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GAZZETTA MUS IO AL E DI MILANO opera nuova. Vestiario, scene, accessorii, tutto è splendido; e la famosa cavalcata del l.° atto per Ventrata dell’imperatore Sigismondo è d’un effetto veramente incantevole. Perchè l’Halanzier ha scelto di preferenza la Juive? Non già soltanto perchè aveva il tenor Villaret, il cui cavallo di battaglia è la parte dell’Ebreo Eleazaro; non già soltanto perchè la Mauduit poteva essere una. conveniente Rachele, e la de Vriès una non meno buona Eudossia; ma perchè la Juive è di Halevy ed Halevy è (o piuttosto fu) un compositor -francese. La sua scelta è una risposta agli attacchi del giornalismo. Or volete sapere il perchè di queste ostilità? Eccolo in poche parole. Si è sparsa la voce che Halanzier aveva l’intenzione di mettere in iscena, immediatamente dopo la Coupe du roi de Thulé di Diaz (opera-d’obbligo, perchè vincitrice al concorso) V Aida di Verdi. A quest’annunzio la turba dai giovani e vecchi maestri di qui è corsa agli ufficii dei diversi giornali (non di tutti i giornali, beninteso!) ed ha empito l’aria dei suoi lamenti- /àncora, se si fosse limitata a semplici doglianze, la faccenda si sarebbe ridotta ad un-concerto elegiaco; ma dopo le querele sono venute le accuse, i rimproveri, le catilinarie. A udirli, saremmo arrivati alVabbominio ed alla desolazione; il finimondo è nulla al confronto. E chef si oserebbe mettere in iscena l’opera d’uno straniero quando vi sono tanti compositori francesi! È uno scandalo, un’indegnità, ■ una profanazione. Halanzier meriterebbe d’esser lapidato, tagliato a minuzzoli, bruciato vivo, se avesse l’audacia di preferire l’opera d’un italiano a quella d’un nazionale, ecc. ecc. Povero Halanzier!... E stato lì li per abbandonar tutto e fuggir in America; ma poi, riflettendo meglio, ha creduto che calmerebbe le ire della turba, rimettendo in iscena, una dopo l’altra, tutte le opere dei compositori francesi, quelle almeno che hanno avuto un successo assai duraturo per restar nel repertorio. Per’non far errore, ha fatto la lista di tutti gli spartiti, il cui titolo riappare a quando a quando nel cartello; ed ha cominciato dai più antichi; è risalito sino aM Alceste. Naturalmente, ha eliminato tutti quelli che non sono di autori francesi; per esempio, ha dovuto mettere da parte Spontini, Cherubini, Rossini, Carafa, Donizetti e Verdi, perchè italiani. Gluck, Mozart e Meyerbeer perchè tedeschi. A furia di toglier via le opere di autori stranieri, non gliene sono restate che tre; aggiungete che una di queste tre non è stata neppure scritta per Y Opéra! Voglio parlar del Faust di Gounod. L’autore del Faust ne ha scritto, è vero, tre altre per V Opéra, vale a dire Sapho, L’Homme sanglante e la Reine de Saba, ma esse non hanno avuto successo. Dunque le due sole opere di maestri francesi che sono rimase in repertorio, e che riappariscono quasi ogni anno sull’affisso, perchè sicure d’un felice incontro, sono le Juive di Halevy e la Muta di Portici di Auber. Impossibile di trovarne altre. Halanzier ha dunque cominciato dal rimettere in iscena la Juive; poi riprodurrà la Muta di Portici, e dirà ai compositori francesi: «ho fatto il mio dovere, ho dato abbastanza prova di patriottismo; ora lasciatemi fare i miei affari come mi aggrada» giacché se perdo quattrini, non siete voi che me li rimborsate. Il certo è che se i predecessori di Halanzier, cioè Duponchel, Veron, Roqueplan, Crosnier, Perrin ecc., avessero voluto ascoltare i lamenti dei compositori francesi, l’Opéra non avrebbe potuto mettere in scena le musiche che hanno alimentato questo teatro, cominciando dall’O/eo di Giudi, fino al Don Carlo di Verdi. E se voleste passare a rassegna tutte quelle che sono state tra le due or ora citate, vale a dire tra la più antica e la più recente! Guglielmo Teli, il Conte Org, Lucia, la Favorita, Don Sebastiano, Gerusalemme, i Vespai Siciliani, il Trovadore, Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, il Profeta, l’Africana e tante altre! È veramente strano il voler parlare di nazionalità per un teatro che è divenuto cosmopolita, come il genio, e che ha sempre dischiuso le sue porte agli stranieri. Peggio per esso, se