Gazzetta Musicale di Milano, 1844/N. 5

N. 5 - 4 febbraio 1844

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N. 4 N. 6
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GAZZETTA MUSICALE

ANNO III.
N. 5

DOMENICA
4 Febbrajo 1844.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


SOMMARIO I. La Musica guardata ne’bisogni presenti. - li. 1. IL Teatro alla-ìScala. 1 Puritani di Bellini. - III. Varietà’. I. Un cenno su alcuni cantanti, ecc. 2. 11 Cameriere di ( imarosa. - IV. Notizie musicali diverse. LA MUSICA GUARDATA AU’ RISOGA1 PRESENTI Articolo VII. (Vedi anno li pag. 137, 441, 1G6, 177, 197 e 202). irnane a parlare del terzo ed ul- < KMlimo campo della musica che è chiesa. Tutte le arti belle dai. o ^lu le’11! pigliarouoorighie dalla religione, o, come dicevano gli antichi! Ab Jove principiinii Altisfè. Ora quale danno, quale vitupero i sarebbe se le figlie o traviate, o invereconde contristassero la madre, e introducessero lo scandalo nella famiglia? Io non, so delle altre arti’ ma in quanto alla musica sacra posso dire che da alcuni anni in qua la cosa non va come la dovrebbe: andare. - E la moda, signor predicatore, non si conta per niente in questo terzo ed ultimo campo della musica? Cosi sento ad interrompermi. - Mi spiace d’esser cacciato nel discorso delle mode, perchè temo di vi far fiasco. Farò solo una domanda: La moda di eseguir musica teatrale in Chiesa è buona o cattiva? Se è buona, e tale giudicata da tutti gli uomini di senno, io mi rimetto ma se è cattiva io non posso approvarla. Ora discorriamo un momento delia buona. Comincierò a concedere che le mode sono pure bisogni presenti. e che quando son buone soddisfanno pienamente ai medesimi. Perciò se il vezzo di regalar musica profana alla Chiesa può soddisfare ai bisogni della medesima, io dico che la moda è buona e lodevole. Ma di che cosa abbisogna la Chiesa in materia musicale? Forse d un sollievo estraneo al luogo? Duna distrazione non conveniente a’suoi riti? D una musica insignificante...? Quando questi tre bisogni siano provati, la buona moda di cui parliamo è bastantemente coonestata. | Ma io temo che la dimostrazione riuscirà difficile, salvo che qualche oratore della moda non volesse adottare il metodo indiretto delle prove, e dicesse p. e: In teatro la musica non ci diverte più, perchè la è troppo austera, pesante, trista, difficile, forzala, lugubre sempre-, dunque possiamo pretendere_ un qualche sorriso musicale dal santuario. In teatro stiamo troppo raccolti. troppo zitti, in troppo grande sussiego ora per chi canta. ora per chi ode a cantare; la severità del v.eremoniale vi è molta., i riguardi al luogo assai, misurati i fischi, regolati gli applausi, perfino pnì rare le occhiale per il grave peso de* doppj cannocchiali, ecc. ecc.-, dunque un po di dissipazione in Chiesa non anderebbe male. Quanto poi alla musica insignificai)Ic vi siamo così avvezzi, che sarebbe danno anzi che noja il doversi acconciare a messa, od a vespero ad una sacra armonia espressiva, ad un canto die andasse lieve e dolce all anima. Ebbene un po’di compenso, qualche piccolo scambio.... Finalmente la musica è una sola, e P cuirais generis niusicoriun inventalo da Nabucco non fa per noi moderni, ed italiani - Ma questo argomentare indiretto proverebbe troppo, e ci persuaderebbe sempre che in ogni cosa vale pnì la confusione che lordine, più il forzalo che il naturale, più 1 inopportunità che l’opportunità. e va dicendo sino a che dimostri che la Babilonia è la più ordinala cosa di questo mondo, come h più dritta è la torre di Pisa. Ma quelli che si vantano d essere anti-babelici, e che trovano in Pisa lutto essere diritto salvo il suo campanile, non potranno mai essere persuasi, che ciò che manca in un luogo possa surrogarsi in un altro, cioè che la Chiesa possa far le veci del teatro. Infatti il luogo santo non può, anzi non debbe divertirci. Ogni musica ivi intrusa, teatrale o no, ma che senta del profano, piena d una triviale allegria, rumorosa, baccanalesca è cosa sacrilega. 