Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 34

N. 34 - 25 agosto 1872

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[p. 279 modifica]celeF. D’ARCAIS. altra mano ÀI presente numero è unito il N. 16 della Rivista Minima. Bibliografia DEL CAVALIERE LUIGI CASAMORATA Per la commemorazione de’morti a Cariatone s’esegui queuna nuova portò anche ottimi studi sfanno, nella chiesa di Santa Croce, a Firenze, messa del cav. Luigi Casamorata. Come in tutti i suoi lavori, il cav. Casamorata in quest’ultimo tutti que’pregi che vengono dagli Leggiamo nell’Appendice dell’Opinione: Se l’organo è, come disse taluno, il re degli strumenti, il pianoforte n’è almeno il primo ministro, il presidente del Consiglio. Da parecchi anni a questa parte ha estesa la propria autorità dal pian terreno alle soffitte, e non v’è casa che non conceda l’ospitalità a cinque o sei pianoforti più o meno suonati, strimpellati, maltrattati con diletto o tormento dei vicini secondo i casi. Agevolare lo studio del pianoforte, ecco un’opera filantropica, come quella ch’è rivolta ad abbreviare e rendere meno atroce il periodo del tormento per giungere più presto al periodo del diletto. Un buon metodo di pianoforte è adunque utilissimo non solamente a chi studia, ma eziandio a tutti coloro che son condannati ad udire gli esercizi poco piacevoli degli studiosi. E di metodi antichi e moderni ne avevamo a dovizia. Ma in questa come in ogni altr’arte col tempo si progredisce, si fa tesoro dell’esperienza, si trovano vie più facili e sicure. Perciò sia il benvenuto anche il metodo testé pubblicato dall’egregio maestro Angeleri, coi tipi del Ricordi. L’Angeleri ha intitolato questo suo libro: Il Pianoforte - Posizione delle mani - Modo di suonare - Cenni teorico-pratici. Ma in verità, checché ne dica l’autore, il suo è un metodo bello e buono quale doveva uscir dalla mente di un uomo che, nell’insegnamento del pianoforte, fu ed è tuttora uno dei più valenti. L’esimio Angeleri è d’avviso che, mercè le regole da lui additate, con quattro ore al giorno di studio ed un’attenta osservazione dei movimenti della mano e delle dita, lo studioso possa ottenere soddisfacenti risultati. Quanto al numero delle ore necessarie per lo studio, è forse meno opportuno il determinarlo a priori, non potendo a mio avviso, essere uguale per tutti gli allievi, e dovendo dipendere dalle maggiori o minori disposizioni di ciascuno di essi. Ma ad ogni modo l’eccellenza dei precetti esposti con forma semplice e chiara dall’autore, non può essere posta in dubbio. Il nome dell’Angeleri è cosi favorevolmente noto nella repubblica artistica, che per verità io crederei di fargli ingiuria se mi affaticassi a lodarlo. Veruno di quelli che s’occupano di cose musicali, ignora che dalla scuola di pianoforte diretta dall’Angeleri nel Conservatorio di Milano, sono usciti molti artisti di vaglia, saliti ora in gran fama. Anche nei tempi che il Conservatorio milanese era fatto segno ad acerbe accuse, della scuola dell’Angeleri si parlava con rispetto ed ammirazione. Ma v’ha di più, egli lascia in quel Conservatorio le tradizioni del proprio insegnamento, lascia parecchi allievi che potranno continuare F opera sua, e che ora si troveranno maggiormente sorretti nell’ardua impresa dall’aureo libro che son lieto di annunziare. Uno dei pregi principali di questo trattato sta nella novità delle osservazioni fatte, nella sua lunga carriera, dall’autore. Questa novità è palese sovratutto in quella parte del lavoro che riguarda la posizione della mano e delle dita. Nè meno lodevole è quella parte che riguarda le scale, i modi di colorire, i salti, gli abbellimenti, ecc. È superfluo il dire che i precetti sono accompagnati da opportuni esercizi. E nuovo ed ottimo pensiero fu pur quello di unire alle regole ed alle osservazioni, alcune illustrazioni all’acqua forte che rendono più evidente il pensiero del maestro. Per tal modo, il professore e l’allievo hanno sotto gli occhi il precetto posto in pratica, e non durano fatica tranne quella di copiar fedelmente la posizione della e delle dita come sta nell’incisione. Queste incisioni portano in fronte il nome d’un artista bre, di Eleuterio Pagliano, il quale ei presenta una schiera di pianisti seduti al loro strumento; e mani e dita di parecchie dimensioni, collocate sulla tastiera in varie guise. L’edizione di questi Cenni teorico-pratici è fra le più eleganti dello stabilimento Ricordi. Essa si raccomanda non solo per le belle incisioni del Pagliano, ma eziandio per i tipi veramente nitidi e pel buon gusto dei fregi e del frontispizio. Io non dubito che il libro dell’Angeleri sarà accolto con gli onori che merita e vorranno giovarsene tutti i nostri Conservatori di musica. Ho parlato in una recente Rassegna di una fantasia a 4 mani del nostro Ciucci sull’AzcZa. Due altri componimenti sui mgliori motivi di quel fortunato spartito vennero testé pubblicati dal Ricordi. Abbiamo una Trascrizione del valente pianista Andreoli, il quale ha svolto con mirabile abilità il pensiero del preludio, che poi ritorna a più riprese nel corso dell’opera, ed alcune frasi drammatiche del duetto fra Amneris e Radamès. È un pezzo non diffìcilissimo e di sicuro effetto. Il Dolmetsch ha scritto una Parafrasi della Romanza di Radamès, ch’è riprodotta molto fedelmente e con graziosi abbellimenti. [p. 280 modifica]282 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO musicali, da una perizia veramente magistrale nelle cose del canto e del contrappunto, da una vera e soda conoscenza della lingua latina e della liturgia, da una ricca e svariatissima cultura di mente; e di più da quel profondo sentimento di dolore e di mestizia che lasciò nell’animo suo la grande sventura che l’ha di recente colpito. Lo stile della nuova sua messa è largo e severo come conveniva al soggetto e come conveniva altresì alla vastità e alle sfavorevoli condizioni acustiche della chiesa di Santa Croce. Più che il contrappunto propriamente detto, fanno bello e pregevole quello stile, i frutti del contrappunto: la naturalezza con cui si muovono e cantano le parti, l’efficacia armonica, la sonorità maestosa e ben nutrita. Severità senza peso e senza monotonia: scorrevolezza di discorso melodico, senz’ombra di leggerezza mai: facilità in tutto, senza mai cadere nel comune; e questi pregi che sono in tutta la messa, sono pure nell’Offertorio che è una Fuga. La quale è. una de’ pochi modelli di quel diffìcilissimo temperamento di stile di che ha urgente bisogno la musica religiosa. Vogliam dire di quel temperamento che mandi insieme le forme rigorose del contrappunto, le quali provvedono a mettere in salvo il decoro della chiesa, e il linguaggio dell’arte che sappia cattivare i sensi degli uomini d’oggi e che sappia parlare al loro cuore e innalzare le loro menti. Oltre la bella Fuga àeïV Offertorio v’ha nella messa del cavaliere Casamorata: Y Introito, il Dies irae e segnatamente il Reæ tremendae majestatis, e v’ha Y Agnus Dei che, tutti, son pezzi singolarmente mirabili per bellezza di concetto e di condotta, per dottrina, per buona strumentazione e per convenienza liturgica. Un pregio quest’ultimo che nella musica religiosa moderna non si riscontra che ben di rado e pel quale il cavaliere Casamorata può esser preso come uno de’ più sicuri modelli. LJ. jA. BiAqqi. (Dalla Nazione) Nella raccolta delle leggi del Mecklenburg trovavasi un ordine antico, secondo il quale gli osti della campagna erano obbligati, in occasioni di nozze, di feste delle messi, ecc., di prendere almeno due valenti musicisti del corpo di musica del loro distretto, restando però in loro arbitrio di far suonare il basso da un giornaliero qualunque. Siccome questa legge con pertinace pietà non fu abrogata, è possibile che sia osservata anche oggidì. ¥ Il direttore teatrale Pokorny a Vienna doveva tutta la sua fortuna alla protezione della Corte, avendo egli studiato assiduamente le difficili arti del gatto fino a divenirne maestro. Un giorno che? arciduchessa Sofia gli disse parole lusinghiere sopra una rappresentazione della Vielka di Meyerbeer, lo spiritoso direttore le rispose tosto: «Mi stimo immensamente felice di sentire un elogio da una bocca così grande». Presso Satheby; Wilkinson e Hodge a Londra ebbe luogo la vendita all’incanto della collezione di manoscritti autografi di celebri maestri lasciata dal defunto pianista Thalberg. I prezzi più elevati furono per le partiture di Mozart. La bella Sonata in do, mag., per pianoforte, Mannheim (dedicata a M.lla Teresa Pieren), firmata: Di Wolgango Amadeo Mozart, 1777, Mannheim, fu venduta per lire sterline 29; un rondò in la minore per pianoforte (sottoscritto: Di W. A. Mozart, 1787) per lire sterline 12. Le opere di Beethoven erano rappresentate da un ben conservato concerto per pianoforte, in si bemolle, che fruttò lire sterline 16, e da tre canti di Gòthe, Op. 83, Wonneder Wehmuth, SehnsuchI e Mit einem gemalten Bande, datati dal 1810. Questi ultimi furono pagati lire sterline 12 e scel. 10. La partitura di una cantata di Handel fu acquistata per lire sterline 35. e la Messa di nozze di Giovanni Sebastiano Bach, colla data 1734, opera ancora inedita, per lire sterline 24. Prezzi inferiori furono pagati per composizioni di Haydn, Weber e Mendelssohn. APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNÜ0L0 DI DAN 8 ELE RU BB! (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33/ Il vispo giovinetto stava per obbedire col volto raggiante di giubilo, quando un segnale di Rubens lo trattenne. — Andrò io a fare la rassegna di tutti i cavalletti, disse; e cosi non si dovrà muoverli dal loro posto. L’ambasciatore appoggiossi allora al braccio di Velâzquez