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rovinato edificio; a destra una distesa di campana con piante de’ climi orientali, che forma il fondo del quadro.
Ell’è effigiata di quell’età, in cui tocca il sommo la femminile bellezza; acconciata semplicemente del capo; semplicemente vestita, con un velo che le scende sulle spalle. Il Bambino accenna volersi ergere a carezzarle il volto, e stende le manine in atto leggiadrissimo.
Ed ella reclina su lui lo sguardo, uno sguardo pieno di affetto, in cui è agevole leggere la tenerezza, la riverenza.
Quanto è mai di celeste in quello sguardo! E quanto esso rivela che Madre sia codesta e che Figliuolo!
Nulla di lezioso o di cascante può l’osservator più schifiltoso notare in questa tela; tutto vi seconda la semplicità dell’invenzione e vi dà spicco all’espressione ingenua e divota. Né già occorre dire della purità del disegno, della nobiltà de’ panni, dell’evidenza delle forme della temperanza del colorito: tutti questi pregi trovansi sempre nell’opere dei Podesti, e sarebbe soverchio accennarli in questa, ov’è singolarmente a notarsi quello più valutabile dell’espressione. Ben si vuole saper merito all’illustre artista, che nel condurre questa tela abbia con l’autorità dell’esempio suo confortato l’asserto di quelli, che tengono, non doversi l’arte segregare in due campi quasi rivali, e potersi ogni maniera di soggetti trattare pure oggidì da chi dell’arte stessa rispetta le ragioni, e va franco da tutte le preoccupazioni delle teoriche e delle scuole.
Achille Mauri