Gelopea/Atto secondo
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ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Urania e Berillo.
Uran. Io veramente debbo
Renderti mille grazie,
Che tu m’abbia voluto
Fa parte, e consigliarti
Meso del tuo pensiero;
Perchè per questo
Mi si porge materia
Di farti giovamento,
Siccome di far sempre ho procurato,
E come son tenuto;
Ma per niuna via
Io son per consentirti il dipartire
Di casa, abbandonando
E uo padre, e tua madre;
I quali han per sé stessi
Cotanto di conforto solamente
Quanto ti son d’appresso;
Io non crederò già che’n paragone
Ti voglia per l’amor di Gelopea
Con l’amor di tuo padre; e di tua madre
Ma credimi per certo,
Che non ti sarà forza allontanarti
Per uscir dell’affanno
Che ti porge l’amor di Gelopea:
Perocchè certamente
To arai la tua sposa:
E vicino di lei,
E vicino de’ tuoi
Goderai la bellezza, della quale
Tu oggi disperato
Te ne volevi andar peregrinando
A perder la memoria.
Ber. Urano io già da vecchi
Aveva dire inteso,
Che contra dell’Amor la lontananza
Era ottimo rimedio:
lo fatto aveva prova
E però poi, che indarno
Di guadagnarmi questa pastorella
Si bella ed ostinata,
Voleva allontanarmi da quegli occhi,
Onde nasce la fiamma,
Che mi ha già quasi tutto incenerito.
Uran. Berillo a così fatte medicine,
Le quali son l’estreme
Deve uomo por la mano allora quando
Tutti gli altri argomenti
Si son provati vani:
Hai tu fatto sapere a Gelopea,
Che tu la sposerai?
Ber. Glielo feci sapere
Ben mille, e mille volte.
Uran. E per bocca di cui?
Ch’è di grave momento in questi casi,
Ascoltar le parole
Da chi le sappia sporre.
Ber. Per bocca d’Atalanta
La sua cognata; io da principio tenni
Modo di guadagnarla,
E con prieghi, e con doni:
Ed ella poi con lei s’è faticala
In tutte le maniere
Di piegarla vêr me; le mise avanti
La mia ricca fortuna,
Le sponeva miei prieghi
Le narrava i tormenti, ch’io pativa,
Ma sue fatiche furo sempre indarno
Prese per mio soccorso.
Uran. Non disperar Berillo:
Sappi che ’l tempo ha seco gran possanza
Nelle cose del mondo;
Odi; quanta coltura,
E quanta diligenza adoperasse
Qualunque montanaro
Acciò d’aprile il gran si maturasse,
Tutta sarebbe vana;
E poi senza fatica,
Per sè stesso di gingno si matura:
Così voglio che speri
Che ’l cor di Gelopea,
Che fino a questo giorno è stato acerbo
Incontra il buono studio d’Atlanta
Con un poco di tempo
Lascierà per sè stesso
Affatto ogni acerbezza.
Ber. Uranio io non lo spero
Ne si deve sperare a mio parere;
Perciò che Gelopea
Non m’ama perchè veggia
In me cosa niuna, che le spiaccia:
Ma più tosto confessa,
Che molto degno son d’esser amato:
E ch’ella m’amerebbe,
Se l’amor di Filebo non l’avesse
Tutta quanta occupata;
Or si come è possibile, che s’empia
Un vaso già ripieno,
Così mi par possibile ch’amore
Entri per me nel petto di costei
Già tutto quanto preso
Dell’amore d’altrui.
Uran. Or si come volendo empiere un vaso,
Che già fosse ripieno,
Converrebbe votarlo, similmente
A noi convien di trarle foor del petto,
Questo amor di Filebo.
Ber. Or trova tu maestro,
Che tolga il Sol dal cielo.
Amico non ti dissi,
Che per le pene mie non è speranza
Torle dal cor Filebo?
Uran. Berillo il tempo insegna
Par con esperienza alcune cose,
Che’l consiglio dell’uomo
Per sè non troverebbe:
Io mi son ritrovato con questi occhi
A vedere ammorzare
Un non minore amore:
E con quell’arte stessa io son securo
Di raffreddar costoro.