nella stessa guisa che il Re s’era prima appoggiato al suo, e i due pittori si diressero al primo cavalletto sul quale era stesa una tela con una Maddalena quasi finita. Rubens si cavò il guanto bianco e profumato dalla mano destra, mentre contemplava la pittura con profonda attenzione. — Questo quadro rivela che avete molto ingegno, don Giovanni, disse egli dirigendosi al giovine; vi consiglio, però, di non far uso troppo frequente delle tinte forti. Il giovine artista inchinossi. — Fatemi il favore di darmi una tavolozza ed un pennello, signor don Giovanni, aggiunse l’ambasciatore; voglio dare una pennellata al vostro quadro, e ad ognuno di quelli dei vostri colleghi. Una esclamazione di giubilo scoppiò da tutti quegli animi entusiastici e giovanili, e due grosse lagrime di gratitudine spuntarono sulle nere e meste pupille di Velâzquez. Rubens prese il pennello che gli presentava don Giovanni, e strofinandolo nel colore adatto, tirò giù tre o quattro pennellate sul quadro, dando un’ammirabile ombra alle braccia della Maddalena, che risaltavano troppo. — Oh, quanto sono contento! bisbigliò il giovinetto seguendo Rubens colla tavolozza al cavalletto vicino. — Date la tavolozza al padrone di questa tela, don Giovanni, disse il Re della pittura con dolce e benevolo sorriso; desidero che ciascuno mi veda lavorare mentre dipingo per esso. Un fanciullo di quattordici anni, assai poveramente vestito, prese la tavolozza dalle mani di don Giovanni. — Come vi chiamate, piccolo amico? dimandò Rubens. — Paolo Astudillo, signore. — Abbiamo dunque lo stesso santo per patrono; da bravo, fatevi coraggio, disse Rubens dando qualche tocco nella tela con somma cura; avete dipinto una Niobe assai bella, per la vostra tenera età, per cui non vi faccio osservazioni; ma quando sarà finita, ve la impegno per la camera di mia moglie Èlena; scrivetemi ad Anversa appena’l’avrete terminata. Il ragazzo ritirossi piangente di gioja, e Rubens passò al cavalletto ’vicino. La tela presentava il ritratto del pittore di Filippo IV. — Oh, che ritratto magnifico! esclamò l’ambasciatore, contemplandolo a lungo e facendo un segno a Velâzquez perchè si avvicinasse nel frattempo che inumidiva il pennello. E cominciò, non ad emendare nulla, ma sibbene a dare ai bei lineamenti del ritratto una tinta melanconica che distruggeva l’espressiva e bella fisonomia dell’originale. — Quando il dolore che vi travaglia sarà passato. Velâzquez, dissegli a bassa voce, vi sarà grato il vedere questa imagine, perchè paragonerete la vostra felicità colle sventure già dimenticate; amo imprimere nel vostro ritratto l’imagine del dolore presente, onde benediciate Iddio, nel vederla, quando sarete felice. Don Diego crollò mestamente il capo. In quell’istante, il colloquio, che già da un quarto d’ora avevano a voce bassa il Re e il conte-duca, in un angolo dalla stanza, animossi di repente, senza che nessuno si avvedesse; i cortigiani interamente entusiasmati nell’ammirare Rubens a lavorare fra i cavalletti dei giovani, nuli’altro curaronsi di osservare. [p. 281 modifica]GAZZETTA MUSI Rivista Milanese Sabato, 24 agosto. Nell’annunziare il successo della Follia a Roma al Politeama, la Gazzella Musicale fu più incontentabile di molti suoi colleglli, i quali nei frequenti applausi del pubblico trovarono ragione di credere in buona fede al successo lietissimo. Ma chi conosceva, i trionfi senza esempio riportati da quest’opera due volte a Parigi, due volte a Genova ed altrove, chi avendo in massima stima l’ingegno del maestro Ricci, che è fra i pochissimi italiani che tengono ancora in onore l’opera buffa, aspettava l’entusiasmo, non poteva certo accontentarsi delle buone accoglienze. Sono stato preceduto da molti nell’esame dei pregi di questa musica e delle cause che ne oscurarono le bellezze; non dimeno- io mi riservo a parlare di proposito del merito intrinseco quando possibilmente tutte le condizioni avverse al trionfo sieno state tolte, e la nuova opera riapparisca più sicura del fatto suo. Ogni prima rappresentazione, si sa,dia due sorta di nemici, quelli della platea e delle loggie, e quelli del palcoscenico; dei primi si trionfa a patto che non si abbia a lottare coi secondi che sono i più formidabili. Il maestro Ricci ebbe un terzo nemico, più feroce di tutti, il suo poeta che gli ricucinò un intingolo ammuffito con una indigeribile salsa di pezzetti di prosa mal rimati e mal numerati. Se il maestro Ricci non ha preso in orrore la sua Musa alla vista dei misfatti commessi dalla Musa del suo librettista, vuol dire che egli divide la fede dei nostri nonni, i quali avevano il torto di pensare che si potessse scrivere un capolavoro e mandarlo a braccetto con una scempiaggine, e il torto ancora maggiore di mettere in pratica ciò che pensavano. Oggi i maestri di musica hanno fatto progressi evidenti di raziocinio, e domandano un buon libretto, anche se non sanno scrivere quattro note di buona musica. I capilavori naturalmente sono rimasti rari, e i buoni libretti anche. Altro malanno che doveva compromettere lo spartito del Ricci fu il teatro; pensate una musica tutta fina, squisita, elegante di fattura, con un’orchestra che è uno scrigno aperto, per cui l’attenzione non potrebbe essere mai soverchia, pensatela ridotta in una enorme baracca di legno, innanzi ad un pubblico, a CALE DI MILANO 283 cui si smorza ogni tanto lo sigaro che bisogna riaccendere, che ha caldo e si fa vento, ha sete e fa stoppare le gasose, e che quando vuole raccogliersi per ascoltare si raccomanda il silenzio con un bisbiglio senza fine! L’effetto immediato di questa condizione di cose è che non si guarda se non alle figure principali, ai pezzi più spiegati, tutto il resto rimane nell’ombra, e se per poco non si afferrano subito parecchie dozzine di motivi che alla prima paiano nuovi, belli e d’effetto, l’indifferenza si fa la padrona del luogo. Pure, se non parecchie dozzine di bei pezzi, certo ve n’ha poco meno nella Follia a Roma e il pubblico ne scoprirà con meraviglia assai più d’uno, alla seconda rappresentazione, che alla prima ha mostrato di non gustare. E si avvedrà forse che l’opera contiene somme bellezze semi-nascoste dalla stessa ricchezza, che l’impasto delle voci è stupendo ef che l’orchestra si sposa alle parti cantabili come si vede in pochissime opere, nella massima parte delle quali, quando non avviene che l’una soverchi l’altra, gli è perchè l’una tira a dritta e l’altra a mancina e strepitano entrambe per proprio conto; si avvedrà infine che delle poche opere buffe apparse negli ultimi anni, questa del Ricci non è soltanto la migliore, ma che se le lascia indietro tutte un bel tratto! Ma di qu-esto, e più di proposito, un’altra volta. Il terzo guaio fu l’esecuzione; tolto Bottero di cui la critica ha tutto detto quando ne ha pronunciato il nome, e la Pernini, artista di rari meriti per la naturale dolcezza della voce e per la perizia poco comune di canto, tolta la signora Luini che interpretò con garbo la sua parte e cantò con bella voce, e il tenore Parasini, che fu abbastanza lodevole, il rimanente andò a rotoli. I cori uscirono molte volte di tono e di misura, e l’orchestra, sebbene diretta con passione, mancava di quel colorito e di quella sicurezza indispensabile per un’opera che ha tesori in orchestra da far valere. Aspetto adunque che la guarigione della signora Pernini renda possibile la seconda rappresentazione, la quale, per me e per chi ha a cuore l’arte italiana, deve essere la prima. — Più tardi andrò, diceva Filippo IV con aria imbarazzata: non posso lasciare ora Rubens; la etichetta... — Per lo contrario, rispose il favorito con un’impazienza che invano si sforzava dissimulare, per lo contrario, V. M. deve andare ora. La fanciulla è nella migliore disposizione d’animo che si possa desiderare; jeri sera, mentre essa dormiva, posi sulla sua toletta una lettera anonima nella quale le faceva sapere che Velâzquez non era suo fratello: che s’era servito di quel vile inganno per obbligarla a vivere con lui; ma che, lungi dall’amarla, era vivamente innamorato di sua moglie donna Giovanna Pacheco, di cui ha una figlia; che soltanto desidera ritenerla per modella, perchè la sua sorprendente bellezza eragli necessaria per i quadri, e che per siffatta ragione Ja nascondeva agli occhi di tutti. — E quale effetto ha prodotto su lei questa lettera? — Il più terribile; cadde in una profonda disperazione e furonvi istanti in cui la veemenza del dolore la privarono dei sensi. — Sventurata! — Ora più che mai, quindi, saranno efficaci le consolazioni e l’amore di V. M., ed è mestieri guadagnar tempo. Il Re, dubbioso, gettò un’occhiata inquieta sui due pittori, i quali, seguiti dagli scolari e dai cortigiani, continuavano la rassegna dei cavalletti. — L’ho appena vista in quest’istante, continuò il favorito con una calma che non aveva sino allora usata, e che lasciava chiaramente intravedere la ferma speranza che le sue ultime parole facessero il colpo decisivo sull’animo del Re. — E come sta, come sta? chiese questo ansiosamente. — La sua vita si spegno per la forza del dolore, e credo fermamente, che, se V. M. prolunga di un’ora codesta visita, la perdiamo per sempre. — Andiamo, disse il Re, ne’ cui grandi occhi apparve un segno di forte dolore; andiamo all’istante. Sulle labbra del favorito comparve un sorriso di trionfo, e aprendo adagio adagio la porticina da cui era appena venuto, Acomparve col Re, senza che alcuno si accorgesse della loro partenza. XIII. LO SCHIAVO. Rubens, finalmente, finì di girare i cavalletti, correggendo in essi qualche difetto più o meno leggiero, e dando incoraggiamenti e lodi a tutti i giovani secondo il loro merito. Ciò fatto, diresse