Gemme d'arti italiane - Anno I/Campagna lombarda nelle brughiere fra crenna e somma

Giulio Carcano

Campagna lombarda nelle brughiere fra crenna e somma ../Nabuccodonosor che ordina la strage degli Israeliti ../La cuccagna IncludiIntestazione 2 agosto 2018 25% Da definire

Nabuccodonosor che ordina la strage degli Israeliti La cuccagna

[p. 122 modifica]LE BRUGHIERE FRA GALLERATE E SOMA
colla veduta del Monte Rosa
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A GIUSEPPE CANELLA

Epistola

per il quadro ad olio dello stesso

rappresentate

Una CAMPAGNA LOMBARDA NELLE BRUGHIERE TRA CRENNA E SOMA

(proprietà del sig. N. N.)

Il pensiero di Dio, l’arcano lume Della eterna bellezza interrogasti, O figlio eletto della patria mia!

E contemplando il dì che nasce e muore Nell’azzurro de’ cieli interminati, E via seguendo con immoto ciglio Sulle penne de’ venti il procelloso Cammin delle bufere, alla Natura Tu, primo forse, col pennel rapisti Della gioja il mistero e del dolore.

E tu puoi dirmi, ché tu solo il sai, Il riso di quest’ampio italo cielo, Le splendide armonie, [p. 124 modifica]le circonfuse E digradate aëree temperanze Di quella luce che dal sol ne piove La vita e l’allegrezza, e nell’ascosa Idea dell’arte sa guidar la mano Imitatrice delle cose belle.

L’antica Sapïenza onde sì vasto, Fu l’ardimento dell’uman pensiero Che diè vita alle mítiche apparenze Dell’universo, e popolò di numi Quanto cape la terra e il cielo abbraccia, Te adorava, o Cibele, eterna diva.

Lucido albergo alle larve evocate Dalla mortale idea furono allora Il piano, il monte, il mare e l’aere ’l cielo; E una vocal misterïosa scena Era la terra, la gran madre antica.

Ma poi che da una Croce al mondo scese, Dell’eterna promessa adempitrice, L’alta Parola, ritornò Natura Quasi rinverginata alla sembianza Onde usciva di mano al Creatore Ne’ primi dì del mondo. Allor nell’imo Del suo ceruleo regno il dio del mare S’inabissò per sempre; ed i criniti Vegli, accosciati sovra l’urne algenti, Più non posâr de’ fiumi in sulle rive; Dalle, selve fuggîr, fuggîr da monti Le ninfe a schiere, a torme i semidei:

E la Natura, in maestà tranquilla, Rise di nova luce in faccia al sole, Silenzïosa nella sua bellezza.

Di Dio la gloria allor narrâro i cieli; [p. 125 modifica]Allor dell’opre sue le maraviglie Annunziò il firmamento: la deserta Anima de’ mortali, all’infinito Etra mirando, contemplò nel cielo La sola patria della sua speranza.

E la saggia dell’arte intenta mano Fece del Creator l’opre più belle Sola scïenza dell’eterno Vero.

A noi, prole di questa antica madre D’ogni bel, d’ogni grande, e che regina È ancor dell’arti, come fu del mondo, A noi donò il Signor, come di tutte, L’onor della novella arte gentile.

Il sommo che la luce al dì rapío, E alle cose i colori, il tuo gran figlio, Vinegia, fu quel che primo offerse Nelle sue tele, a cui fa guerra invano La lunga ira del tempo, un vivo speglio All’itala natura. Emuli intanto Di Vinegia e di Félsina alle scole L’Olandese e il Fiammingo a più sottile Studio intendean con maraviglia nova:

Ricrëavano l’arte; e que’ portenti De’ maestri pennelli ancor geloso L’attonito amator, quasi adorando, Agli occhi altrui nasconde e per sè cole.

Restava una corona, e la raccolse Il genio del Poussino, a cui nell’arte Claudio più che rivale era fratello.

Tu allor, santa Natura, a mille amanti Prodiga fosti della tua bellezza; E mille solitarie anime ardenti [p. 126 modifica]Speser la vita a vagheggiarti, liete D’un raggio solo della tua sembianza.

Te placida e serena amò il tranquillo Sguardo di Vouvermano e di Teniéro; Te grande e maestosa il genio Franco, E splendida te vide il Lorenese; Ma nell’orror delle tempeste, in mezzo All’irte rupi, agli antri, alle scroscianti Acque montane, in tua beltà tremenda L’anima si piacea di Salvatore.

Or di più cara verità la fonte Bellissima tu apristi all’alma eletta D’un altro figlio dell’Italia mia.

