Geografia fisica/Interno
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L’INTERNO DEL GLOBO.
252. Dalla superficie della terra, che tante cose ci ha insegnato, passiamo dunque a considerarne l’interno.
253. Sembra, a prima giunta, che sia impresa disperata quella di togliere il velo, sotto cui si celano i misteri dell’interna natura. Quando si pensi all’enormità di questa sfera sulla quale viviamo e ci moviamo, non ci deve sembrare, al postutto, che di essere altrettante pulci sopra una grande montagna. Per quanto si potesse, per avventura, vedere, col discendere dalla cima più elevata all’imo della più profonda miniera, starebbe sempre il fatto che, del globo non si è visto che la vernice superficiale. Quante cose ci saranno da imparare circa l’interno del globo! Ma vi hanno per buona ventura dei punti, nelle diverse regioni, in cui esiste una comunicazione diretta tra l’interno e la superficie, e devono servire a farci conoscere qualche cosa di ciò che avviene là dentro.
254. Voi avete certamente udito parlare dei vulcani (fig. 19). Son essi appunto le vie più importanti di communicazione tra l’interno e l’esterno.
255. Supponiamo di portarci a visitare un vulcano qualche tempo prima o dopo quello che si chiama una eruzione. La sua forma è ordinariamente quella di una montagna conica, col vertice troncato. Dalla troncatura si eleva un fumo bianco. Pigliando l’ascesa, al dissopra di una zona basilare ordinariamente coperta di lussureggiante vegetazione, si mostrano nudi i fianchi della montagna, composti di pietre mobili e di sabbie nere o bigie, che spesso si assomigliano a ceneri, poi qua e là dei tratti larghi e lunghi di salda roccia, la cui superficie vi dà molte volte l’aspetto delle scorie che escono da un forno fusorio. Verso la cima dal suolo che scotta, escono qua e là colonne di fumo, con vapori soffocanti. Quando la cima è raggiunta, ciò che sembrava una semplice troncatura, è invece una gran fossa, con pareti molto ripide o a picco, che si sprofonda nel corpo della montagna. Curvatevi sul labbro di quel bacino enorme, spingendo gli occhi sul fondo, quanto almeno lo permettono i gas e i vapori, che cercano di soffocarvi, vedrete allora talvolta su quel fondo, cinto da pareti rocciose, colorate a larghe macchie di giallo, di rosso, di verde, come un lago di denso liquido, rovente fino al color bianco, ma coperto in gran parte da croste nere, simili a quelle scorie rocciose che avete viste ascendendo. Da quello stagno di fuoco bollente, si leva lentamente il vapore che, a volte a volte, uscendo da quel bagno con scoppio improvviso, lancia in aria molti spruzzi grossi e minuti di quella specie di liquido rovente, che ricadono poi entro il bacino già solidificati sotto forma di sabbia, di scorie e di pietre.
256. Quella specie di caldaja, scavata nel vertice della montagna, si chiama cratere. Quella materia che ha l’apparenza di un liquido bollente in fondo al cratere è la lava. Non altro che vapor acqueo, misto ad altri vapori e gas, è il fumo che si leva; e pezzi di solida lava sono quelli che, secondo la rispettiva grossezza, si chiamano pietre, lapilli, sabbie e ceneri.
257. Il vapore caldissimo e la lava rovente in fondo al cratere, dicono che là sotto ci deve essere una sorgente di calore estremamente intenso, e assai abbondante e duraturo, se, come ce ne assicura la storia, per molti e molti vulcani, quel fuoco arde da parecchie centinaja e migliaja di anni. Fig. 19. — Il Vesuvio guardato da mezzodì.
258. Ma noi abbiamo visto il vulcano in un periodo di massima tranquillità. Per comprendere la forza di quel fuoco che arde là sotto, aspettate di aver la bella sorte di assistere ad un’eruzione. Sono già più giorni che la montagna trema. Viene il momento che per una serie di violenti esplosioni, il cucuzzolo del monte è buttato in aria in pezzi, e la montagna stessa è da cima a fondo sventrata. Una densa nube di vapore si leva in forma di un gran pino, i cui rami oscurano il cielo; pietre, scorie, lapilli, sabbie e ceneri lanciati alle stelle, ricadono in tal guisa da ricoprire di denso strato il vulcano, e per centinaja di miglia il paese all’ingiro. D’un tratto, dal seno squarciato del monte sgorga un torrente di lava che si precipita giù pei fianchi, fino alla base del cono, portando ovunque l’incendio, la rovina, la desolazione e la morte. Così continua più giorni e settimane, finchè il vulcano, esausto, ritorna a riposarsi in quello stato di calma che abbiamo già descritto. Fig. 20. — Il Vesuvio prima della distruzione di Pompei.