agli scolari, in generale, alcune parole serie e affettuose, esortandoli al lavoro e alla perseveranza; poscia fermossi innanzi a un grande cavalletto su cui stava uno stupendo ritratto della Regina Isabella di Borbone. Nel vedere quella pittura, il grande artista ammutolì, e non fece altro che congiungere le mani con un’espressione assai viva di ammirazione appassionata e grandissima. — Ho visto nulla che possa paragonarsi a questa pittura, disse alfine dirigendosi a Velâzquez, e indicando il ritratto della Regina; le parole, don Diego, non bastano a esprimere quello che io sento! E l’ambasciatore gettò le braccia al cotto del pittore di camera. Indi tornò a guardare il ritratto con avida attenzione, come se quella pittura avesse magnetizzato il suo sguardo. — Non concederete a me lo stesso onore che hanno avuto questi giovani? disse Velâzquez presentando all’ambasciatore la tavolozza ed il pennello. — Dio mi guardi dal toccare un’opera tanto divina! rispose Rubens, staccandosi del cavalletto rispettosamente; tuttavia, aggiunse, amo farne un leggiero bozzetto per mia memoria, senza che per questo abbia a rinunciare a vedere poscia tutte le pitture vostre che indicherete. In cosi dire si abbassò a prendere una tela rotolata, che era a terra vicino a lui, e la collocò sul cavalletto che Velâzquez gli avvicinava; la tela era quella, che, secondo ciò che aveva detto uno degli scolari. era stata presa dal ripostiglio del mulatto Giovanni de Pareja. Ma appena fu spiegata, un acuto grido fuggì dal petto di Rubens, che rimase, guardandola, come pietrificato. Giammai eransi presentati a sguardi umani un’opera più per [p. 282 modifica]284 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Ho assistito melanconicamente all’esperimento finale dell’istituto de’ ciechi. Quegli infelici a forza di buon volere e di cure sono riusciti a non sentire quasi più la loro disgrazia; sanno la storia, la geografia, la fìsica, la matematica, parlano con sicurezza delle cose della terra che non vedranno mai. E nondimeno io mi sono detto che questa scienza fredda non può diradare l’eterna notte delle loro intelligenze; oh! chi, invece della storia e della matematica, potesse dar loro un raggio di sole! La musica è il meglio che si possa insegnare a chi non può assistere allo spettacolo dell’universo, ed è appunto in questa parte che i saggi dell’istituto sono sempre interessantissimi. G-li allievi suonano bene, taluni benissimo, e col concorso paziente dei maestri riescono a mettersi d’accordo in modo da eseguire con sufficiente precisione e colorito i capilavori della musica classica. Fra i pezzi cite suonarono l’altro di mi piacque assai una Melodia per harmonium e pianoforte, composta da una cieca, la signora Adele Sacelli. Le frasi sono larghe e piene d’espressione e la forma ben condotta. La signora Sacelli è un’allieva che fa molto onore alla scuola di composizione del maestro Saladino: essa è pure una cantante piena di sentimento e di passione. Udii un bravissimo violinista, il signor Vittorio de Gestenbrand. e parecchi buoni pianisti; in tutti i pezzi eseguiti, se molte volte venne meno la fusione dell’insieme, il sentimento individuale fe’ prova dell’ardore con cui quei poveretti si consacrano alla musica. La quale, per quello che ei vien detto, non è presso chi presiede all’Istituto nell’onore che merita. I professori, pagati a lezioni, vi han l’aria di estranei, e questo non è solo un danno ma un’ingiustizia; chi dà lezioni di musica ai ciechi non può paragonarsi al primo maestro di musica venuto; ha d’uopo di singolare pazienza e di prendere ad amare gli allievi come membri d’una famiglia a cui egli stesso appartiene. La bontà dei risultati ottenuti non è una buona ragione per persistere nel sistema, nè per credere che non si potrebbero ottenere di meglio. Sono imminenti le feste dell’Esposizione; il mese di settembre sarà un mese spettacoloso nel proprio significato della parola. Avremo quasi tutti i teatri aperti; la Scala col Freischütz e col ballo Bianca di Nevers, il Nuovo Teatro Bonaparte cogli Ugonotti, il Re ( nuovo ) col Don Pasquale; inoltre Santa Radegonda ospiterà la commedia, e il Carcano ospiterà la compagnia e lo spettacolo del Politeama: il Milanese si riaprirà con molte commedie nuove, e il Fossati si raccomanderà alla vena prolifica di Ulisse Barbieri! Non avremo però più il teatrino Estivo; da un paio di sere vi si dava con qualche fortuna il Don Procopio in cui si facevano applaudire le signore Baldi e Gnocchi; ma, non si sa bene perchè la compagnia ha trasportato provvisoriamente il suo bagaglio al Milanese. Si lamenta solo che per l’inaugurazione dell’Esposizione non sia pronto nè lo spettacolo della Scala,• nè quello del Teatro Bonaparte; si parla d’un’accademia vocale e strumentale, ma non si sa nulla di sicuro. Oggi al Conservatorio ebbe luogo la distribuzione dei premiì agli allievi; fu una bella cerimonia; il Direttore ’pronunciò un discorsetto intorno ai risultati dell’istituto; e furono eseguite dagli allievi le due belle sinfonie del Coronaro e del Cerquetelli, che abbiamo riudito con piacere. fetta del quadro dipinto sulla tela che Rubens aveva còlto da terra, credendola liscia. Era il superbo quadro che oggi esiste nel Museo di Parigi, e che si chiama II Seppellimento. — Chi ha fatto questo? chiese l’ambasciatore voltandosi al gruppo degli scolari. Nessuno rispose. — Chi di lor signori lo ha fatto? chiese dal canto suo Velâzquez. — Io no, no, no, risposero quasi a un tempo tutti i giovani. — Io, lo presi, senza sapere cos’era, nella stanza di Giovanni, rispose uno; dacché il povero Giovanni fuggì, mi rincresceva tanto che pigliai quel rotolo di tela per sua memoria. All’udire il nome di Giovanni, una terribile pallidezza copri il volto del pittore di camera, e i suoi occhi gettarono lampi. Subito Rubens fissò lo sguardo in altro cavalletto vicino, e impallidì pure: portava il bellissimo quadro della Incoronazione della Vergine. — Velâzquez.... esclamò con voce scalmanata e tirando il pittore di camera vicino al quadro: Velâzquez... dite... ditemi... dove avete visto i lineamenti di questa Vergine?... La pallidezza di Velâzquez si fece assai più grande. ■— Per l’amore di vostra madre, per quanto vi è di più caro al mondo, don Diego, rispondetemi! aggiunse ansiosamente Rubens. Velâzquez passò distratto la sua scarna mano sull’infocata fronte, e rispose con voce bassa e tremante, che soltanto poteva udire l’ambasciatore. — Il sembiante di questa vergine è una copia. — Ma non è esatta; non è vero? prosegui Rubens la cui ansietà aumentava: certamente non è esatta, Velâzquez!... È vero che l’originale aveva capegli biondi e occhi azzurri come quelli d’un angelo?... — Non lo so... — Non lo sapete! Ebbene per la vostra vita... esclamò Rubens afferrando Velâzquez violentemente pel braccio; ricordatevi che a me è necessario lo diciate; intendete?... ho bisogno... All’udire queste energiche parole, Velâzquez alzò il capo; la sua generosa alterigia ribellossi contro quell’aspro linguaggio, e da’ suoi neri occhi divampava l’ira. — Velâzquez! esclamò l’ambasciatore, indovinando ciò che passava in quell’anima; Velâzquez, perdonate la disperazione di un padre che vi chiede la figliuola sua... — Sua figlia!... gridarono a un tempo tre voci. Erano quelle del Re e del favorito, che in quell’istante entravano nascostamente, e quella di Velâzquez, che cadde ai piedi dell’ambasciatore colla fronte china al suolo. — Mia figlia... sì... sì!... mia figlia Anna, che mi avete rapita in Anversa, don Diego... esclamò Rubens, alla cui mente era stato un raggio di luce l’atto di Velâzquez di gettarsi a’ suoi piedi: la figlia mia che cerco dappertutto... La voce dell’ambasciatore rimase soffocata dal funebre battito della campana del monastero che sonava a martello, e subito si vide, attraverso le finestre dello studio, un’immensa colonna di fumo che usciva dal lato in cui erano posti gli appartamenti della Regina e del conte-duca. — Tua figlia è là... là, dov’è il fuoco, Rubens, esclamò il Re stendendo disperatamente le braccia verso il luogo dove usciva il fumo: e colà sta per perire assieme alla Regina ed a mia figlia!... Oh. figliuola mia! Si salvi mia figlia e sua madre!... Il Re lanciossi alla porta. Il sacro affetto di marito e padre trionfava della passione che Anna gli aveva inspirato. In quell’istante aprissi con fracasso la porticina che metteva alla camera del Re, e Isabella di Borbone si precipitò nello studio portando fra le braccia la figlia sua. Sembrava impossibile che quella delicata ed esile donna avesse potuto sorreggere a quel modo la Infanta Maria Teresa, che era svenuta. — Signore, la figliuola mia muore... esclamò la povera Isabella ponendo fra le braccia del Re la fanciullina, e lasciandosi cadere, quasi priva di sentimento, su una panca. Filippo IV avvicinò al suo petto il pallido volto della sposa; il conte-duca prese tra le braccia l’infanta Maria Teresa, e applicò ai naso della svenuta piccina una boccetta di spiriti, frattanto che Rubens e Velâzquez correvano alla porta in cerca di Anna. Ma tosto retrocedettero gettando un grido d’angoscia e di gioja a un tempo. Sulla soglia erasi precipitato, nell’istante che essi presentavansi, il mulatto Giovanni de Pareja, portando nelle sue braccia, quasi cadavere, la giovane Anna, la cui enorme capigliatura strascicava al suolo. In quell’istante in cui lo schiavo precipitavasi nello studio, la campana del monastero cessava dal sonare a stormo, e subito dopo entrava tranquillamente don Giovanni Hurtado de Mendoza, duca dell’Infantado. {Continua) [p. 283 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 285 CORRISPONDENZE