11 diletto che noi dobbiamo provare in chiesa, e che ridonda in parte dall’ammirarvi i capo-lavori dell’arte; della pittura, della scoltura, deH architellura, deli’orificeria. del ricamo. e della musica, uopo è che armonizzi col luogo, il che fa ajutando i nostri grossi sentimenti, la materia nostra corporea a livellarsi, direi, collo spirituale che vi domina. Se la religione del A angelo ha chiamate le arti presso l’altare, e se i suoi ’ ministri le hanno promosse e prolette, non è già perchè esse c impedissero di levarci allo spirito, ed alla verità che for-! mano la sostanza del Catlohcismo. ma alfine. che coi loro simboli, col loro ideale ci porgessero mano a passare dal matei riale allo spirituale, dal mondo a Dio. dalla vita attiva alla contemplali va. Ora come I Apollo di Belvedere, e la encre de’ Medici (mi si perdoni il paragone) sarebbero cose sconcio in Chiesa: così musiche pro! fane, pezzi, o centoni, od imitazioni teatrali debbono pur farvi brutta figura. D’ali tra parte, e parlando a proposito la inui sica ecclesiaslica non è indirizzala al piacere. Qual è il bisogno (giacche qui parlasi sempre di- acconciar la musica ai bii sogni nostri) che hanno i cristiani radunati nel tempio? La dimenticanza (fogni | piacere mondano. La letizia del mondo è pur compresa in quel divieto sebbene paj ganico: Pi qcuI este p rupi trini t e se havvi allegria è quella che ei è intimala dal Salmo: Elidiate pisli in Domino ma i,; giusti smi pochi, ed i più lian bisogno di affliggersi. E come non vi ha cosa più contraria al piacere clic 1 afflizione, lascio considerare a chi ha fior di senno, se una musica altamente allegra armonizzi collo stalo, o colle necessità de’ veri credenti. j Dunque mi si dirà, la musica sacra 1 debbe essere affliggente? Si signori; anzi affliggeultissima che no, ne fa d’uopo di maraviglie. Ed in primo luogo conviene intendere cotesta afflizione nel suo significalo. Essa non è mica i afflizione del! mondo, non è già la ridicola malinconia i che le arpe della scena ci vanno insinuando, o nutrendo, ohibò. Essa è una di quelle forinole incomprensibili agli avven- li turati, ai gaudenti del secolo: Beati (pii. higent... Beati quelli che piangono - Guar- I diamo un poco, dove, dopo tante teorie h sulla felicita, si e andata a domiciliare la beatitudine? Nel lutto e nel pianto...! Ora, come la musica è una delle nodrici della | felicità, bisogna che abbia pazienza, allorché accompagna la liturgia, di accordarsi coi gemili de’ beati, e faccia così onorevole ammenda delle tante dissonanze clic va intrecciando in teatro per esprimere l’allegria moderna. In secondo luogo bisogna badare al complemento della forinola: Saranno consolati. Ecco il gran divario che passa tra 1 afflizione evangelica, yév. e la tristezza terrena. E la musica perciò foVv dopo la mestizia fa sentire questa spe- V [p. 18 modifica]- 48 I. IL TEATRO ALLA SCALA I. proposito. I IMICITAXl di ÏÎEi.i.ivr, colla signora Moi/rm, e i signori hoon, Fnnii e lincivi (la sera 28 gennajo). <& O

ranza: tocca le corde della consolazione, intuona le note del piacere che le anime presentono d in mezzo alle tribolazioni. Ma perchè, si dira, tanta afflizione a piedi dell’altare? La risposta, come ognun vede, mi porterebbe fuori affatto dalla musica che qui io tratto! e per non uscirne, farò un’altra domanda, servendomi aneli io del metodo indiretto. Perchè tanta cupezza in teatro? Oh bella! In teatro ci vogliamo attristare, ed in chiesa stare allegri! Forsechè la lunghezza delle sacre funzioni esige le abbreviature della musica dilettevole? Un dramma moderno, cioè serio, non dura forse