-éccio, ecc. (p. es. furb-er-ía, bosch-er-éccio), ed at od it che ricordano la flessione partecipiale (p. es. batt-it-úra, fond-it-úra, ecc.). Talora serve di formazione il suffisso áccio come in corp-acci-áta, scul-acci-áre, ecc.; e spesso ancora il suffisso olo, che ora si premette, ora si pospone al vero suffisso (vedi più oltre).
Vi sono poi veri suffissi composti, dove cioè le varie parti del suffisso modificano entrambi il senso della parola, come in cappellucciáccio, casináccio e sim. nei quali úccio ed íno danno un senso diminutivo; ed áccio peggiorativo (vedi più oltre).