  • L’esposizione d’economia domestica fu inaugurata giorni sono a Parigi ’

nel Palazzo dell’industria. Un festival d’orfeonisti e di fanfare, a cui presero parte 400 esecutori diretti dal signor E. Delaporte, formava la parte musicale della cerimonia. ¥ Presto verrà eseguita a Genova un’opera postuma del compianto maestro Andrea Casalini, col titolo: Manfredi re di Sicilia, parole del signor Jacopo Cabianca. Il Casalini fu giovane di eletto ingegno, apprese alla scuola di Mercadante, e scrisse varie composizioni applaudite, fra cui un’opera La Sposa di Marcia rappresentata con lieto esito a Torino. L" inaugurazione del nuovo teatro della Concordia della Repubblica di S. Marino, che doveva aver luogo coll’opera Adelinda il 18 corrente, fu prò- I tratta fino a nuovo avviso. A Tours fu inaugurato, giorni sono, un nuovo teatro. I giornali di Verona sono concordi nel giudicare come magnifico lavoro una nuova Messa del maestro Alessandro Sala, eseguita testé nella chiesa di S. Nicolò in Verona. ¥ Il giorno in cui si celebrarono gli sponsali della Nilsson a Londra fu- i rono esposti in una sala i doni offertile che, a dire dei giornali inglesi, furono stimati del valore di 350,000 franchi.

