Gerolamo Alberti maestro di zecca in Ferrara, Parma e Milano

Emilio Motta

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Gerolamo Alberti maestro di zecca in Ferrara, Parma e Milano Intestazione 14 luglio 2024 100% Numismatica

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GEROLAMO ALBERTI MAESTRO DI ZECCA


IN


FERRARA, PARMA E MILANO




Tra le “Spigolature d’archivio” inserte in un precedente fascicolo della Rivista figurava un documento del 20 gennajo 1452 a riguardo della zecca di Parma (1888, fasc. IV, p. 484). Ora due nuovi atti di quel medesimo anno, di fresco trovati nel nostro Archivio di Stato, ci permettono di rinnovare la conoscenza e un po’ meglio che non prima, con un quasi ignoto maestro di zecca, pure già menzionato in questo periodico (1888, fasc. I, p. 83). Egli è Gerolamo Alberti, del quale possiamo oggidì chiarire la patria e le zecche nelle quali lavorò.

Nel 1452, per lo appunto, egli assumeva la direzione della zecca di Parma, dopo d’aver diretta per 7 anni quella di Ferrara e d’esser stato creato cittadino di Pesaro, allora signoria di Alessandro Sforza, fratello al duca di Milano. Egli era nato in Venezia da padre nativo di Ferrara, ma l’avo era Fiorentino, e da Firenze appunto esce il grande casato degli Alberti1. [p. 402 modifica]

Noi facciamo seguire immediatamente una sua supplica diretta al duca Francesco Sforza, ai 16 gennaio 1452, come quella che offre le indicate sue referenze biografiche e numismatiche2. Dalla medesima emergono i motivi allegati onde non permettergli di battere moneta in Parma, allora, come ben noto, sotto il dominio sforzesco. Scriveva:

Mcccclij adj xvi Gienaro, inprima.

Illustri et exzelso Prinzipi S.r mio, la chaxone del mio scriver alla S. V. [è] come i nobellj zitadini dela zitade vostra de Parma me a[no] conduto in Parma per maistro de la zecha e sì (così) son zonto in Parma per far lavorare e segondo lordeni lor ma comesso. E pare che per i anziani de la zecha de Milano non volia ch io bata nè faza batere la dita zecha, perchè i dixeno chio son Veniziano. E a questo rispondo chè (che è) la verità de che yo nasè a Venexia, mio padre nasè a Ferara e mio avo nasè a Fiorenza. E in questo tempo mio yo son stato pocho in Venezia, e si è più de ani 12 non son stato a Venezia. Io son stato a Pexaro un ben tempo e lì fu fato zitadino, e come me partì da Pexaro yavi (ebbi) la zecha da Ferara e quì son stato ani 7 e quì son con la mia fameia. E si là fon lavorar la dicta zecha si chè Segnor mio, per questo non die (debbo) esser privato chio non debia lavor[ar] questa zecha de Parma, perchè io me tegno esser ben servidor de la Signoria Vostra. E sì (così) so[n] homo e zitadin del S.r Vostro fratello Misser Alesandro, si chè S.r mio suplicho de grazia che la S. V. me lasi lavorar la zecha de Parma, perchè altramente me tornaria dano e ancora vergonza (vergogna) avixando la S. V. che la mia intenzione è semper stata de vegnir a servir la S. V. E Batista Mazolino el sa che io avea intenzione con lui de aver maistri e condurli a Milan de bater la foia da loro (dell’oro) perchè voiando (volendo) bater la foia el bixogna saver afinar questi arzenti, altramente chi non sa faya (falla), perchè altramenti non se faria bona foia nè sufiziente; sichè Segnor mio yo era vegnuto qui [p. 403 modifica]a Parma per aver un prinzipio ex casone fose (fossi) cognosudo in che yo sò fare. E sì o menade con mi un maistro avantazado per la foia e si o (ho) modo de averne de altri, che sarà grandissimo utille e onor a Milano. Se la S. V. manda per Batista Mazolino, avrà questo. Piaqua S.r mio conziederme grazia chio lavora, niente de meno la S. V. despensa e faza quello [che] sia de piaxero che a ogno modo yo voio esser servidor de la S. V.

Ser Michiel canzelier del S.r Vostro fratello misser Alessandro me fè zitadin de Pexaro siando canzelier del comune lè zercha ani 8, e Jacomo grifo (?) sta con ser Mateo da Pexaro ancora lui el sa. Ser Mateo de Pexaro magistro de lintrade de la S. V. me cognose3.

per le vostro servidor Jeronimo Alberti maistro de la zecha de ferara et de parma se piaxerà ala S. V.

a tergo:

Ill.mo Principi ac excelentissimo domino domino franzisco sforzia Vizecomiti duzi Mediolanj dignissimo, domino meo singularissimo.