più (sempre perdono dei paragoni) di qualunque ufficiatura? Forsechè il non intendere, od il non attendere ai significati della liturgia ci dà noja? lo sfido due terzi de’ giornalieri accorrenti alle scene musicali a spiegarmi 1 intreccio dell’opera, la poesia del libretto, la ragione d un gesto, d una situazione, d un passaggio qualunque o poetico o musicale. Eppure tanto ci piace questa teatrale mestizia, che non ci lamentiamo mai nè della lunghezza, nè della nostra ignoranza. Che se la musica sacra non ci debbe divertire, tanto meno ella è falla per arrecarci distrazione. Mon solo i piaceri, ma anche gli affari mondani debbonsi dimenticare in chiesa, e guai a quella musica che ce li ricorda! imperocché il nostro secondo bisogno è il raccoglimento. Notiamo bene la forza del vocabolo. Il credente nel santuario raccoglie sè stesso, cioè la parte sua migliore, che è quanto dire lo spirito, il quale fuori del sagrato essendo in molle parli distrailo da faccende, e sollazzi, entrando nel tempio chiama a raccolta i suoi pensieri, ed affetti e colla preghiera o meditazione gl indirizza alla divinità. Ora quale sacrilego contrasto non sarebbe in questo momento destasi udire esteriormente suoni e canti in disannonia collo stalo interno dell’anima! Il perchè la musica sacra vuol essere anche raccoglitiva e diretta a concentrare anzi che a distrarre. Nè qui è il caso di musica teatrale, od in qualunque modo profana, la quale fu già esclusa dalla summentovala afflizione; ma si bene il caso di quale siasi musica di nome sacra, ma tale che all’olficio di raccogliere lo sfurilo non attenda. Vi ha una moda (chè sèmpre parliamo di questa) d imitare il profano col sacro; la quale sebbene esteticamente parlando sia già per sè riprovevole, siccome quella che non è vera imitazione, ma contraffazione, plagio, o ruberia; pure dato anche che la fosse buona da questo canto, è per la circostanza del luogo biasimcvolissima. Le composizioni ecclesiastiche che rimembrano pezzi d arie e duetti, che li lanciano addosso una cabaletta co’ suoi chiaro-oscuri, pause, volate, ritornelli, ecc. credo che non sieno le migliori per aiutare il raccoglimento. Se per caso stanno a’ piedi dell’altare anime buone, ma soggette alle distrazioni, un poco filarmoniche, alquanto sensibili alle attrattive ch’ila musica, queste povere anime, dico, debbono soffrire il supplizio di star lì qualche tempo sospese tra Dio e mondo, tra spirito e materia, per colpa del compositore. lalvolla non è l imitazione poco felice che distrae, ma la qualità degli stromenti. Ella sarà una musica veramente di Chiesa, cioè affliggente, e raccoglitiva; ma che volete? Quella tromba, quel trombone, quei timpani, (pici fracasso ti portano via la divozione dal cuore, la preghiera dal labbro, la compostezza dal corpo. Gli strumenti pacati van sempre meglio: violini, oboe, clarinetti, fagotti. violoncelli sono altrettante parole care alle anime buone e filarmoniche, ajutano mirabilmente a raccogliere. Ecco il divario che passa tra uno stromento e l’altro. Ma non bisogna dimenticare quello che è proprio della chiesa: Porgano. Un buon organo toccato da va! lente organista è una cosa divina fatta proprio per la casa di Dio. Vi ha in questo stromento il compendio di tutte le possibili orchestre, di tutti i suoni, di tutta la musicale potenza; è la voce stessa del Creatore che parla or mite, or forte, or placido, ora adirato, ora invitando, ora minacciando. JVIa quale organista non ne abusa! Quale suonatore non cava spesso da quel divino stromento le voci del mondo! Anche qui la parola di Dio è vantata sacrilegamente in (fucila dell’uomo! Certamente niuno de’noslri buoni antenati avrebbe temuto che l’organo potesse divenire elemento di profanità, essendo egli nato fatto e fisso per la Chiesa. Gli altri stromenti sono di genere