  • L’egregio maestro Platania, direttore del Conservatorio di Palermo, sta

componendo un’opera, dal titolo Camma, parole di B. Prado. A Weimar, per le solennità nuziali del principe ereditario, si rappresenterà il Feramors di Rubinstein nonostante l’insuccesso che ebbe a Dresda e Vienna. La scelta di quest’opera si attribuisce al libretto, che è adatto all’occorrenza.

  • Serafina Tausig, vedova del pianista Tausig, essa pure valente pianista,

intraprende un viaggio artistico per l’Ungheria.

  • Il Mannergesangverein (società corale) di Vienna ha divisato di fondare

un Istituto Schubert coll’avanzo del fondo pel monumento Schubert (circa 3400 fiorini). ¥ L’imperatore d’Austria accordò alla vedova del defunto maestro di cappella della corte, Esser, oltre la pensione, un sussidio per l’educazione de’ suoi • due figli minorenni. Al teatro Erminia a Dresda si rappresenteranno due opere nuove di Luigi Schubert: I due avari e Faustina Hasse. Al teatro di Annover è molto applaudita una cantante Elisa Domasi, nativa di Java; educata in Germania, perfezionò i suoi studi in Italia. Nel Faust, nel Trovatore e nella Lucia ebbe gran successo. Nel nuovo teatro che si aprirà a Colonia il l.° settembre, fu posto un ♦apparato telegrafico che al principio d’ogni rappresentazione e d’ogni atto darà i segnali alle guardarobe, alle loggie, alla platea ed al ristorante; insomma a tutte le parti del teatro ed al pubblico che si trova fuori. Anche gli artisti che prendono parte alle rappresentazioni saranno avvisati telegraficamente quando devono comparire sulla scena.

  • Hans von Bülow ha rinunciato per quest’anno al suo viaggio per l’America.

Egli accetterebbe per un anno il posto di maestro direttore del teatro di Mannheim, pur che si escludesse dal repertorio qualunque opera francese. ¥ A Mantova giorni sono ebbe luogo l’esperimento finale della Scuola Comunale di musica. Furono eseguiti diciotto pezzi, e tutti ebbero applausi. > Il primo settembre, in occasione della Kermesse, avrà luogo a Lovanio un festival d’armonia, di fanfare e di canto a cui furono invitate tutte le società musicali del paese. Ogni società riceverà una medaglia commemorativa d’argento dorato.

  • Ci scrivono da Perugia: Nel prossimo autunno si spora un buon spettacolo

d’opera in musica. La scelta delle opere non è ancora fatta, ma furono scritturati alcuni bravi artisti, fra cui la signora Paolina Marinelli.