259. Prima del 79 dell’êra volgare sorgeva, presso Napoli, una montagna che aveva la forma di un vulcano, con un largo cratere coperto di boscaglie (fig. 20). Nessuno si ricordava d’averlo visto nè fumare, nè emettere ceneri e lava, nè ad alcuno sarebbe caduto in mente che fosse davvero un vulcano come l’Etna e lo Stromboli. Borghi e città erano sorti ovunque all’ingiro sulla sua base verdeggiante, e i suoi dintorni erano divenuti luoghi di villeggiatura pei ricchi di Roma, attrattivi dalla bellezza del paesaggio e dalla dolcezza del clima. Che avvenne? D’un tratto una terribile esplosione annuncia che il vulcano si ridestava dal suo sonno di molti secoli. Mentre una colossale oscurissima nube fa di giorno notte, nembi di lapilli, di sabbie e di ceneri, piovono rovinosi, all’ingiro, fino a grandi distanze. Cessata l’eruzione dopo molti giorni, i dintorni del Vesuvio non erano più che un deserto adusto, coperto di pietre e di ceneri. Villaggi e città, vigneti e giardini, tutto era sepolto. Due splendide città, Ercolano e Pompei, lo furono appunto in quella eruzione, e lo furono talmente, che solo ai tempi nostri si potè aver notizia della loro esistenza, e si vanno, con lento lavoro, disseppellendo. Già a quest’ora voi potete passeggiare liberamente per le vie di quella Pompei, sepolta da quasi duemila anni, visitarne le case, le botteghe, le basiliche, i teatri, e studiarvi i costumi degli antichi Romani. Da quelle mura, silenziose da diciotto secoli, voi potete contemplare il nuovo Vesuvio fumante, nato dal centro dell’antico che oggi si chiama Somma, e cresciuto talmente a forza di centinaja di eruzioni, che ormai colla sua base investe e ricopre la metà dell’antica montagna (fig. 19).
260. Le montagne vulcaniche, anche se in oggi sono o sembrano spente, segnano la posizione di questi orifizî o camini, per cui già traboccarono dalle viscere della terra materie infuocate. Esse si numerano a cento a cento nelle diverse parti del globo. Oltre il Vesuvio, che non ha quasi mai cessato di essere attivo, dopo la prima eruzione storica descritta da Plinio, il giovine, sono celebri, in Italia, l’Etna e lo Stromboli, senza contare gran numero di vulcani spenti. Nell’Oceano Atlantico sono famosi, per la loro attività, i vulcani d’Islanda. Le coste dell’America verso l’Oceano Pacifico hanno, per dir così, un’orlatura quasi continua di vulcani attivi e spenti. I vulcani si contano a centinaja nel grande Arcipelago indiano, dove si notano principalmente per la loro attività i vulcani di Giava e delle isole della Sonda. Sono isole eminentemente vulcaniche il Giappone e le Alenzie, la Nuova Zelanda, le terre polari del sud; in guisa che si può dire che tutto il grande Oceano è sparso e circondato da un esercito innumerevole di vulcani attivi e spenti.
261. Un numero così sterminato di camini ardenti alla superficie del globo, ci dicono che l’interno è intensamente caldo. Abbiamo del resto altre prove di questo calore interno. Si contano a migliaia le sorgenti termali, cioè dotate di un’alta temperatura. Per non uscire d’Italia, basti ricordare le sorgenti calde, e talora bollenti, di Bormio, Acqui, Àbano, Viterbo, Napoli, Ischia, ecc., ecc. È noto inoltre che in tutti i paesi, inoltrandosi sotterra, si trova che la temperatura cresce colla profondità. Nelle miniere molto profonde il caldo è insopportabile. Se la temperatura cresce in quella proporzione che ci è data dall’esperienza, a circa 40 miglia di profondità dovrebbe trovarsi una temperatura capace di fondere le rocce che si trovano alla superficie.
262. Non è però soltanto per mezzo dei vulcani e delle sorgenti termali che gli effetti del calore interno si fanno sentire alla superficie. Questa solida vôlta sulla quale camminiamo, trema, si alza, si abbassa, si spacca. Non avete mai provato un terremoto? Nell’impeto del suo furore scuote la terra, la spezza, inghiotte alberi e cose, e seppellisce centinaja e migliaja di uomini sotto le rovine delle loro città. I terremoti si fanno sentire più frequenti nell’interno od in vicinanza dei distretti vulcanici, e precedono, forse senza eccezione, le eruzioni.
263. Alcune regioni si sollevano lentamente. Vedeste infatti come certi scogli sparsi sul littorale, che erano in altri tempi sommersi dall’alta marea, ora si trovano costantemente all’asciutto; mentre altri, che non si erano mai visti sporgere il capo dall’onde, cominciano a poco a poco a mostrarsi. Alcune regioni, invece, lentamente si abbassano. Pile, argini, antichi monumenti costrutti sulla terra ferma, si mostrano ora sommersi nel mare che andò a poco a poco estendendosi e alzandosi sopra la terra. Queste oscillazioni della superficie del globo, sono effetti pur esse del calore interno.
264. Voi vedete ora come, per mezzo del calore interno, la natura abbia potuto provvedere alla conservazione della terra asciutta. Se le pioggie, il gelo, i fiumi, i ghiacciai, il mare, continuassero a demolire la terra asciutta, senza che la loro opera di devastazione fosse in nessun modo controbilanciata; la terra stessa, come abbiam detto, dovrebbe alla fine scomparire, anzi sarebbe già scomparsa da lungo tempo. Ma il calore interno, sospingendo qua e là la crosta del globo, fa sì che certe porzioni della superficie acquistino una elevazione maggiore, ed altre porzioni del fondo del mare emergono e sono convertite in terra asciutta.
265. Questi sollevamenti ebbero luogo in diverse epoche nelle diverse parti del mondo. Si è già osservato altrove (§ 249), che le montagne sono composte di rocce, le quali si formarono originariamente sul fondo del mare, e furono in seguito sollevate, fino a costituire l’interno dei continenti e le cime più elevate dei monti.