Dimmi se’ tu securo, ch’Atalanta
Sia per adoperarsi fedelmente
Ad ogni tua richiesta?
Ber. Ben securo, securo,
Uran. Or’odi un poco. Io vo’ che seminiamo
Cotanta gelosia
Nel petto d’ambedue,
Che nel loco d’amor agevolmente d
Sia per succeder l’odio.
Ber. E ciò come farassi?
Uran. Farassi in questo modo:
Io voglio ch’Atalanta con bell’arte
Ragioni a Gelopea, come Filebo
Pien dell’amor d’un altra pastorella
Ha questa notte posto
Ordine di trovarsi insieme seco:
E che poi le discorra,
Com’è possibil cosa, che Filebo
Finga d’amarla per averia a moglie,
Essendo ella si ricca,
Ma che veracemente egli non l’ama,
Poscia ch’ama e procura
Le dolcezze d’un’altra:
Non dubitar, che al suon di queste voci
Non sorga gelosia.
Ber. Io lo vo creder certo.
Uran. Odi pur: d’altra parte io terrò modo
Ch’a Filebo si dica,
Come pur questa notte Gelopca
Ha fermato d’ascosa ritrovarsi
Con un suo caro amante,
Credi tu che’l suo petto
Sarà senza veneno?
Da si fatti sospetti nasceranno
Infra loro querele:
Dalle querele sdegni, e passo passo
Per questo modo anderà rallentando
Il loro amore, e noi staremo attenti;
E quando sentiremo Gelopea
Alquanto raffreddarsi,
Allora con più studio,
Allor con più preghiere assaliremo
L’animo conturbato.
Berillo è questa l’arte
Di vincere una donna:
Donna non si governa con consiglio;
Suoi movimenti sono impetuosi
Ora t’odia, or t’adora.
Ber. Ma noi qual fingeremo esser il loco,
Dove mentitamente
Deono ritrovarsi?
Uran. Quanto è più solitario
Tanto parrà per forti
Commessi per amore.
Ber. E così certamente.
Uran. Dunque vado pensando,
Che ’l fenile d’Alfeo
Sarebbe acconcia stanza.
Egli di qui non è molto lontano,
Ed è nella capanna separato
Da tutte le capanne.
Ber. Dunque sia questo il loco.
Ma dimmi se sapendo
Ciascuno d’essi il loco, s’inviasse
Anco ciascuno in quella parte, e poi
Non vedesse pastore, e pastorella
Se non che loro stessi, non sarebbe
Manifesto l’inganno?
Uran. E se questo avvenisse, avvenirebbe
Il fin del mio pensiero;
E quant’acqua è nel mar non laverebbe
Ciascheduno di loro
Nel giudizio dell’altro.
Ber. Orsù venga chi vuole, aiteremo
Almeno noi medesmi. Io son securo
Dell’opra d’Atalanta
Con essa Gelopea; ma con Filebo?
Uran. Ho pensato a persona la migliore
Per questi effetti, che sia nel paese.
Ei saprà ben fare,
E farà volentieri,
Ch’egli è molto tenuto a compiacermi,
Per molti giovamenti
Da me già ricevuti.
Ber. Dunque tu sarai seco,
Ed io con Atalanta; e per adesso
Non vo’ ringraziarti:
Nè questo è benefizio,
Per cui ti debba solo render grazie."
Uran. Io ti sono obbligato di maniera,
Che quando farò tutto
Averò fatto nulla in tuo servizio.
Ber. Io me ne vado. Addio.
SCENA II
Uranio.