  • L’Agenzia dell’Arte in Trieste è esclusivamente incaricata della formazione

delle compagnie d’opera e ballo con le relative masse per lo spettacolo del nuovo teatro Internazionale che verrà aperto in Vienna nell’aprile 1873, per la grande Esposizione. Quel teatro conterrà 5 mila spettatori seduti, e l’area interna è calcolata 5 piedi quadrati per ogni persona! NAPOLI, 21 agosto. La Fiera del maestro Delfico. — Il libretto. — La musica. — L’esecuzione. — Concorso — Promesse. La Fiera, del sig. De-Filippis-Delfìco, ieri sera al Mercadante riportò una splendida vittoria, considerando gli applausi, le diciotto chiamate e i due bis al terzo atto, alla serenata, cioè, ed al duetto fra la Nascio e il Montanaro. Teatro pieno zeppo, spettatori dell’alta aristocrazia, tutti i componenti insomma di quella tale Società Filarmonica che ordinata da’ nobili, ebbe già il torto di fare produrre su queste medesime scene del Mercadante quel musicale aborto che fu la Gilda del Salomè, e di cui vi parlai a suo tempo. Il Delfico non fa un primo tentativo con questa Fiera; egli scrisse, nel 1850, qualche altra musica al teatro Nuovo; di lui furono rappresentate tre operette comiche, d’una delle quali, il Consiglio di reclutazione, scrisse i versi un giovine di alte speranze, che mori poco dopo, il povero Gennaro Bolognese. I libretti delle altre due erano del Passaro e di Domenico Bolognese. La sua musa tacque lungamente; alla fin destaronlo i facili trionfi della Filarmonica, e il Delfico su quel teatrino fece eseguire un D. Bombardone, del quale si parlò lungamente e bene. Pochi mesi or sono, i soci della Filarmonica, entusiasticamente ammirarono un’altra operetta del Delfico il Ritorno da Parigi, che, con molta amorevolezza, diresse l’illustre Lauro Rossi. Finalmente il Delfico volle tentare il giudizio di un pubblico per niente prevenuto, ed a far ciò scrisse questa Fiera, e parmi fosse meglio avvisato che non il Salomè, il quale fecesi lecito presentare un’opera da dilettante e per dilettanti sulle scene di un teatro che servi di agone ai fratelli Ricci, e fu premio di lunghe lotte strenuamente sostenute dei più valenti atleti musicali. Il libretto della Fiera è opera del sig. Rosati, come vi dissi già, ed è buono, vivace; avuto riguardo che è il primo tentativo del brioso scrittore in questo genere, si deve altamente lodare e spingere l’autore a novelle prove. In questo libretto trattasi di un conte il quale, annoiato dalla moglie che pendegli sempre dall’abito, cerca una distrazione, passando per un villaggio dove ha i suoi beni, e fìnge essere bramoso di assistere alla fiera che ferrassi colà. La contessa, o che le manchi il cuore di vedersi lungi dal marito, o perchè gli vuol preparare una sorpresa.gradita, vestesi da contadina e lo segue, e... buon per lei se non ei fosse andata, trova che la causa della partenza del manto non è mica la fiera, ma un amorazzo con una vivandiera. Di costei pertanto è pure preso un tenente, cugino della contessa, il quale va per seguire l’altra, e imbattesi con la contessa alla fiera, e narransi scambievolmente le proprie pene, e per parlare a loro agio, entrano in un caffè dove poco di poi convengono pure il conte e la contessa, e qui succede un chiasso indiavolato. Grandi scene di gelosia tra la contessa che vede il marito con la vivandiera e il conte che non conosce esser cugino della moglie quel tenente che con esso lei intrattenevasi. Questo nodo avviluppato è sciolto da Lorenzo, fattore del conte, a suo modo, e ognuno resta contento del fatto suo. Ecco tutta l’azione di questo melodramma giocoso che presenta belle e ben giustificate posizioni facili e a quando a quando eleganti versi; noto solamente metri troppo uniformi quasi sempre ottanari e quinari e l’ultimo atto, che è superfluo all’azione, può aver parimenti fine il melodramma. Ho toccatole’ precedenti artistici del Delfico, ma non vi dissi per anco esser desso uno de’nostri più belli e versatili ingegni. Il Delfico è il più grazioso e lepido caricaturista e scrive discreti versi. Fosse intolleranza di studii severi, o poca fermezza, egli non volle soffermarsi nelle regioni dell’arte pittorica, o in quelle della poesia e nelle altre, ancora più spiritualistiche della musica, e fu ciò un danno; avremmo cosi un artista o un poeta [p. 284 modifica]286 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO di più nel novero degli eccellenti. Tuttavia il Delfico è ancora in tempo per far bene e strappandosi dal capo le troppo facili •corone d’alloro tolte alla Filarmonica,, e rimettendosi allo studio, potrebbe forse, dopo questa Fiera, scendere in campo con un lavoro degno di qualsivoglia artista a modo. La nuova opera rappresentata al Mercadante non è lavoro da maestro, ma contiene le tracce d’una fervida imaginazione; oh । piacesse al cielo, che tutti i cultori dell’arte musicale sortissero | ugual dono! Trovo in questa Fiera pensieri nuovi non di rado,, tal fiata eleganti, spesse volte affettuosi e acconciamente appropriati al senso delle parole. Ma sono poi bastevole i concetti felici, se non vengono sorretti dall’ampio, o almeno necessario loro svolgimento, dall’arte sapiente, di saperli colorire e trarre innanzi? E questa è l’arte che il Delfico deve imparare; egli trova talvolta delle belle melodie, ma le accenna appena; quasi ad ogni frase cangia idea, e questa idea che, ha non lunghi intervalli, riescono felici, non sono bene ordinate e connessa T una con T altra. Insomma il Delfico in questa Fiera ha messo in mostra molta merce, ma alcuni generi buoni non sono in commercio perchè il negoziante non sa bene farne lo spaccio, e talvolta li -confonde con altri avariati per lungo uso. Smercia spesso stoffe intessute con materia greggia, non ripulita e lavorata; e per finirla dirò che l’orchestra è sempre d’un colorito esagerato e fa abuso degli strumenti d’ottone; la distribuzione degli altri strumenti è ancora incerta, confusa, le proporzioni non sempre giuste, si che in generale, ne risulta uno strumentale alle volte fragoroso, tal altro sbiadito. Questo in quanto al generale; non credo opportuno discendere ad una minuta disamina dei singoli pezzi; solo eùumererò le melodie migliori e queste sono l’adagio del duetto fra soprano e tenore al terzo atto, la popolare serenata nell’altro duetto al primo atto fra sopivano e basso comico dove il canto dialogato proposto prima dal sòprano è veramente squisito. Non mi dispiace il coro della fiera; non cosi il finale dell’atto secondo più drammatico che comico, dove lamento l’inesperienza del Delfico, il quale trovasi impacciato c/uando ha da aggruppare le voci od esprimere sentimenti diversi; mentre questo finale, come fu concepito dal poeta, mirabilmente prestavasi ad un pezzo di doppia e simultanea espressione. L’opera abbonda di soli e ve n’è qualcuno bellino. Non vo’ lasciare il Delfico, senza ancora una volta raccomandargli lo studio; ingegno n’ha a dovizia, ma deve imparare ancora a maneggiare la parte esterna, dirò cosi, della musica e a seguir meglio i diversi stili e curare più la disposizione e la forma dei pezzi, deve continuare ad ascendere quella faticosa ed erta china che mette capo alle regioni dei valorosi compositori. L’esecuzione di quest’opera non poteva essere più accurata; il Montanaro, sopra tutti, ebbe momenti felicissimi. Il Trisolini allestì splendidamente lo spettacolo. ♦ Ne’ giorni che ancora restano per dare le altre rappresentazioni, il Trisolini preparò il Barbiere con la Repetto, e una nuova musica di un maestro non napolitano, certo Musone, che ha scritto un melodramma Camoens. Jeri ebbe luogo l’altro Concorso bandito dalla Sopraintendenza dell’AIbergo de’ Poveri pel posto di direttore della banda nel medesimo Pio Luogo. La Giunta esaminatrice fu composta degli stessi che vennero chiamati a dare giudizio su’ candidati al posto di Direttore generale della Musica, cioè del coni. Rossi, del cav. Serrao, del cav. Puzone, del prof. Polidoro e del Fioravanti; il Guercia rinunziò e fu sostituito dal Costa, maestro di armonia nel nostro Conservatorio. Quattro furono parimenti le prove che i candidati sostennero; un esperimento letterario, cioè, la disposizione a quattro parti di un breve basso, la composizione d’una melodia, e la strumentazione per banda di un inno guerriero, che i componenti la Giunta esaminatrice scrissero seduta stante. Messi in un’urna Questi varii pezzi fu estratto a sorte l’inno del cav. Puzone. I candidati tutti furono reputati degni di lode, però meritò il pósto il capobanda Francesco Herbin, perchè su 54 punti ne. aveva riportato 45 -/... La signora Melloni è la prima donna che dalla scuola di codesto Conservatorio musicale passerà al teatro Rossini di qua per esordire in carriera. Ci si promettono grandi cose; fra le altre quattro opere nuove di giovani maestri. Qui vivra verra. ÿ<CUTO. MACERATA, 17 Agosto. La Forza del destino — Prima rappresentazione e successive. Vi scrivo per informarvi dell’esito che ebbe la musica della Forza del Bestino, per la prima volta gustata dal pubblico ma■ ceratese in occasione della ’ riapertura dell’elegante teatro Comunale; esito che fu brillantissimo, quando vogliasi tener conto della grandiosità dello spartito e dei mezzi modesti di un teatro di città di Provincia. L’esecuzione fu scrupolosa tanto per parte degli artisti, quanto delle masse e dell’orchestra in cui si annoverano valentissimi professori. Gli applausi scoppiarono durante lo spettacolo, fragorosi ed unanimi, quali si possono desiderare alla prima rappresentazione di un’opera che racchiude tesori di bellezza. Cominciando dalla bellissima sinfonia, vi dirò, che l’impressione che fece sul pubblico fu profonda per guisa da essere con una triplice salva di battimani applaudita in sul finire, senza tener conto delle^ esclamazioni di approvazione che di tratto par tivano spontanee dalle labbra degli spettatori nei punti più salienti. Gli artisti principali gareggiarono tutti indistintamente di bravura; viva sensazione destò l’eccellente modo di canto della signora Blume, la bellissima voce del tenore Bolis, che disse magnìficamente la parte di Don Alvaro, e la impareggiabile valentia nella voce e neH’azione dell’Aldighieri. Il Maffei £e’ stupire colla sua voce straordinaria, le masse d’ambo i sessi fecero il loro dovere con amore pari ad una accuratezza rara, e [furono giustamente rimeritate d’applausi, in special modo nel finale dell’atto secondo e nel Rataplan di cai il pubblico volle il bis. Benissimo le seconde parti. Il Magnani, giusta il suo costume, dipinse le scene come pochissimi sanno dipingere, ed ebbe una vera ovazione. Ottimamente l’orchestra, diretta dal bravo maestro Dall’Argine. È certo che di sera in sera crescerà il favore del pubblico, il quale apprezzerà vie più il valore della musica, che, siccome di un genere poco adatto alla intelligenza di chi non si tiene al corrente del progresso dell’arte, ha bisogno di tempo per essere gustata pienamente. 20 Agosto Come prevedevo il successo della Forza del Destino ha raggiunto l’apogeo del fanatismo. Ogni sera si’ deve replicare Ta Sinfonia ed il Rataplan, e si dovrebbero ripetere tutti i pezzi dell’opera, che sono applauditi oltre ogni misura, se il pubblico non avesse riguardo alla fatica degli artisti, che la rappresen..! in modo ammirabile. Mi sento in dovere di riparare ad una inavvertenza, in cui incorsi nella mia prima lettera, non facendo motto nè del Melitene nè della Preziosilla. Il sig. Toledo cantò ed agi la sua parte abbastanza bene e se non può paragonarsi al Rota, come attore e cantante, ebbe il talento di farsi applaudire nella predica e nel duetto col basso dell’atto quarto. La Preziosilla (signora Gurieff) passò senza infamia e. senza lode; non guasta, ma non fa certo benissimo. fi- q. EAJJIOi, 21 agosto. Riapparizione della Juive d’Halevy aZZ’Opéra — Il giornalismo e Z’Aida di Verdi — Concorsi all’orizzonte. Annoiato dei continui rimproveri della stampa periodica, il direttore deH’Accademia di musica, sig. Halanzier si è risoluto a rimettere in iscena la Juive d’Halevy, e l’ha fatto con tutto il lusso e tutto lo sfarzo che avrebbe potuto concedere ad una [p. 285 modifica]GAZZETTA MUS IO AL E DI MILANO opera nuova. Vestiario, scene, accessorii, tutto è splendido; e la famosa cavalcata del l.° atto per Ventrata dell’imperatore Sigismondo è d’un effetto veramente incantevole. Perchè l’Halanzier ha scelto di preferenza la Juive? Non già soltanto perchè aveva il tenor Villaret, il cui cavallo di battaglia è la parte dell’Ebreo Eleazaro; non già soltanto perchè la Mauduit poteva essere una. conveniente Rachele, e la de Vriès una non meno buona Eudossia; ma perchè la Juive è di Halevy ed Halevy è (o piuttosto fu) un compositor -francese. La sua scelta è una risposta agli attacchi del giornalismo. Or volete sapere il perchè di queste ostilità? Eccolo in poche parole. Si è sparsa la voce che Halanzier aveva l’intenzione di mettere in iscena, immediatamente dopo la Coupe du roi de Thulé di Diaz (opera-d’obbligo, perchè vincitrice al concorso) V Aida di Verdi. A quest’annunzio la turba dai giovani e vecchi maestri di qui è corsa agli ufficii dei diversi giornali (non di tutti i giornali, beninteso!) ed ha empito l’aria dei suoi lamenti- /àncora, se si fosse limitata a semplici doglianze, la faccenda si sarebbe ridotta ad un-concerto elegiaco; ma dopo le querele sono venute le accuse, i rimproveri, le catilinarie. A udirli, saremmo arrivati alVabbominio ed alla desolazione; il finimondo è nulla al confronto. E chef si oserebbe mettere in iscena l’opera d’uno straniero quando vi sono tanti compositori francesi! È uno scandalo, un’indegnità, ■ una profanazione. Halanzier meriterebbe d’esser lapidato, tagliato a minuzzoli, bruciato vivo, se avesse l’audacia di preferire l’opera d’un italiano a quella d’un nazionale, ecc. ecc. Povero Halanzier!... E stato lì li per abbandonar tutto e fuggir in America; ma poi, riflettendo meglio, ha creduto che calmerebbe le ire della turba, rimettendo in iscena, una dopo l’altra, tutte le opere dei compositori francesi, quelle almeno che hanno avuto un successo assai duraturo per restar nel repertorio. Per’non far errore, ha fatto la lista di tutti gli spartiti, il cui titolo riappare a quando a quando nel cartello; ed ha cominciato dai più antichi; è risalito sino aM Alceste. Naturalmente, ha eliminato tutti quelli che non sono di autori francesi; per esempio, ha dovuto mettere da parte Spontini, Cherubini, Rossini, Carafa, Donizetti e Verdi, perchè italiani. Gluck, Mozart e Meyerbeer perchè tedeschi. A furia di toglier via le opere di autori stranieri, non gliene sono restate che tre; aggiungete che una di queste tre non è stata neppure scritta per Y Opéra! Voglio parlar del Faust di Gounod. L’autore del Faust ne ha scritto, è vero, tre altre per V Opéra, vale a dire Sapho, L’Homme sanglante e la Reine de Saba, ma esse non hanno avuto successo. Dunque le due sole opere di maestri francesi che sono rimase in repertorio, e che riappariscono quasi ogni anno sull’affisso, perchè sicure d’un felice incontro, sono le Juive di Halevy e la Muta di Portici di Auber. Impossibile di trovarne altre. Halanzier ha dunque cominciato dal rimettere in iscena la Juive; poi riprodurrà la Muta di Portici, e dirà ai compositori francesi: «ho fatto il mio dovere, ho dato abbastanza prova di patriottismo; ora lasciatemi fare i miei affari come mi aggrada» giacché se perdo quattrini, non siete voi che me li rimborsate. Il certo è che se i predecessori di Halanzier, cioè Duponchel, Veron, Roqueplan, Crosnier, Perrin ecc., avessero voluto ascoltare i lamenti dei compositori francesi, l’Opéra non avrebbe potuto mettere in scena le musiche che hanno alimentato questo teatro, cominciando dall’O/eo di Giudi, fino al Don Carlo di Verdi. E se voleste passare a rassegna tutte quelle che sono state tra le due or ora citate, vale a dire tra la più antica e la più recente! Guglielmo Teli, il Conte Org, Lucia, la Favorita, Don Sebastiano, Gerusalemme, i Vespai Siciliani, il Trovadore, Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, il Profeta, l’Africana e tante altre! È veramente strano il voler parlare di nazionalità per un teatro che è divenuto cosmopolita, come il genio, e che ha sempre dischiuso le sue porte agli stranieri. Peggio per esso, se non l’avesse fatto; abbiamo veduto più sopra a che avrebbe dovuto ridursi: alle opere di Auber e di Halevy; e di questi due grandi compositori non ve ne sono che due, una per ciascheduno, che sono rimaste al repertorio; le due che Halanzier si è proposto di rimettere in iscena per rispondere alle ostilità ed alle assurdità della stampa periodica, o almeno di una parte di essa. Se avesse voluto dar ascolto a queste critiche interessate, avrebbe dovuto mettere in iscena tutti i vani tentativi di una mezza dozzina di seguaci ed ammiratori entusiasti del Wagner e della sua parola. In questo caso, avremmo detto addio per sempie alla melodia! In fatti tra le opere che sono state presentate da un anno a questa parte al direttore dell’Accademia di musica, se ne contano almeno sei di compositori che appartengono alla scuola neo-alemanna, sprezzatoci