non l’avesse fatto; abbiamo veduto più sopra a che avrebbe dovuto ridursi: alle opere di Auber e di Halevy; e di questi due grandi compositori non ve ne sono che due, una per ciascheduno, che sono rimaste al repertorio; le due che Halanzier si è proposto di rimettere in iscena per rispondere alle ostilità ed alle assurdità della stampa periodica, o almeno di una parte di essa. Se avesse voluto dar ascolto a queste critiche interessate, avrebbe dovuto mettere in iscena tutti i vani tentativi di una mezza dozzina di seguaci ed ammiratori entusiasti del Wagner e della sua parola. In questo caso, avremmo detto addio per sempie alla melodia! In fatti tra le opere che sono state presentate da un anno a questa parte al direttore dell’Accademia di musica, se ne contano almeno sei di compositori che appartengono alla scuola neo-alemanna, sprezzatoci del canto e della melodia, nemici accaniti della scuola italiana, che chiamano divertimento da femminucce e musica da chitarra. Ali guardi il cielo di dover andare aW’Opéra per ascoltare cinque lunghi atti di un recitativo più o meno algebrico, che mi farebbe uscir dal teatro col mal di capo e nauseato; varrebbe lo stesso aprir sul leggìo del pianoforte le tavole dei logaritmi e cercare di tradurle coi suoni. Ebbene, perchè Halanzier non si decide ad accettare alcune di queste opere che farebbero dormire in piedi se non fossero tanto fragorose, è continuamente rimproverato dai giornali ligii a tal o a tal altro compositore che va in estasi alla musica del Tannaüser e trova che Guglielmo Teli è musichetta da bimbi, buona appena per far danzare le fanciulle. Non parlo di Verdi, che, secondo essi, è appena buono di esser bruciato vivo. Un testamento lasciato da un signor Cressent istituisce un premio di 20,000 franchi che sarà dato all’autore della miglior opera musicale. Quindi novelli concorsi. Non usciremo mai da questa specie di lotte, nelle quali i giudici sono anche più impacciati dei candidati stessi. Come si fa a giudicare d’un’opera alla semplice lettura al pianoforte? E l’effetto scenico? Quante e quante opere che parvero belle alle prove al cembalo, furono altrimenti’giudicate all’orchestra o alla rappresentazione. Vedrete che cinquanta concorrenti si presenteranno, e che i giudici saranno obbligati di leggere cinquanta opere in tre o in cinque atti per nominare il laureato. Li compiango. LONDRA, 20 agosto. Sottoscrizione a beneficio di Mario — H teatro di Sua Maestà — l’Esmeralda del maestro Campana. A più migliaia di lire sterline ammonta già la sottoscrizione in favore di Mario. Questa sottoscrizione fu iniziata da alcuni ammiratori di quel sommo artista, allorquando esso fece la sua ultima stagione musicale al Covent Garden; e doveva servire all’acquisto di qualche prezioso oggetto, che gli attestasse permanente l’ammirazione, non che la devozione degl’inglesi. Afa nelle condizioni, nelle quali vuoisi che oggi sia il Mario, è stato risoluto che l’ammontare della sottoscrizione gli venga consegnato in denaro. E Dio voglia che questo denaro giovi a rendergli meno amari gli anni cadenti. Una delle sue due figlie trovasi nella Scozia presso una famiglia amica e devota, e l’altra continua a rimanere in Londra, dove conta dedicarsi all’insegnamento della’ musica. Gravi difficoltà sono insorte per l’apertura del teatro di Sua Maestà. Queste non hanno origine dai difetti acustici del medesimo, dei quali s’è parlato tanto, sebbene non esistano; ma provengono dalla mancanza assoluta di spazio sufficiente per accogliere tanto numero di persone quanto basti a coprir le spese! Questo fatto è talmente grave, che quasi bisogna abbandonare persino la speranza di vederlo riaperto per fini musicali. Non posso al tempo stesso non meravigliare del come cosi importante difetto non sia stato scoperto prima. Parlasi però di ricostruirlo, e quindi di demolirlo! Vi sono dei locali annessi che acquistati potrebbero salvare la distruzione di un teatro, che non è stato usato ancora, e che è pure bellissimo e potrebbero esser usati per costruire vaste gallerie. Io non so credere che un ricco signore, come Lord Dudley, al quale appartiene quel teatro, possa abbandonarlo interamente. L’Esmeralda del maestro