Ma, in onta alla supplica di maestro Gerolamo Alberti, il Consiglio segreto ducale tenne ferma l’inibizione di batter moneta, e in ciò basandosi sul consenso ducale, rilasciato ai 20 gennaio 1462, ed è per lo appunto questo il documento edito nelle precedenti nostre “Spigolature” numismatiche. Francesco Sforza scriveva al Consiglio segreto, da Lodi, di aver inteso del fabricare delle monete a Pavia e Parma e del pregiudizio che ne verrebbe alle entrate ducali per simili monete basse et maxime quelli triliri (trilline); confidare che avrebbero remediato como meglio parerà4. [p. 404 modifica]Ed il rimedio fu il divieto di coniar nella zecca parmense.

Contro il quale divieto reclamavano, ai 16 febbraio, gli Anziani del Comune di Parma colla seguente, diretta al duca di Milano:


Ill.me princeps et Ex.me domine domine noster singularissime, humili et debita recomendatione semper premissa. Essendo in li capituli a questa nostra et vostra comunità di Parma concessi per V. Ex.tia uno capitulo di continencia et effecto che ipsa potesse fare batere moneta di oro, argento et ramo, secondo faceva in el tempo era in libertate et per vigore et virtù di ipso fece batere uno certo tempo alcune quantitate di monete, et deinde ha venduto la cecha di potere battere dicte monete, sotto stampo, liga, bonitate, honore et utilitate di V. Ex.tia et così bone et forse più como monete fiano batute et facte in Milano et ancha forsse in altre citate che siano quinci na intorno, la quale vendita deinde per auctoritate et virtù di Vostre lettere ducale fui confirmata et validata, per potere supplire a più et diverse expense, per ipsa comunità cum animo leto facte et supportate per la venuta fece V. Ex.tia questi dì proximi passati in Parma; le quale lettere et capitulo mandiamo a V. Ex.tia per copia introclusa ala presente. Et havendo li vostri officiali quì in Parma al conductore di ipsa cecha inhibito expressamente non proceda più inante ad battere moneta alcuna senza licentia expressa di V. Ex.tia, ipso conductore, il quale ha exbursato il precio di dicta vendita, et ha facto molto expense sia in condure il magistro di dicta cecha, sia etiam in altre più cose che aspectano et sono necessarie per tale exercicio, è venuto a nuy et di ciò cum querela ne ha protestato di sui danni, expense et interesse, li quali considerato il tuto, sono in grandissima somma et quantitade. Et perchè non havendo locho questa nostra cecha sarebe pur danno et in non pocha vergogna ad ipsa comunità, che se potesse [p. 405 modifica]dire che manchase in cosa alcuna fusse di sua promissa, et maxime in questo che è di honore et utilità di V. Ex.tia supplicamo devotamente et cum omni debita reverencia ipsa vostra prelibata Ex.tia che attento dicto capitulo et la promessa de ipsa comunità, se digna et voglia stare contenta, che dicta cecha et sua vendita habia locho et sortischa effecto, dichiarando etiam per sue opportune littere che dicto conductore proceda a battere dicte monete in forma et secundo gi è concesso et fariti a nuy gracia somma et singulare, et non potirà fir (essere) dicto che dicti capituli fiano rupti in alcuna sua parte, li quali non crediamo per modo veruno V. Ex.tia voglia infringere in alcuna soa substancia. Aricomandando sempre et cum omni reverentia debita questa nostra comunità ad ipsa V. Excellentia, la quale christo onipotente sempre conserva et acrescha in somma felicitate. Dat. Parme die xvj februarij Mcccclij.

Ejusdem ducalis Excellentie

fidelissimi servitores et subdicti

Anciani Comunitatis vestre Parme5


Che ne venne dappoi?... potè l’Alberti durare maestro della zecca di Parma?...6 ecco quanto ci potranno dire altri colleghi, sulla scorta di documenti degli Archivj di quella città a noi rimasti ignoti.


Dal 1462 al 1477-78 non sappiamo altro, almeno per conto nostro, dell’Alberti7. Riappare in quest’ultimo tempo, come da una sua nuova supplica, già edita8, ma [p. 406 modifica]meritevole per la miglior illustrazione di sua vita, di una ristampa. Per il contenuto della medesima, notevole eziandio per la storia della zecca genovese, ci sembrò doverla aggiudicare agli anni 1477-78, comecchè vi si ricordino i torbidi di Genova. Ma non potrebbe anche risalire colla data al 1464?...