Alcun non può negare,
Che per la giovinezza,
Non sian condotti gli uomini ad errore,
Che nell’età matura
Essi stessi condannano, ne meno
Si può negar, ch’Amore
Col suo foco n’acciechi di maniera,
Che non errare amando
Sia somma meraviglia
Amor quasi può dirsi un aratore;
I buoi sono gli amanti;
Or si come non possono non gire
I buoi per quella parte
Là, dove gli sospinga l’aratore,
Così non può P amante
Non andar colà, dove
Amor vuol, ch’egli vada;
E se l’Amor é cieco,
Pensiamo per noi stessi qual cammino
Si possa far securo
Sotto la scorta sua;
Ecco Berillo a che s’era condotto:
Voleva uscir di casa,
Voleva abbandonar questo bel colle
Di cui sovente la superba falda
Con onda pur di puro argento il mare
Ligustico ne terge, e inonda, e bagna,
Contristar suoi parenti,
E forse di dolore
Seppellir la vecchiezza
Del padre e della Madre.
Per si fatti dirupi il conduceva
La mano dell’amore.
lo spero col consiglio,
E con l’arte pensata
Trar la sua gioventù di questi rischi,
Perchè o veramente ei sarà sposo
Della sua Gelopea,
Ovver con la lunghezza
Del tempo, rallentando la sua fiamma
Pentirassi d’amarla.
L’amor de’ giovinetti
È secondo il proverbio,
Come il foco di paglia:
Ei non dura gran tempo.
Ma certamente in questo pensamento
Venutomi nel core
Berillo ha gran ventura,
Che si trovi in paese una persona
Di tanto accorgimento,
Quanto ha Nerino; e che per sorte io sia
Stato suo conoscente,
Alcuna volta io stato son pentito
D’aver seco amistade:
Ma pur provo, che giova alcuna volta,
Avere alcuna volta
Amistà co’malvagi;
E s’ei non è malvagio,
Non ha malvagi il mondo:
Ma quanto egli ha di reo,
Egli ha tutto rinchiuso in mezzo al core.
La lingua egli ha di mele, ed ha potuto
Con essa, e co’ costumi simulati
Fare inganno a ciascuno,
Si quasi uomo santo è riputato:
Ma questa santità faria per oro
Ogni scelleratezza:
Veggolo io, che ne viene
È desso? o pur non è? certo egli è desso,
Mi risparmia fatica
Di girne in queste spiaggie ricercando.
SCENA TERZA
Nerino, Uranio.
Ner. Dicesi, che nell’anno
È bella primavera:
Ella bella è per certo:
Ma, bella per coloro
C’hanno stato, e fortuna da goderla.
Uran. Viensene giù pensoso:
Già non stimo ch’ei pensi,
Per lo ben di niuno.
Ner. Che giova a me che ’I Cielo
Si fresco, sia sereno
S’ho poi coperto il petto di scurezza.
E se per povertate ho sempre mai
Con marre, e con aratri
Da riguardar sopra la terra in modo,
Che non m’avanza tempo
Da rimirar il Cielo.
Uran. Ei move molto adagio.
Ner. O oro degnamente
Da ciascun custodito! e s’è ragione
Custodirlo, è ragione
Ancora procacciar di farlo suo,
Ma per via, che sia buona:
Or se non sono assai le male vie,
Come lo farem nostro,
Solo pur con le buone.
Uran. Io son per indugiar per sino a sera
S’io non gli vado incontra;
Dio sia teco Nerino.
Ner. E teco o caro Uranio;
Dammi la mano: oh come mi rallegro
Subito, che ti miro, ed a ragione:
Perchè è soave cosa
La vista dell’amico;
Che ne vai lu facendo?
Uran. Io ti vidi da lungi, che venivi
Inverso questa parte,
Ed io mi son fermato a favellare
Con esso teco alquanto?
Ner. Hai tu da comandarmi alcuna cosa.
Tu sai, come io son presto
Ad ogni tuo servigio.
Uran. Io ben lo so; laonde
Non son per teco usar molte parole:
Solamente ti dico,
Che voglio che t’impieghi in beneficio
Del nostro buon Berillo
E tu devi sperare
Che sue molte ricchezze
Per li bisogni tuoi non saran vane.
Ner. La mia belia fortuna
Sarà cagion, Uranio,
Che le cortesie vostre io non rifiuti,
E pur senza speranza di mercede,
lo son per por la vita
Per servir a Berillo,
Or di’ che debbo io fare?
