Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
58 | parte prima — cap. ix |
§ 3. Fuori di questo caso, l’accento si segna alcune altre volte in fine di parola per impedire equivoci di pronunzia; e cioè:
sui monosillabi che finiscono in dittongo non preceduto da q, e che quindi potrebbero parere di due sillabe. P. es. ciò, già, può, diè, stiè. Al contrario qua e qui senza accento:
sui monosillabi che potrebbero scambiarsi con altri uguali, ma di senso diverso, e sono i seguenti: ché per poiché, dà dal verbo dáre, dì per giórno, è da èssere, fé per féde, Frà per fràte, là e lì (avverbi di luogo), né negazione, sé pronome, sì affermazione:
su tutti i monosillabi non enclitici, attaccati in fine ad altra parola, quando conservano l’appoggiatura della voce. P. es. ristà, ri-fà, ri-sò, vice-ré, ventitré, la-ssù, ben-sì, lune-dì, perché:
sull’ultima sillaba dei passati remoti poetici in -ar, -er, -ir, per non confonderli coll’infinito abbreviato. P. es. amàr, temér, nutrìr, invece di amáro, teméro, nutríro, poetici anch’essi.
§ 4. L’accento (acuto, fuorché sopra e ed o larghe) si segna alcune volte o sulla penultima o sulla terz’ultima di parole polisillabe usate di rado, quando possono facilmente scambiarsi con altre d’uso più frequente, che ne differiscono solo per l’accento, od anche pel suono largo o stretto dell’e e dell’o. Porremo qui sotto a sinistra le parole più rare, segnate d’accento, e accanto le più frequenti sulle quali comunemente l’accento non si pone:
áncora (str. navale) | ancóra (anche) |
balía (potere) | bália (nutrice) |