Giambi ed epodi/Libro I/Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti

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VI.

PER
GIUSEPPE MONTI E GAETANO TOGNETTI

martiri del diritto italiano.


I.


Torpido fra la nebbia ed increscioso
Esce su Roma il giorno:
Fiochi i suon de la vita, un pauroso
4Silenzio è d’ogn’intorno.

Novembre sta del Vatican su gli orti
Come di piombo un velo:
Senza canti gli augei da’ tronchi morti
8Fuggon pe ’l morto cielo.

Fioccano d’un cader lento le fronde
Gialle, cineree, bianche;
E sotto il fioccar tristo che le asconde
12Paion di vita stanche

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Fin quelle, che d’etadi e genti sparte
Mirar tanta ruina
In calma gioventù, forme de l’arte
16Argolica e latina.

Il gran prete quel di svegliossi allegro,
Guardò pe’ vaticani
Vetri dorati il cielo umido e negro,
20E si fregò le mani.

Natura par che di deforme orrore
Tremi innanzi a la morte:
Ei sente de le piume anco il tepore
24E dice — Ecco, io son forte.

Antecessor mio santo, anni parecchi
Corser da la tua gesta:
A te, Piero, bastarono gli orecchi;
28Io taglierò la testa.

A questa volta son con noi le squadre,
Né Gesú ci scompiglia:
Egli è in collegio al Sacro Cuore, e il padre
32Curci lo tiene in briglia.

Un forte vecchio io son; l’ardor de i belli
Anni in cuor mi ritrovo:
La scure che aprí ’l cielo al Locatelli
36Arrotatela a novo.

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Sottil, lucida, acuta, in alto splenda
Ella come un’idea:
Bello il patibol sia: l’oro si spenda
40Che mandò il Menabrea.1

I francesi, posato il Maometto
Del Voltèr da l’un canto.
Diano una man, per compiere il gibetto,
44Al tribunal mio santo.

Si esponga il sacramento a San Niccola
Con le indulgenze usate,2
Ed in faccia a l’Italia mia figliuola
48Due teste insanguinate — .

II.


E pur tu sei canuto: e pur la vita
Ti rifugge dal corpo inerte al cuor,
E dal cuore al cervel, come smarrita
4Nube per l’alpi solvesi in vapor.

Deh, perdona a la vita! A l’un vent’anni
Schiudon, superbi araldi, l’avvenir;
E in sen, del carcer tuo pur tra gli affanni,
8La speme gli fiorisce et il desir.

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Crescean tre fanciulletti a l’altro intorno,
Come novelli del castagno al piè;
Or giaccion tristi, e nel morente giorno
12La madre lor pensa tremando a te.

Oh, allor che dal Giordano a i freschi rivi
Traea le turbe una gentil virtú
E ascese a le città liete d’ulivi
16Giovin messia del popolo Gesú,

Non tremavan le madri; e Naim in festa
Vide la morte a un suo cenno fuggir
E la piangente vedovella onesta
20Tra il figlio e Cristo i baci suoi partir.

Sorridean da i cilestri occhi profondi
I pargoletti al bel profeta umíl;
Ei lacrimando entro i lor ricci biondi
24La mano ravvolgea pura e sottil.

Ma tu co ’l pugno di peccati onusto
Calchi a terra quei capi, empio signor,
E sotto al sangue del paterno busto
28De le tenere vite affoghi il fior.

Tu su gli occhi de i miseri parenti
(E son tremuli vegli al par di te)
Scavi le fosse a i figli ancor viventi.
32Chierico sanguinoso e imbelle re.

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Deh, prete, non sia ver che dal tuo nero
Antro niun salvo a l’aure pure uscí;
Polifemo Cristian, deh non sia vero
36Che tu nudri la morte in trenta dí.

Stringilo al petto, grida — Io del ciel messo
Sono a portar la pace, a benedir — ,
E sentirai dal giovanile amplesso
40Nuovo sangue a le tue vene fluir....

In sua mente crudel (volgonsi inani
Le lacrime ed i prieghi) egli si sta:
Come un fallo gittò gli affetti umani
44Ei solitario ne l’antica età.

III.


Meglio cosí! Sangue de i morti, affretta
I rivi tuoi vermigli
E i fati; al ciel vapora, e di vendetta
4Inebria i nostri figli.

Essi, nati a l’amore, a cui l’aurora
De l’avvenir sorride
Ne le limpide fronti, odiino ancora,
8Come chi molto vide.

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Mirate, udite, o avversi continenti,
O monti al ciel ribelli,
Isole e voi ne l’ocean fiorenti
12Di boschi e di vascelli;

E tu che inciampi, faticosa ancella,
Europa, in su la via;
E tu che segui pe’ i gran mar la stella
16Che al Penn si discovria;

E voi che sotto i furïosi raggi
Serpenti e re nutrite,
Africa ed Asia, immani, e voi selvaggi,
20Voi, pelli colorite;

E tu, sole divino; ecco l’onesto
Veglio, rosso le mani
Di sangue e ’l viso di salute: è questo
24L’angel de gli Sciuani.

Ei, prima che il fatale esecutore
Lo spazzo abbia lavato,
Esce raggiante a delibar l’orrore
28Del popolo indignato.

Ei, di demenza orribile percosso,
Com’ebbro il capo scuote,
E vorría pur vedere un po’ di rosso
32Ne l’òr de le sue ruote.

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Veglio! son pompe di ferocie vane
In che il tuo cor si esala,
E in van t’afforza a troncar teste umane
36Quei che salvò i La Gala.

Due tu spegnesti; e a la chiamata pronti
Son mille, ancor piú mille.
I nostri padiglion splendon su i monti,
40Ne’ piani e per le ville,

Dovunque s’apre un’alta vita umana
A la luce a l’amore:
Noi siam la sacra legïon tebana,
44Veglio, che mai non muore.

Sparsa è la via di tombe, ma com’ara
Ogni tomba si mostra:
La memoria de i morti arde e rischiara
48La grande opera nostra.

Savi, guerrier, poeti ed operai,
Tutti ci diam la mano:
Duro lavor ne gli anni, e lieve omai;
52Minammo il Vaticano.

Splende la face, e il sangue pio l’avviva;
Splende siccome un sole:
Sospiri il vento, e su l’antica riva
56Cadrà l’orrenda mole.

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E tra i ruderi in fior la tiberina
Vergin di nere chiome
Al peregrin dirà: Son la ruina
60D’un’onta senza nome.


30 nov. 1868.



Note

  1. [p. 530 modifica]Pochi giorni prima del supplizio il ministero italiano aveva fatta pagare a Roma una rata del debito pontificio.
  2. [p. 530 modifica]Quando si eseguivano in Roma le condanne di morte, nella chiesa di San Nicola rimaneva esposto per ventiquattro ore il Santissimo Sacramento.