Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo IX. L'accento come segno grafico.

Parte I - Capitolo IX. L'accento come segno grafico.

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CAPITOLO IX

L’accento come segno grafico.


§ 1. L’accento può essere scritto in tre modi (vedi cap. i, § 4), dei quali quello che dicesi accento grave (`) si usa scriverlo sull’ultima sillaba, e quello che dicesi accento acuto (´) sulle sillabe precedenti. Il circonflesso (^) si scrive soltanto alcune volte sopra i in fine di parola, per indicare che un’altra i è sparita.

L’accento in italiano, per regola generale, non si segna che sulla vocale finale delle parole, quando sopra di essa cada l’appoggiatura della voce.

Se l’appoggiatura della voce cade sopra altra sillaba, per regola generale non vi si segna accento. E però è necessario valersi o del parlar vivo toscano, o de’ vocabolarii di pronunzia, per imparare su qual sillaba debba appoggiarsi la voce.


§ 2. L’accento (grave) si segna pertanto sulla vocale finale delle parole polisillabe, quando sopra di essa cade l’appoggiatura della voce. Esempii: bontà, virtù, mercé; amò, udì, temé; amerò, udirò, temerò; costà; tribù, Corfù.

Noi nell’esemplificazione di questa Grammatica ci dipartiamo dalla regola, soltanto per e ed o di suono stretto, sulle quali segnamo sempre l’acuto. Vedi cap. i, § 7. [p. 58 modifica]


§ 3. Fuori di questo caso, l’accento si segna alcune altre volte in fine di parola per impedire equivoci di pronunzia; e cioè:

sui monosillabi che finiscono in dittongo non preceduto da q, e che quindi potrebbero parere di due sillabe. P. es. ciò, già, può, diè, stiè. Al contrario qua e qui senza accento:
sui monosillabi che potrebbero scambiarsi con altri uguali, ma di senso diverso, e sono i seguenti: ché per poiché, dal verbo dáre, per giórno, è da èssere, per féde, Frà per fràte, e (avverbi di luogo), negazione, pronome, affermazione:
su tutti i monosillabi non enclitici, attaccati in fine ad altra parola, quando conservano l’appoggiatura della voce. P. es. ristà, ri-, ri-, vice-, ventitré, la-ssù, ben-, lune-, perché:
sull’ultima sillaba dei passati remoti poetici in -ar, -er, -ir, per non confonderli coll’infinito abbreviato. P. es. amàr, temér, nutrìr, invece di amáro, teméro, nutríro, poetici anch’essi.


§ 4. L’accento (acuto, fuorché sopra e ed o larghe) si segna alcune volte o sulla penultima o sulla terz’ultima di parole polisillabe usate di rado, quando possono facilmente scambiarsi con altre d’uso più frequente, che ne differiscono solo per l’accento, od anche pel suono largo o stretto dell’e e dell’o. Porremo qui sotto a sinistra le parole più rare, segnate d’accento, e accanto le più frequenti sulle quali comunemente l’accento non si pone:

áncora (str. navale) ancóra (anche)
balía (potere) bália (nutrice)

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còmpito (lavoro assegnato) compíto (da compíre)
ímpari (poet. per disuguale) impári (da imparáre)
intímo (da intimare) íntimo (familiare)
malèdico, i (aggett.) maledíco (verbo)
malvagía (vino) malvágia (cattiva)
martíre (poet. per martírio) mártire (martirizzato)
pánico (paura) paníco (sorta di biada)
pístola (epistola) pistòla (arme da fuoco)
predíca (da predíre) prèdica (discorso sacro)
séguito (prosecuzione) seguíto (participio)
stropiccío sinonimo a stropíccio
subíto (da subíre) súbito
giulío (poet. per giulívo) Giúlio (nome proprio)
gorgoglío per non confonderlo con gorgòglio.


§ 5. L’accento (grave) si segna in alcune parole su e od o larghe, per evitare facili equivoci con altre parole ugualmente accentate, che abbiano l’e e l’o strette. Tali sono:

cèsto (sorta d’arme) césto (d’erba)
dèi, dèe (devi, deve) déi prepos. artic.
dètte (da dare) détte (da dire)
mèsse (da miètere) mésse (sacrificii)
accòrre (da accògliere) accórre (da accórrere)
còrre (da cògliere) córre (da córrere)
indòtto (non dotto) indótto (da indùrre)
scòrsi, e, ero (da scòrgere) scórsi ecc. (da scórrere)
tòcco (pezzo) tócco (da toccáre)
tòrre (togliere) tórre (edifizio)
tòrvi (da tògliere) tórvi (aggettivo)
vòlto (da vòlgere) vólto (viso)
òra (per áura) óra (tempo)
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§ 6. Oltre a quelle recate al § 4, sono nella nostra lingua molte altre parole simili in tutto fra loro eccettochè per l’accento, ma facili a distinguersi dal contesto del discorso. Eccone alcune:

ámbito (circuito) ambíto (da ambíre)
bèllico (guerresco) bellíco (parte del corpo)
canóne (grosso cane) cánone (regola)
émpia (cong. da empíre, agg. da émpio) empía (per empíva)
nèttare (bevanda) nettáre (verbo)
spiáno (da spianáre) spíano (da spiáre)
tèndine (legamento de’ muscoli) tendíne (cortine)
tènere (agg. plur.) tenére (verbo)

Oltre a queste, si debbono annoverare molti nomi finiti in -áno od -íno, per lo più diminutivi, che, trasportando l’accento indietro, prendono un’altro significato, e divengono tempi di verbi. P. es.:

abitíno ábitino
aguzzíno agúzzino (con z dura)
bacíno bácino
frustíno frústino
rubíno rúbino
capitáno cápitano
mondáno móndano
destíno déstino, e molti altri.


§ 7. Altri si distinguono o dal dittongo uo, o dai due i che si conservano in fine, o dalla iniziale maiuscola. P. es.:

nocciuòlo (albero) nòcciolo (osso delle frutta)
picciuòlo (gambo de’ frutti) pícciolo (piccolo)

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augúrii (auspicii) áuguri (sacerdoti)
benefícii (nome) benèfici (agg.)
desidèrii (nome) desíderi (verbo)
princípii (da princípio) príncipi (da príncipe)
stropiccíi (da stropiccío) stropícci (da stropíccio)
Dèi, Dèe déi, dée (artic.) o dèi, dèe (da dovére).
In rima, invece dei due i, si scrive principî, beneficî, ecc. col circonflesso sull’ultima.