Spirto gentil, chi ti scoverse il santo Magistero dell’arte? onde traesti il segreto che all’anime rivela Questo divino de’ color linguaggio Che in umane parole eco non trova?

A te la bella aurora, annunziatrice Della serena maestà di Dio Creator della vita; a te l’immenso Padiglione de’ cieli in sul meriggio, Quando la luce più diffusa e viva Infonde uno splendor di paradiso In ogni fibra del creato e l’iri Piovendo sulle cose le celesti Gemme di sua settemplice corona Semina gli ampj suoi tesori in terra; A te l’addio del moribondo sole, Che a sè ritira le cosparse nubi, E al divin capo se ne fa velame, Siccome il sofo [p. 127 modifica]antico, allor che solo La suprema aspettando ora del fato Coprìa col lembo del suo bianco manto L’ignuda fronte di pensar già stanca; A te fûr questi sacri e novi sempre Di Natura miracoli, un sublime Insegnamento. Il lume delle stelle Nell’alta notte a meditar sorgesti; Ed il tuo sguardo ad inspirarsi apprese Alla luce purissima del cielo, Unico vel che l’Immortale asconde Agli occhi del mortale. Tu vedesti I color mille onde s’alterna e muta Dell’oceano la severa faccia; Le splendide correnti e gl’infocati Meandri in cui si specchia il sol dall’alto; E quell’eterno armonïoso raggio Che le cose penétra, e pare un inno Dell’universo. E quanti in core han senso Di bellezza e d’amor venían commossi Da un dolce rapimento alle tue tele; E stavano per lunghe ore mirando Intenti e fisi, al par di me, le vaste Solitarie campagne, e le irraggiate Eteree lontananze, e gli orizzonti Incoronati dalle nubi d’oro; E il nembo che s’aggruppa, e il mar che freme Sulla spiaggia deserta; e la silente Maestà della libera foresta, E del novembre l’ispide pruìne, E l’ampio manto della tarda neve; Ovver l’erma cappella in sul dechino [p. 128 modifica]Di boscosa pendice; o le tranquille Praterie salutate dal cadente Sole, e l’umíl casupola schiarata Dalla luna che spunta, e il queto lago, E cielo e mar confusi in un amplesso.

Quando nella stagion d’una caduca Invereconda età colma d’obblio, Ed alla voce del passato muta, Si riposano i volghi sonnolenti; L’arti figlie del ciel, vergini suore, Cercan raminghe in sulla terra il fido Ultimo asilo. La negletta schiera De’ pochi onesti che piagnendo aspetta Un Sol che mai non pare, in suo segreto Prega che almeno non s’offuschi e muoja L’ultimo raggio della sacra lampa; Ma gl’imbelli ozïosi, i pigri e i vili Sollevano le fronti a gran fatica Con maraviglia sciocca riguardando Le sdegnose sembianze de’ veggenti Che fanno forza al tempo, e dal passato Ascoltano sonar l’arcana voce Dei dì che ancor non sono. Ignaro e muto

Il mortal, che felice il mondo chiama, Ascolta e non intende la parola Della mesta Sapienza; e vede il casto Riso dell’arte, ma il calor non sente Di sua virtù riposta. Allor l’ingombra Alto stupor che, mentr’egli giacea Nella torpida vita, altri seguendo Del pensier non mai lasso il vol potente A [p. 129 modifica]somma altezza arrivi, e lauri coglia, E nove terre scopra e novi cieli.

Ma in Dio s’affisa l’intelletto, e il genio Mai non assonna! Negli eterei campi Non ha sentier che il guidi, orma non trova; Pur segue sempre quel divino grido Che gli tuonò dal primo dì del mondo:

Sorgi e cammina! - Oh! nell’età dolente In cui la fede del passato è morta, O smarrita ristagna in fondo ai cuori; In cui parlano fioche le memorie De’ padri, ed alle forti ingenue prove Dell’antica virtù ridono i figli; Allor che il dubbio, che sé stesso rode, Batte l’ale nell’alma, i raggi adombra Che la mente ed il cor legano in santa Corrispondenza, e per sete di vero Nulla conferma e negar tutto ardisce; Per te, spirto gentil, dimenticai Le cure ascose e i cupi assidui sogni Che l’invocata verità mi crea Entro la notte del pensier. Tu m’apri La splendida virtù di quella vita Dell’universo, che vagheggi ed ami Col sereno e pensoso occhio dell’alma; Sì ch’io torno a sperar, teco le pure Armonie contemplando, e le soavi Bellezze

Giulio Carcano