anfìbio, come sappiamo; dal teatro vengono in Chiesa, dalla Chiesa vanno al teatro, od al ballo. Veramente il legno, il metallo, e le corde onde si compongono sono per sé indifferenti, e tutto dipende dall’uso che se ne vuol fare. Via l’organo, ripeto, non si move, non va alle scene, non va alle danze; dunque perchè stando lì fermo si dovrà imbrattare di polvere mondana, perchè ci ricorderà teatro e danza? lo dico, che quando esso non intenda di essere raccoglitore dello spirito, nutritore della pietà, stia zitto, e si contenti di alternare i versetti della salmodia. Queste due virtù della musica ecclesia! stica, la mestizia, cioè, ed il raccoglimento che deve operare, non bastano ancora a costituirne il genere. Rimane perciò l’espressione, che è la terza virtù opposta a quell’armonia insignificante che si amerebbe in Chiesa, della quale potrò ragio’ nare nell’articolo seguente. P. Bigliani. Saremo brevi, perchè poco di buono abbiamo a dire, e molto a scapito polrebbesi notare, qualora intendessimo discendere ne’ dettagli dell’esecuzione. Ogniqualvolta (che ormai questa è la terza), si dà questo spartito sulle nostre maggiori scene, vi ha, direi quasi, una specie di accordo, tra orchestra e cori, ed anche tra il pubblico stesso, di eseguire e di ascoltare pressoché automaticamente questa musica, quasi fosse immutabile destino che essa non debba ottenere un esito brillante su questo teatro. Qui si ha l’abitudine di assistere alla ripresa di un’opera periino colla tradizione degli applausi: se si rammenta che il tal pezzo laceva ciò che appellasi effetto^ gli si porge j attenzione", se il tal altro non ne faceva,! non vi si abbada nemmeno: non si am-, mette neppure in via di dubbio che uno più che faltro esecutore possa condurre ad una differenza di effetto; e per conseguenza cantanti e suonatori, vedendosi così trascurati, trascurano pur essi ogni ricerca di possibilità di migliore esecuzione, e si conten- fc tano, non trovando alcun utile a far meglio, g di far nè più nè meno di quanto si fece? per lo addietro, non incaricandosi se non 5 che d una esecuzione tradizionale e rotiti- j nière (mi si perdoni il termine straniero, che qui non può calzar meglio). Quel po di bene che si faceva per lo addietro si fa anche adesso: il male che anche si confessa di aver fatto altre volte non si corregge: si diffida della musica! mio buon Dio! si ha persino il coraggio di dire che la musica dei Puritani non deve, non può far effetto, e si abbandona ogni cosa Dell’aspettativa con santa rassegnazione di un fiasco. o con modesta soddisfazione d’un mezzosuccesso. E davvero se avvi tra artisti e pubblico questa specie di tacilo accordo e di muta convenzione nell’esecuzione di alcuni spartiti e principalmente di questo, la critica sana, giusta e imparziale non deve tacersi, e non lamentare almeno la trista situazione de’ malmenati compositori. Per esempio nella presente circostanza noi avevamo due de’ primarj esecutori, i quali avrebbero potuto dare qualche schiarimento o sul movimento di alcuni tempi dello spartito o sui chiaroscuri. Si", la Moltini । ed Ivanoff sono due artisti che poterono udire quest’opera eseguila e a Parigi e a Londra con quella buona volontà, con quel1 amore, e con quella coscienza che è pure generale distintivo (bisogna confessarlo) degli artisti non Italiani j Ivanoff anzi fu pre- • sente, se non m’inganno, allorché Bellini istesso pose in iscena per la prima volta questa partizione, ed io in conseguenza mi lusingava che almeno i coloriti della musica fossero in questa circostanza alcun poco I più accurati, i tempi più fedeli. Nulla di lutto questo; ogni cosa passò, anche domenica scorsa, lo ripeto, tradizionalmente,! nò meglio nè peggio delle altre due volte. Si ebbe perfino lo strano consiglio di insinuare alla Moliini, l’eliminazione dallo spartito di (fucila sublime elegia, degna sorella dell Adelaide di Beethoven, intendo parlare del largo dell’Aria d Elvira nel second’atto, per sostituirvi ancora quello raffazzonato ed istrumenlato si indegnamente dal Pugni: e perchè? Per la medesimissima ragione; perchè l’altra volta la Slrepponi ha fatto così. - E la Slrepponi perchè ha fatto cosi?