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Di boscosa pendice; o le tranquille Praterie salutate dal cadente Sole, e l’umíl casupola schiarata Dalla luna che spunta, e il queto lago, E cielo e mar confusi in un amplesso.
Quando nella stagion d’una caduca Invereconda età colma d’obblio, Ed alla voce del passato muta, Si riposano i volghi sonnolenti; L’arti figlie del ciel, vergini suore, Cercan raminghe in sulla terra il fido Ultimo asilo. La negletta schiera De’ pochi onesti che piagnendo aspetta Un Sol che mai non pare, in suo segreto Prega che almeno non s’offuschi e muoja L’ultimo raggio della sacra lampa; Ma gl’imbelli ozïosi, i pigri e i vili Sollevano le fronti a gran fatica Con maraviglia sciocca riguardando Le sdegnose sembianze de’ veggenti Che fanno forza al tempo, e dal passato Ascoltano sonar l’arcana voce Dei dì che ancor non sono. Ignaro e muto
Il mortal, che felice il mondo chiama, Ascolta e non intende la parola Della mesta Sapienza; e vede il casto Riso dell’arte, ma il calor non sente Di sua virtù riposta. Allor l’ingombra Alto stupor che, mentr’egli giacea Nella torpida vita, altri seguendo Del pensier non mai lasso il vol potente A