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260 | parte terza — cap. ii |
tino, e passate tali e quali, salvo piccole ed esteriori modificazioni, nella favella italiana. E molte di queste non si possono scomporre in maniera, che se ne vegga chiara la derivazione o il significato, senza ricorrere al latino. P. es. ígn-eo, vir-íle, út-ile sono voci la cui formazione esce dal campo nostrale, perchè non usiamo nè ígne per fuoco, nè víro per uomo, nè un radicale ut- che dia origine ad alcuna voce italiana primitiva. Altre parole, benchè già formate in latino, mostrano però chiaramente la loro derivazione; p. es. fèrr-eo da fèrro; opin-ióne da opináre; mort-ále da mòrte, impera-tóre da imperáre, ecc. ecc.
Or noi, esponendo i principali suffissi della lingua italiana, porteremo esempii di derivazioni che o siano del tutto italiane o che, se sono già latine, si lascino chiaramente spiegare anche nella forma nostrale.
§ 3. La parola primitiva attaccandosi il suffisso conserva, per lo più, inalterato il suo radicale.
I temi fìnienti in c e g gutturali, accoppiandosi ad un suffisso che cominci per i od e, seguono per regola generale la flessione del plurale, cioè a dire: conservano la gutturale, quando si conserva anche in tal flessione, e la mutano nella corrispondente palatale quando la flessione stessa la muta (vedi P. II, cap. iv, §§ 10 e 11) p. es.: lárgo, lárghi, larghézza; dúca, duchéssa; túrco, turchésco; cuòco, cuochíno; vácca, vácche, vacchína; fuòco, fuochísta; dròga, droghière; clássico, classicíssimo.
§ 4. Vi sono per altro alcune eccezioni, specialmente coi suffissi ía, ità, íno (non diminutivo), ísmo, ízia e talora èllo che preferiscono la palatale; p. es. mágo, mághi, magía; cadúco, caducità; cièco, cecità;