Già di udir mi rimembra

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Letteratura Già di udir mi rimembra Intestazione 28 luglio 2023 75% Da definire

Sopra tutti a bear la mortal gente Grido antico risuona
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


[p. 62 modifica]

LXXXIX

IX

Strofe.
Già di udir mi rimembra
     Melpomene cantare inclita Musa,
     Che il fiero teschio della ria Medusa
     Sassificava altrui le vive membra:
     5Sì dal volto crudel spandeasi fuore
     Mirabile terrore.
Antistrofe.
A ragion bestemmiate
     Sembianze ognora dall’umano ingegno,
     Certo a ragion; ma già non manco è degno
     10Paventar l’esecrabil povertate,
     Odioso mostro a tormentarne, forte
     Più che falce di morte.
Epodo.
Costei vile per sè fuor di misura,
     Altrui col solo nome anco nojosa,
     15Dell’ozio nacque, e della disventura,

[p. 63 modifica]

     Ed al dispregio poi si diede a sposa:
     Delle querele amica,
     Mirasi sempre a lato
     Ed affanno e fatica;
     20Fabbrica ognora lusinghevol frodi,
     E s’avventa per uso in varj modi.
Strofe.
Me, che in riposta parte
     Sul Parnaso salìa per via deserta,
     Già minacciava, e m’assalìa coperta
     25Sotto l’acciar del sanguinoso Marte:
     Già le mal’arti sue metteva in opra,
     Empia già m’era sopra.
Antistrofe.
Per entro un aër bruno
     Sorgea tempesta a’ miei viaggi avversa,
     30E mia speranza omai cadea sommersa;
     Tal trascorreva il tridentier Nettuno:
     Io stava in forse con pensier devoti
     Verso chi far miei voti.
Epodo.
Oh quale a tanti tranquillar baleni
     35Oh quale, oh quale apparirà Polluce?
     Mentr’io così dicea, lampi sereni
     Cosparse intorno a me candida luce:
     Urban dall’alta Sede
     Spirò soavemente
     40Aura di sua mercede;
     E non finto Polluce a mio conforto
     Appianò l’onde, e mi ridusse in porto.
Strofe.
Quinci alle più remote
     Piagge del bel Permesso io mi rivolgo
     45E cerco bene attento, ed indi colgo,
     Ove ridono più, l’erbe fiorite,
     Bramoso poscia di versarle inchino
     Al piè sacro e divino.
Antistrofe.
Oscura cosa e vile
     50Oro è al pensier di regnator sovrano,
     Se non che in darne altrui con larga mano
     Fa chiara prova del suo cor gentile.
     I Grandi sulla terra han per tesoro
     Almo plettro canoro.
Epodo.
55Cui non è noto d’Alessandro altero
     Il grido che finor tanto rimbomba,
     Quando per sè bramando un altro Omero,
     Sospirò del Pelide in sulla tomba?
     Ha vaghezze maggiori
     60Urban celeste in terra;
     Ma di veraci onori
     Lascia guidarsi alla virtute, e brama
     Farsi del nome suo serva la Fama.
Strofe.
Però gli alti pensieri
     65In me risurti alcun timor non frena;
     Intorno a queste mete, in quest’arena
     Han da sudar correndo i miei destrieri.
     Or, bella Clio, da cui soccorso attendo,
     Onde principio prendo?
Antistrofe.
70Dirò de’ suoi fresch’anni
     I giorni spesi in ascoltar Sofia?
     O come in corteggiar l’alma Talia
     Ebbe per gioco il sofferire affanni?
     Quando, abborrendo il rio venen di Circe,
     75Bevea l’onda di Dirce1?
Epodo.
In mezzo i sette colli a spirti egregi
     Empier solea di meraviglia il seno;
     E sulla Senna, gran messaggio a’ regi2,
     Quei Grandi fea meravigliar non meno:
     80Poi di bell’ostro asperso
     Tenne del Vaticano
     Lo sguardo in sè converso;
     Ed un tempo insegnò, come si spegne
     L’avara rabbia delle liti indegne.
Strofe.
85Che fo? Dunque m’affretto
     Tutti i fiori a raccor d’un’ampia riva?
     Fatica immensa: deh posiamo, o Diva,
     A pregj sommi ecco il veggiamo eletto:
     Siede nocchier sovra l’eterea barca
     90E del mondo è monarca.
Antistrofe.
Sotto saggio governo
     Stassene in calma il suo diletto Legno;
     Ne teme d’Aquilone aspro disdegno,
     E se fremere ei sa, frema l’inferno:
     95Quale orgoglioso il negherà? follia
     È sostener bugia.
Epodo.
Arte di lingua è vana, ove dispiega
     Le sue ragion la veritate istessa.
     Nacque Urbano alle palme; Istro nol niega,
     100Ed Italia non manco oggi il confessa.
     Svegliasi il vulgo, e dice:
     Roma ha ben poche squadre
     Per farsi vincitrice.
     Ah sciocca plebe, ove con destra ardente
     105Fulmina Dio, non fa mestier di gente.
Strofe.
Era il buon Gedeone
     In Madïano alle battaglie intento
     Ed a lui disse Dio: Scegli trecento,
     E rieda il rimanente a sua magione;
     110lo non vo’, che oggidi questa vittoria
     Di vostra man sia gloria.
Antistrofe.
Ubbidisce il gran Duce:
     Indi con trombe gl’inimici assale;
     Gli faga, e dietro lor poi mette l’ale,
     115Ed al varco di morte ei gli conduce;
     Tutti del sangue lor fur pieni i lidi,
     E tutto il ciel di gridi.
Epodo.
Or stian tremanti, e dian l’orecchia gli empi;
     Il Dio, che per gli Ebrei fece difesa,
     120Sempre quaggiù rinnoverà gli esempi,
     E sarà scampo alla Romana Chiesa.
     Il sovero s’immerge
     Dentro l’acque spumanti,
     Ma non mai si sommerge:

[p. 64 modifica]

     125Il fedele di Dio ben si travaglia,
     Ma non è forza, che atterrarlo vaglia.

Note

  1. Urbano VIII ne’ suoi verdi anni coltivò assai felicemente la poesia latina ed italiana; era sì profondo nella greca letteratura, che veniva chiamato l’ape attica.
  2. Fu in Francia Nunzio straordinario nel 1601 all’occasione della nascita del figlio primogenito d’Enrico IV, che fu poi Luigi XIII.