- Perchè?-Perchè la Schoberlechner...., ecc., ecc.. e così via discorrendo. Parlando almeno di questa miserabile sostituzione, mi pare che per togliere per lo innanzi il pericolo di più ricadere in un tale sfregio verso il compositore, il nostro Ricordi (l),che tanto venera l’arte.potrebbe disfarsi una volta di questo pezzo malaugurato, potrebbe, dico, darlo alle fiamme, distruggerlo e dimenticare perfino la memoria del vergognoso scorno fatto a Bellini, e del quale egli poveretto tanto sofferse. E chi non ne avrebbe sofferto? Come abbiam fatto presentire, l’esecuzione dei Puritani alla Scala lu anche questa volta, dal lato specialmente degli accompagnatori (fra i quali non mi lo scrupolo di includere anche i cori) se non vacillante. almeno in non lieve parte scolo(1) Il pezzo giustamente incriminato dall Autore di gitesi Articolo non esiste nel mio magazzeno; esso fu introdotto nello Spartito per ordine del!Impresa che lo comunicò alla mia copisteria, quindi mi credo assolto da ogni censura in tale 1/ Editore [p. 19 modifica]- 19 rata e sonnolenta. Invano l’animato Cavallini riappellava col suo potente arco alla vita tutto il suo esercito: non un solo dei valenti sembrava scuotersi alla voce del capitano: la sola gran-cassa dava non equìvoci segni di potenza vitale, e faceva élla pure ogni suo sforzo, e batteva batteva quasi a romperne la pelle per {svegliare i suoi compagni. Nessuno rispondeva all’invito, nè cori, ne orchestra, né spettatori. Tutto però non va amalgamato in un solo giudizio: anzi in ispecie i quattro attori principali del Dramma fecero del loro meglio per ottenere almeno, se non qualche plauso, qualche momento d attenzione, ed in alcuni punti riuscirono ad ottenere e l’uno e l’altra. La Moltini. per esempio, che è la più vaga é gentile Elvira che vi possiate imaginare, fu, in ispecial modo nei canti spianati, purissima, e se non sempre appassionata, almeno ragionata e giusta. La Polacca fu da lei trattata con bel garbo, quantunque il movimento siasi staccato alquanto lentamente. Se fedelmente fosse stato eseguito, bell’effetto avrebbe pur ottenuto il Largo del primo Finale, il quale, a dirsela tra noi, non è nè più nè meno che Un’Aria del soprano, ma che le nostre metalliche coriste hanno preso invece per un coro in tutta regola, in guisa tale che la sola appunto che non si sentiva in quel pezzo era la Moltini. Il malumore dell uditorio, il quale non era per certo quella sera bene disposto alle sensazioni vive, non trovò buona quelTesclamazione slanciala nelduetto con Marini Ah! padre mio.pw’A ne piace assicurare la signora Moltini che molle persone di buono ed imparziale sentire la trovarono anzi accentala con molla verità e con tutta 1 aggiustatezza d’intonazione. A hanno certe sere che il pubblico non desidera essere scosso nè in bene nè in male. In quelle tali sere sano consiglio del cantante deve essere quello di lasciarlo dormire. Saremmo però spinti a raccomandare alla brava Moltini minore spinta e maggior legato a’ suoi begli acuii, un pocolino di maggior nitidezza nell’esecuzione di qualche scala discendente, e, qualora ella non ci voglia tacciare di troppo esigenti, avremmo anche l’ardire di chiederle di porgere il suo trillo per diritto piuttosto che a rovescio. Le cose pel loro dritto camminano sempre meglio. Ella è tanto buona, arrendevole ai consigli e compiacente, che portiamo certa fiducia di essere esauditi. Ivanoff si è in parte rivendicato co’ suoi uditori, i