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404 | emilio motta |
Ed il rimedio fu il divieto di coniar nella zecca parmense.
Contro il quale divieto reclamavano, ai 16 febbraio, gli Anziani del Comune di Parma colla seguente, diretta al duca di Milano:
Ill.me princeps et Ex.me domine domine noster singularissime, humili et debita recomendatione semper premissa. Essendo in li capituli a questa nostra et vostra comunità di Parma concessi per V. Ex.tia uno capitulo di continencia et effecto che ipsa potesse fare batere moneta di oro, argento et ramo, secondo faceva in el tempo era in libertate et per vigore et virtù di ipso fece batere uno certo tempo alcune quantitate di monete, et deinde ha venduto la cecha di potere battere dicte monete, sotto stampo, liga, bonitate, honore et utilitate di V. Ex.tia et così bone et forse più como monete fiano batute et facte in Milano et ancha forsse in altre citate che siano quinci na intorno, la quale vendita deinde per auctoritate et virtù di Vostre lettere ducale fui confirmata et validata, per potere supplire a più et diverse expense, per ipsa comunità cum animo leto facte et supportate per la venuta fece V. Ex.tia questi dì proximi passati in Parma; le quale lettere et capitulo mandiamo a V. Ex.tia per copia introclusa ala presente. Et havendo li vostri officiali quì in Parma al conductore di ipsa cecha inhibito expressamente non proceda più inante ad battere moneta alcuna senza licentia expressa di V. Ex.tia, ipso conductore, il quale ha exbursato il precio di dicta vendita, et ha facto molto expense sia in condure il magistro di dicta cecha, sia etiam in altre più cose che aspectano et sono necessarie per tale exercicio, è venuto a nuy et di ciò cum querela ne ha protestato di sui danni, expense et interesse, li quali considerato il tuto, sono in grandissima somma et quantitade. Et perchè non havendo locho questa nostra cecha sarebe pur danno et in non pocha vergogna ad ipsa comunità, che se potesse
stura suol ritrovarsene, replicata forse con varj conj, giacchè qualche diversità suole osservarsi nei tipi, la qual fu pubblicata dal Muratori, dal Manni, dal Bellini, e dall’Affò medesimo (tav. IV, n. 15) il quale però non sa quanto si perseverasse a battere di tali monetuccie col nome di F. Sforza. È quindi probabile, come sembra anche a V. Promis (Tavole Sinottiche, pag. 154), che la zecca di Parma cessasse dal lavorare fino a Papa Giulio II che conformò il vecchio privilegio al Comune, ai 7 dicembre 1512.