del canto e della melodia, nemici accaniti della scuola italiana, che chiamano divertimento da femminucce e musica da chitarra. Ali guardi il cielo di dover andare aW’Opéra per ascoltare cinque lunghi atti di un recitativo più o meno algebrico, che mi farebbe uscir dal teatro col mal di capo e nauseato; varrebbe lo stesso aprir sul leggìo del pianoforte le tavole dei logaritmi e cercare di tradurle coi suoni. Ebbene, perchè Halanzier non si decide ad accettare alcune di queste opere che farebbero dormire in piedi se non fossero tanto fragorose, è continuamente rimproverato dai giornali ligii a tal o a tal altro compositore che va in estasi alla musica del Tannaüser e trova che Guglielmo Teli è musichetta da bimbi, buona appena per far danzare le fanciulle. Non parlo di Verdi, che, secondo essi, è appena buono di esser bruciato vivo. Un testamento lasciato da un signor Cressent istituisce un premio di 20,000 franchi che sarà dato all’autore della miglior opera musicale. Quindi novelli concorsi. Non usciremo mai da questa specie di lotte, nelle quali i giudici sono anche più impacciati dei candidati stessi. Come si fa a giudicare d’un’opera alla semplice lettura al pianoforte? E l’effetto scenico? Quante e quante opere che parvero belle alle prove al cembalo, furono altrimenti’giudicate all’orchestra o alla rappresentazione. Vedrete che cinquanta concorrenti si presenteranno, e che i giudici saranno obbligati di leggere cinquanta opere in tre o in cinque atti per nominare il laureato. Li compiango. LONDRA, 20 agosto. Sottoscrizione a beneficio di Mario — H teatro di Sua Maestà — l’Esmeralda del maestro Campana. A più migliaia di lire sterline ammonta già la sottoscrizione in favore di Mario. Questa sottoscrizione fu iniziata da alcuni ammiratori di quel sommo artista, allorquando esso fece la sua ultima stagione musicale al Covent Garden; e doveva servire all’acquisto di qualche prezioso oggetto, che gli attestasse permanente l’ammirazione, non che la devozione degl’inglesi. Afa nelle condizioni, nelle quali vuoisi che oggi sia il Mario, è stato risoluto che l’ammontare della sottoscrizione gli venga consegnato in denaro. E Dio voglia che questo denaro giovi a rendergli meno amari gli anni cadenti. Una delle sue due figlie trovasi nella Scozia presso una famiglia amica e devota, e l’altra continua a rimanere in Londra, dove conta dedicarsi all’insegnamento della’ musica. Gravi difficoltà sono insorte per l’apertura del teatro di Sua Maestà. Queste non hanno origine dai difetti acustici del medesimo, dei quali s’è parlato tanto, sebbene non esistano; ma provengono dalla mancanza assoluta di spazio sufficiente per accogliere tanto numero di persone quanto basti a coprir le spese! Questo fatto è talmente grave, che quasi bisogna abbandonare persino la speranza di vederlo riaperto per fini musicali. Non posso al tempo stesso non meravigliare del come cosi importante difetto non sia stato scoperto prima. Parlasi però di ricostruirlo, e quindi di demolirlo! Vi sono dei locali annessi che acquistati potrebbero salvare la distruzione di un teatro, che non è stato usato ancora, e che è pure bellissimo e potrebbero esser usati per costruire vaste gallerie. Io non so credere che un ricco signore, come Lord Dudley, al quale appartiene quel teatro, possa abbandonarlo interamente. L’Esmeralda del maestro [p. 286 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 288 Campana, che non ha potuto essere rappresentata al Covent Garden nel corso della stagione passata per mancanza di tempo, sta per essere rappresentata in Homburgo, secondo il solito, con la divina Patti, la quale sembra innamorata di quella musica. Il tenore Vizzani, che a quel che pare non crede nelle stelle di cartello come Mapleson crede nelle stelle di speculazione, ha voluto sciogliersi del contratto che aveva con quell’impresario, ma non ha ottenuto il suo fine che mediante pagamento di cento venti lire sterline. Il Vizzani è scritturato per l’America, dove si reca ai primi del mese entrante. CREMONA. Il Guglielmo Teli fu un trionfo; benissimo la Ide, l’Ammarini, Patierno, il baritono Burgio e Della Torre i quali furono applauditi in tutti i loro pezzi e chiamati più volte al proscenio. VIENNA. Il teatro Imperiale fu aperto il l.° agosto coll’opera Faust di Gounod. A questa tennero dietro: gli Ugonotti, la Dinorah, il Flauto magico, FAfricana. WIESBADEN. Fu rappresentata testé la Dinorah con successo splendido; la parte della protagonista era affidata ad una giovine cantante di gran talento, la signorina Vlars da Vienna. NOTIZIE ESTERE — • La-Haye. Gli esami della Reai Scuola di musica ebbero luogo giorni sono, con lieto risultato. L’istituto è frequentato da 260 allievi e i professori sono: G. Nicolai (direttore), C. Van der Doos, G. Wagener, A. Seiffert, A. Ackermann, J. Giese. J. Van der Meer, F. Botgorschek, J. Hemmes, A. Vollmar, D. De la Fuente, C. Van de Velde, D. Bolten, F. Zurhaar e J. Van Hove. Questo Conservatorio fu fondato nel 1727. — Spa. II primo concerto di Gounod ebbe esito straordinario; dell’autore del Faust furono accolte con entusiasmo le nuove melodie: Maid of Athens, Lamento, e Ma belle amie est morte. L’autore accompagnava al cembalo i cantanti. Londra. Fu in una delle passate notti appiccato il fuoco alla sala dove erano chiusi gli istrumenti deH’orchestra di Cremorne Gardens; nove contrabassi. molti violini, viole e violoncelli ed altri strumenti furono distrutti; si è aperta una sottoscrizione per indennizzare quanto è possibile i proprietarii. — Gounod fu incaricato di scrivere una nuova opera per il prossimo festival di Glasgow che avrà luogo nel febbraio del 1873. — Bruxelles. Adelina Patti fu di passaggio a Bruxelles nel recarsi ad Amburgo; il signor Gevaert, direttore del Conservatorio, potè ottenere dalla diva la promessa di prender parte ad un concerto straordinario che darà il Conservatorio nella prossima primavera.:— Vienna. La Società degli amatori della musica, che l’anno’scorso aveva a direttore Antonio Rubinstein, nell1 imminente stagione avrà un nuovo direttore in Giovanni Brahms. La Società conta di far eseguire quanto prima il Sansone di Handel, la Walpurgisnacht di Mendelssohn, due cantate di G. S. Bach, e il Requiem (do minore) di Cherubini. — Mons. Si tratta di. trasformare la Scuola di musica in un vero Conservatorio. Il disegno è vecchio, ma si oppose a metterlo in atto il rifiuto del governo di concorrere nelle spese. Ora invece concorrerà. — Marsiglia. Il Conservatorio ha finito la sua vita; un decreto municipale soppresse questa scuola che pure ha ben meritato dell’arte e reso veri servigi sotto l’eccellente direzione di Augusto Morel. È il bisogno di far economia, a quel che pare, che indusse gli edili a questa sentenza. Il consiglio municipale ha cercato di rimediare al male sostituendo al Conservatorio, una scuola municipale di musica assai modesta. E un correttivo insufficiente. I credenti sperano ancora nella risurrezione. — Bergamo. Giuseppe Vecchi, artista di canto. — Torino. Rosina Feltri-Spalla, un tempo, valente artista di canto, morì a 43 anni; dal 1866 aveva abbandonato il teatro. — Warmbrunn. Elger, da molti anni direttore d’orchestra ai bagni. — Berlino. Guglielmo Wieprecht, direttore di tutte le musiche del Corpo della Guardia, morì a 70 anni. — Basilea. Dott. E. Hauschild, professore di musica all1 Università, morì il 29 luglio. Nacque nel 1816 a Altenburg. POSTA DELLA GAZZETTA Signor C. C. — Torino — N. 326 — Otto lire. TELEGRAMMA VICENZA. ^4. Don Carlo - successo di entusiasmo. Applauditi tutti i pezzi. Replicato canzone velo e otto battute. Esecuzione eccellente; Pascalis, Smerowski, Barbacani, Rota, Castelmary. Benissimo cori orchestra diretta dal maestro Rota. Messa in scena splendida. SCIARADA Chi eseguisce F intero, il primo fa, E chi pronuncia del mio primo F altro, Vf altro del tutto pronunciato ha già. Quattro degli abbonati che spiegheranno il Sciarada, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 32: SEMI — NARI — 0 Fu spiegata esattamente dai signori: B. Lopez-y-Royo, maestro JGaetano Grilli, Ferdinando Ghini, avv. Baldassare Bottigella, capitano Cesare Cavallotti, Giuseppina Chinali, Ernestina Benda, prof. Angelo Vecchio, Giuseppe Onofri, Giuseppe Gregoletto, Alfonso Fantoni, Marzom Costantino, ing. Pio Pietra. Estratti a sorte quattro nomi, riuscirono premiati i signori: B. Bottigella, Giuseppina Chinali, B. Lopez-y-Royo, Giuseppe Gregoletto. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI. Ogyioni Giuseppe., gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.