quali, per dire la verità, furono fino ad ora troppo severi con questo diligentissimo artista. Ivanoff è uomo che sa cantare e canta, e il gruppetto che porge sulla parola furtivo nella sua sortita vale questo solo molli anni di studio. Egli fraseggia con assai d’eleganza tutta la sua parle, e ne duole che anch’esso sia stato male consigliato nel decidersi ad omettere tutto il rimanente di quell’ultima delicatissima scena, pezzo che noi non abbiamo che imperfettamente udito una prima sera da Moriani, il quale, perchè ai suoi mezzi non adatto, lo soppresse immediatamente alla seconda rappresentazione.Ivanoffpoleva farcelo apprezzare per intero e noi gliene avremmo saputo assai buon grado: tanto desiderio io pure nudriva di riudire ancora una volta quella divina melodia de1 violoncelli così affettuosamente intercalata dai violini e dalle viole: ma ahimè! pur troppo la tradizione non cessava di perseguitarci, e raccontava che quel pezzo qui (a Milano) non fece mai alcun effetto} dunque il pezzo sì ommise, o per lo meno si mutilò. Ferri non è qui a suo posto come lo era nel 11 aritto Falie.ro: questo genere di canto che tende quasi allo sdolcinato, è tutfaffatto contrario al suo modo di sentire} però egli si sostenne anche meglio di quanto noi l’avremmo potuto supporre: solamente non gli facciamo grazia di alcune varianti, le quali non tendono che al solo scopo del grido, e del grido in giornata egli sa quanto ne siamo ristucchi. Marini che si rimette di sera in sera ne’suoi mezzi fu il Marini che già altre due volte si produsse su queste islesse scene nel medesimo spartito. Lodevole assai allora ed adesso. I pittori, che da un’arida vallata ricoperta di neve e ghiacci ne trasportano come per incanto tutto d uo tratto alla più bella primavera, in un appartamento co veroni aperti, da’ quali travedonsi da lontano boscaglie della più fresca e verde vegetazione, e meglio ancora poco dopo ne trasportano in una sala d armi ali aria aperta in un cortile, hanno trattate alcune scene con begli effetti di luce, in ispecial modo quella del secondo atto. Attendiamo le opere nuove di Petrali, di Pacini e di Mirecki. Parlasi anche della Linda. Sperando nell’avvenire, cerchiamo di godere del presente. Alberto Jlazzucato. Non sappiamo spiegarci per (piale ragione siasi voluto chiamare semplicemente Divertissement o Divertimento la bella c interessante composizioncina mimica messa sulle nostre scene dalla signora Elsslcr col titolo Le illusioni di un pittore. A nostro credere era inutile tanta modestia, poiché ne pare che quelle poche e brevi scene contengano tanta stoffa drammatica quanto il più delle volte non ce n’è in molte grandiose azioni coreografiche che pur ci si offrono con gonfia pretesa d’effetto sccnico-tragico-romantico-storico, c quel che segue. La perfezione e l’importanza caratteristica di un componimento scenico qualunque non istà nelle dimensioni delle sue parti, ma nella giusta armonia di esse, non nel farraginoso contesto di elementi disparati e molteplici, ma nell’ordine, nella chiarezza, nella semplicità. Con buona pace dogli illustri coreografi che da gran tempo in (pia ingombrano il nostro gran palco scenico de loro splendidi pasticci inimico-drammatici, Le. illusioni di un pittore che ci ha date la signora Elsslcr col semplice titolo di Divertissement, possono offerirsi a modello di un genere d’azioni teatrali, a trattare il (piale si vuole un po’più di invenzione, di gusto e di sentimento (liticalo del vero bello, che non se ne suol sicnic certe assurde c fragorose spendere a porre inepopee coreografiche, dalle quali ci liberi per sempre il genio protettore del Teatro della Scala. Il giovinetto sig. Monplaisir nella parte del pittore, ha de’momenti felicissimi; e in diversi punti ei da prova di una finezza di sentire c di ima giusta misura di