Ill.mo Principe,

Segondo me disse la Ill. S. V. che volevi che de la moneda de la cecha fusse dato fine presto e che la S. V. haveva parlato a misser Thomaso dariete (da Rieti) et a misser Albrico Maneta (Maletta) al tuto la S. V. voleva che fusse dato fine a questa caxone de la cecha. E così da quello dì infin a dì X de questo ho sollecitado con li dicti, che loro debia dare fine. E misser Albrico Maneta in ultima me ha dicte chel debba aricordare ala S. V. e misser Thomaso dariete me ha dicto, non se lavorare questa cecha perfino che Zenoa non sarà quietada. Signore mio, questo poria essere una longa cosa, per la quale non turnaria utile a la S. V. nè a Milano ne al vostro payse e saria uno grande maleficio a quelli che hanno conducti arzenti in questa terra, per farli lavorare in moneda e mò loro i deba portare via e questo sarà de uno grande incargo a Milano. E per certo, Signore mio, me pare una strania cosa che una cità como è Milano, che voglia che Zenoa lavori in prima cha Milano, che Zenoa fu una volta sottoposta a Milano che questi voglia fare questo incarico a Milano. Signore mio, io parlarò a mendamento ciò che dico, io parlo con amore. Che la Ill. S. X. aconza la vostra citade et faci lavorare la vostra cecha et far che la vostra moneda apara in la vostra Citade e la S. V. facia sollicitare che la terra vostra e el payso se empia de oro, e de arzento stampado. E se Zenoa vorrà battere, che i vegna a battere segondo vederà essere batudo a Milano. E a questo modo sarà de honore et utile de la S. V. et de lo vostro populo.

Signore mio, se la S. V. havesse questa intentione, che la Cecha non lavorasse segondo dice misser Thomaso supplico la S. V. chio vostro fidele servitore ve sia raccomandato, però che a mj non ternaria bene a volere aspettare che Zenoa battesse, stagando como io sto, che non ho le spese intieramente, che la S. V. se digna de volermi provedere che habia la mia vita et vestito con il garzone mio. E quando a la S. V. questo non agrata (aggrada) se digna darmi bona licentia. E de quello ho speso et del tempo sono stato gli piacia per sua liberale [p. 407 modifica]gratia farmi quella satisfactione et provisione meglio li pare et piace como ampiamente me confido ne la clementia de la S. V. a la quale continue me ricomando.

il vostro ardentissitno servitore
Jeronimo Dalberto
Maystro de Cecha.


a tergo:

Supplicatio Jeronimi Alberti Magistri a Cecha.


L’Alberti era in allora maestro di zecca in Milano. Dove finì i propri giorni?... Abbiamo monete o medaglie accertate di sua fattura?...

Eccoci daccapo colle interrogazioni.

Emilio Motta.



Note

  1. Nella illustrazione genealogica degli Alberti di Firenze del Passerini (Firenze, Cellini, 1870, 8 vol.) non figura alcun Alberti di nome Gerolamo, e neppure fra i molti nomi di quelli riseduti fra i Signori della Moneta di Firenze (cfr. il vol. II, pp. 59-80 con 2 tav. di monete).
  2. Arch. di Stato Milano, Carteggio diplomatico (erroneamente nel febbraio 1452, anzichè nel gennaio). Documento di pessima calligrafia ed ortografia.
  3. Matteo da Pesaro troviamo maestro delle entrate ducali già nel 1450-51 (Missiva n. 5 fol. 99).
  4. I Parmigiani, mancipati dal dominio Visconteo, ristabilirono la zecca per patti avuti dalla Repubblica Ambrosiana, ai 16 luglio 1448. Datisi ai 6 febbraio 1449 allo Sforza, ottennero di tenerla in esercizio. Ma aggiunge l’Affò (Della zecca e moneta parmigiana, p. 96), nè d’oro, nè di puro argento monete si trovano uscite allora dai nostri torchj ed una sola di mistura suol ritrovarsene, replicata forse con varj conj, giacchè qualche diversità suole osservarsi nei tipi, la qual fu pubblicata dal Muratori, dal Manni, dal Bellini, e dall’Affò medesimo (tav. IV, n. 15) il quale però non sa quanto si perseverasse a battere di tali monetuccie col nome di F. Sforza. È quindi probabile, come sembra anche a V. Promis (Tavole Sinottiche, pag. 154), che la zecca di Parma cessasse dal lavorare fino a Papa Giulio II che conformò il vecchio privilegio al Comune, ai 7 dicembre 1512.
  5. Arch. Milano. Cart. dipl. febbraio 1452.
  6. L’Affò non lo ricorda e cita per Parma soltanto il celebre medaglista Gian Francesco Enzola, che nel 1456 fornì al duca F. Sforza un bel medaglione pubblicato dal Muratori (in Argelati, tom. I, tav. XV, n. 53) e passato dopo la morte del duca al servizio di Costanzo Sforza.
  7. Tra i rogiti del notaio Gorvaso del Conte (Arch. notarile di Milano) troviamo i patti, 16 settembre 1473, fra Maestro Pietro de Scaravazzi e maestro Giovanni de’ Alberti, di Firenze, onde concedere al secondo di appoggiare travi, muri alla casa del primo. Dunque un mastro da muro quest’Alberti, e forse parente del Gerolamo nostro.
  8. In Rivista 1888 p. 83-84 (Gli zecchieri di Milano nell’anno 1479).