Gemme d'arti italiane - Anno I/Bosco con nevicata
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BOSCO CON NEVICATA
quadro ad olio
di
Remigio Van-Haanen
commissione del sig. N. N.
Anche per l’inverno ha la natura le sue maraviglie e dolcezze; ma per ammirarle e gustarle bisogna vivere alla campagna. Ponete che quella stagione venga a sorprendervi in un bel paesello della Brianza. Gli oziosi che eran venuti ad invaderlo l’autunno se ne son tornati alla loro prigione che chiaman città , e tutto è vostro il villaggio, tutta è vostra l’ampia e libera largura de’ campi. I ruscelli cominciano a rappigliarsi in cristallo; le brine adornan dei loro diamanti alberi e virgulti; la neve, cadendo a larghe falde, copre di molle e candido strato la campagna, e cancellando gli avari termini del mio e del tuo, in un solo confonde tutti i poderi. In città l’inverno è l’agonia dell’anno, è una lunga noja, cui cercate invano d’ingannare e cacciare da voi con mille vani passatempi e rumori. In villa, il multiforme e cangiante aspetto della campagna basta per sé a rallegrarvi il cuore. Ivi un raggio di sole è una festa; un rivo che si scioglie e riprende il suo corso è il primo foriero della natura che si sveglia; un uccello che nuovo e pellegrino viene sull’alba a cantarvi sotto le finestre la sua canzone, è il nunzio (chi sa?) di più clementi giornate. A quella dolce sveglia sorgete dal letto, in cui ogni sera v’accompagna il sonno, senza né subiti terrori, né tetri sogni, né larve spaventose.
O come consolanti e puri sono fra la semplicità dei campi i pensieri del mattino! Le novelle dei vostri bovi, del vostro fenile, del vostro pollajo, del tempo che fa o che vuol fare, sono ben più innocenti e importanti per voi delle maligne storielle che in città al vostro levare vi reca il cameriere o il parrucchiere. E che importerebbe a voi in mezzo a quella beata solitudine, il racconto degli errori o dei rigiri degli uomini, o delle loro fallite ambizioni? In quel dolce asilo di pace, la moglie i figliuoli, gli amici vi diventati più cari, dimenticate i nemici. Io non so, ma parmi che la campagna ci renda migliori. Dopo una notte procellosa, scendere la dimane a visitare il vostro orto, che ancora dormiglia, e forse si desterà al primo sole: credete che ogni vegetazione sia spenta, ed ecco vi rallegra la vista l’edera che verdeggiar fa le sue colonne e il suolo qua e là smaltato di tenero musco. Che se vi piace di allungare il vostro passeggio sino al vicin boschetto, ivi la mortella, il lauro, il ginepro, il vischio parasito co’ suoi grappoli, scossa da sé la canizie della brina o della neve, vi mostrano le sempre verdi lor chiome. Al vostro ritorno un bel fuoco vi attende per riscaldarvi, e l’allegra fiamma degli aridi sermenti vi tien luogo del sole. Poi fra le cure domestiche, tramezzate di piacevoli letture e d’altre dilette occupazioni, passate tranquillamente il resto della vostra breve giornata.
Chiunque abbia gustato di queste campestri dolcezze, non potrà far certo di non sentirsi commuovere alla vista dei dipinti di Remigio Van-Haanen, sì valente a ritrar ne’ suoi paesi le varie forme, e quasi fui per dire le varie vite della natura. La scuola olandese, alla quale egli appartiene, a lui dee certamente in gran parte se ancor serba, per le opere, l’antica sua riputazione in questo genere di pittura, a cui e Olandesi e Fiamminghi furono in principio addestrati dagli Italiani, maestri già in questa come nell’altre arti a tutto il mondo civile.
Il dipinto qui riprodotto dal bulino del Geille, non è altro che un bosco nevicato, senza né casamenti, né altri accessori di paese, solo avvivato, nel piano dinanzi, da poche figurine di contadinelli venuti a far legna; ma quanto d’arte e di natura in così poco soggetto! Quegli alberi, quali al tutto calvi, quali ancor coronati di fronde, quali nel folto lontano della selva per le leggi della prospettiva poco più che adombrati, e quali alla soglia, più profondamente disegnati e coloriti; quei rami ora distorti ora ritti che vagamente s’intrecciano, o superbamente s’innalzano; quelle frappe, la cui varietà traspare anche di sotto al loro manto di neve, quella via bianca bianca, che s’interna nel bosco, quei cadaveri di piante che lo ingombrano dal lato destro, quel cielo finalmente, tra fosco e chiaro, come nei tempi di grande nevazìo, che di pallido lume rischiara il campo del quadro, formano un tutto sì bello e sì vero, che più oltre desiderar non saprebbe né l’arte né la natura. Quella neve è veramente neve, tanto che accostandovi alla tela vi par di quasi sentire il riprezzo del freddo. Se non che col troppo ripetere questi soggetti, si corre facilmente pericolo di dar nel monotono e di copiare e ricopiare sé stesso. Vegga il valente artista, a cui rivolgiamo queste parole, se il nostro avviso può fare per lui.
Luigi Toccagni