espressione degjja di far invidia ad attori mimici di lui mollo più provetti. Della signora Elsslcr è superfluo il far parola: in lei l’intelligenza, la grazia più squisita, e tutte le vaghezze di una scuola perfetta ci fanno ammirare la danzatrice per eccellenza. La signora Morlacchi che sostiene la parte di madre del pittore non ne ha compresa l’importanza; il che è tradire per metà l’interesse della breve ma graziosissima azione. o; VARIETÀ l’n renilo su alcuni Cfinlfmti Unni attualmente a Togliamo dalla Ilevue des Deux Mondes il seguente brano nel quale si reca un breve giudizio di confronto tra alcuni de’ cantanti al presente addetti al teatro italiano di Parigi. «Salvi è un tenore elegante, dotato d‘una voce pura e gradevole; ma ei manca di energia, e non possiede punto quell’estro originale, (pici fascino, (pici diavolo in corpo di cui parla Voltaire, che distingue i grandi artisti non esclusi i cantanti. Era Ronconi e Salvi passa la differenza che vi ha tra il maestro e I’ allievo. Ronconi, quello là si, che è un vero maestro, uno di quegli uomini che come David, come Rubini, come Dupiez, imprimono al canto della loro epoca una fìsonomia, un fare particolare, e sono inventori nella loro arte; uno di quegli uomini che cantano col cuore prima di cantar colla voce. Salvi al rincontro si tien pago di seguire placidamente la strada già battuta; egli lia una voce colla quale canta, perchè al tempo in cui viviamo le cavatine si pagano a buoni cantanti. Del resto questa medesima osservazione sarebbe, ad applicarsi al signor Candia, delizioso cantante che ogni anno fa progressi notevoli, ma che pure, ne ho gran paura, non oltrepasserà inai certi limiti modestissimi. Quanto a vigore e ad espansione di voce, il signor Candia mi pare di molto superiore a Salvi. E in fatto nel magnifico adagio del terzo atto della Lucia,ove il signor Candia trovava de’ begli accenti anche dopo Rubini, Salvi si mostra troppo da meno. Ma la cosa ch’ei dice in un modo incantevole e canta con una soavità e delicatezza unica la è la romanza di Chalais nella Maria di /tohan: stima soave. E difficile immaginare nulla di più puro e di più tenero, nulla di più dilicatamente lumeggiato di questa cantilena ove la voce di Salvi svolge con singolare prestigio tutto che vi iia in essa disquisito. Pertanto al sig. Candia il vanto dell’espressione, della larghezza propria al vero stile drammatico; al sig. Salvi il vanto della grazia, della purezza, della finezza nelle mezze tinte; questi per la parte di (’.halais, quell’alno per quella di Jlateensvood. Ed ecco il retaggio di Rubini caduto in buone inani. Ciò è quanto dire che a malapena essi due otterranno di empire il vuoto immenso lasciato dalla mancanza (l’un solo? no, certamente; Rubini valeva più da solo che non il sig. Candia e il sig. Salvi insieme. Intanto osserviamo che lo scettro dell’individualità sovrana, se fu perduto pelle parli di tenore, si guadagnò per quelle di baritono; e al Teatro italiano il virtuoso per eccellenza al presente non si chiama più Rubini; ma Ronconi. Quanto a Fornasari nel Belisario, ci osserva la Berne des Deux J/om/es,ch’egli ha dato tutto quel maggior spicco che per lui si potè alla melanconica parte del cieco eroe, alcuni pezzi della quale, tra gli altri il celebre duetto del secondo allo, ci li canta habilement. E tuttavia, per quante buone qualità si vogliano riconoscere in Fornasari, non potrà dirsi ch’egli appartenga all’eminente classe di (pie’ virtuosi di primo ordine che col proprio luminoso ingegno hanno il privilegio di far gustare anche una mediocre musica e d’imporla al pubblico. Però, si domanda se non ha fatto bene ad abbandonare al più [tresto la [(rima sua scelta per continuare le sue recito coll’./siiir della Semiramide, nella qual parte egli è ben lontano dal poter lottare colle