Uran. Hai da saper in prima, che Berillo
E forte innamorato
Di Gelopea figliaola di Melampo;
Or per questa fanciulla consumando
Ha fatto ciò che fanno
Tutto giorno gli amanti;
Ha sospirato, ha pianto,
Ed ha fatto preghiere,
E tutto ba fatto indarno;
Ultimamente vinto dall’amore
Egli s’offerse di sposarla; ed ella
Pure gli fu ritrosa;
Cercando, e ricercando le cagioni,
Onde costei fuggisse d’accettare
Ciò, ch’ella doverebbe
Aver per gran ventura,
Abbiamo conosciuto, ch’ella amava
Filebo, quel garzone
Fratel di Telaira,
Cugino di Torilla,
Ci fa dunque mestiere
Di romper quest’amore
E porre infra lor due
Disdegni, e gelosie,
Onde a Berillo s’apra alcuna strada
D’amicarsi costei.
Abbiam per tanto detto a Gelopea,
Che Filebo ha fermato in questa notte
Di ritrovarsi insieme
Con una Pastorella,
Or vogliam parimente, che si dica
A Filebo, sì come
Questa notte ha fermato Gelopea
Di ritrovarsi con alcun pastore;
E gliel dica per modo,
Ch’egli debba ascoltarlo
Non altrimente, che per cosa vera;
Or se tu ti disponi
Di porti a questa impresa,
Io la veggio condotta
A disïato fine;
E però te ne prego, e ti prometto,
Che non sei per sentir la carestia,
Che n’affligge quest’anno.
Ner. Uranio a dirti il vero è picciol cosa
Questa, che mi commetti
A fornir per Berillo, e son per dire,
Ch’è poca cosa ancora al mio valore.
Dormite di buon sonno,
Tutto ciò fie fornito
Anzi che’l Sol tramonti.
Uran. Odi, s’è fatto dir a Gelopea.
Che’l loco destinato a questi amori
È là presso del fiume
Nel fenile d’Alfeo;
Rammenta questo loco,
E contalo a Filebo; perchè certo
Andrà colà spiando;
E son securo, che per Gelopea
Non men vi fie mandato; e se per sorte
Filebo fie veduto in quelle parti,
Il sospetto è per fare
Alte radici in petto
Di quella giovinetta.
Ner. Favelli ottimamente.
Vanne a trovar Berillo, e fallo certo,
Ch’ei då me fic servito,
Uran. E tu come spacciato
Ta ti sia da Filebo, hai da trovarmi.
SCENA QUARTA
Nerino.
Se sì poca fatica,
E sì picciolo rischio
M’ha da fruttare il viver di quest’anno,
Sì come afferma Uranio,
Io non dirò giammai,
Che stagion quest’anno
Sia stata altro, che fertile. Io per certo
Per sì fatta mercede
Anderei prontamente ad ogni impresa.
Qui dove son mandato,
Che cosa ha di periglio
Narrare una bugia?
E cercar di piantarla
Dentro del seno d’uomo innamorato;
Oh fassi egli altra prova
Tutto giorno fra noi?
Forse ci ha dell’infamia?
E quale infamia? Io vo’ lasciar da canto,
Che l’infamia non sozza
Quanto l’oro abbellisce;
Puossi dir atto reo
Vietar ch’una fanciulla
Non perda sua ventura
Per un vano appetito?
Qual giorno se non tristo, è per avere
Gelopea nell’albergo di Filebo?
Se tuttavia Filebo
Albergo ha, che sia suo;
Dove all’incontro in casa di Berillo
Starà sempre giojosa,
E per comandar sempre a molte greggie,
A molti armenti; parmi
Ch’ella mi debba render grazie, quando
Udirà ch’io fui mezzo
A farle tanto bene,
D’altra parte non niego
Che’l misero Filebo
Non sia per iscannarsi, ma ciascuno
Non deve in questo mondo esser felice;
Che la felicità a mio parere
In questo mondo è fatta
Sol per li possessor delle ricchezze.
Ma lascia ch’io ricerchi,
E ch’io trovi Filebo, e ch’io l’ammazzi
Con la verace angoscia
D’una finta novella.