rimembranze lasciale da quel buon uomo di Lablachc, c da quell’altro buon uomo di Tamburini! Fornasari ha una voce di basso dotata di ammirabile estensione, ma povera però di vibrazione c ben poco metallica. Gli è questo un caso consueto nelle vere voci di basso, nel giudicar della bontà delle quali, certe voci di baritono, in gran favore al di d’oggi, ci fanno essere forse ingiusti ed inesatti. Tultavolta, senza esigere da una voce di perfetto basso qual è quella di Fornasari, la vibrazione c l’accento incisivo proprio del canto di Ronconi od anche di Barroilhet, polrebbesi pur pretendere un po’ più di nerbo nell’attacco delle frasi, meno mollezza e abbandono nello svolgerle!... Dato luogo a questo rimprovero rimangono pur molle cose a lodare in Fornasari, il cui talento debbo pure andar sempre guadagnando col tempo. Per esempio, il così detto canto spianato gli calza a meraviglia, c fin ora la cosa da lui meglio detta in questo genere, è l’adagio scritto per lui dal sig. Persiani nell’opera 11 Fantasma. E approposito di questa nuova partizione, la Bevue des Deux Mondes, accennando all’aria della signora Persiani, Per te dimentico, ec. nel terzo atto, osserva esser [p. 20 modifica]- 20 non si tratta giù d’un pezzo di musica in tutta II. IE CAMERIERE IJI CIMABOSA Molière, consultava la sua fantesca. Ei le leggeva le sue conserforte venne perfezionata dal.celebre Chopin eccita nella nastra capitale una sensazione ognor vi va. Questo interessare la maggioranza e a ricercata da che NOTIZIE MUSICAL! DIVERSE GIOVASSI Ricamisi IHITOr.î-t’SüFSIZTARtO rara felicità e sagacia si assimilò gli clementi di che intorno a lui si move e che seppe nudrirsi di i succhi infiltratisi nel suolo dell’arte, a contare grandi epoche precedenti, anziché destinalo ad sica stessa dell’or nominato suo maestro, qui dapprima generalmente non compresa nè apprezzata, comincia ad l’istrumentatura sono spontanee c troppo colorile. La musica sacra è la (piale il meno possibile deve unimondane e perciò l’eccessivo sfoggio tutto tutti dalle agire o scene popolari, ciò che la faceva ridere, udire il che (pii testi; l’armonia e pure, icnza esser una musica a parte formarsi alle opere amabile ragazzo opera prodigi. La mu<^3 regola, ma d’un semplice canovaccio disposto col maggioì- accorgimento ed artifizio possibile a dar luogo ai ess;1 ’a P’11 incredibile meraviglia che mai avesse ad pubblico del Teatro Italiano. È ben inteso fantastici ricami d’una gola che non ha pari. Abbinili detto fantastici, e questa c appunto la parola più con. veniente. E in fatto non si tratta già di trilli o di scale cromatiche come sanno farne tutte le cantanti dotate di maggiore agilità, come per esempio la Sontag o M.a Damoreau. ma sì di razzi di note da farvi storditi, di fantasie vocali non meno portentose di quelle che sbucciavano dal bizzarro cervello eli Hoffmann, ce. bilmenle servila da una specie d’istinto, la vecchia Laforet era divelluta un essere conoscitore. Domenico Cimarosa, mia delle glorie dell’Italia lirica, si rimetteva anch’egli al giudizio del suo servitore, e questa specie di consulta musicale succedeva con graziosissima originalità. Soggetto a sogni frequenti, Cimarosa. tosto che risvcgliavasi, chiamava il suo domestico, facevasi accendere il lume e meltcvasi al piano. Il servitore sebbene pazzo per la musica come, il suo padrone e come tutti i figli d’Italia, avea più volontà di dormire che d’ascoltare, e si gettava alla meglio sulla sua seggiola per continuare il suo sonno, sino a che piacesse al padrone di rimandarlo al letto. Cimarosa impiegava a preludiare il tempo che Federico metteva a fare le sue piccole disposizioni. Tosto che lo vedeva vicino ad addormentarsi, si dava allora tuli’uomo al suo estro e al caldo dell’improvvisazione, coll’occhio fisso sulla seggiola del servo. Se il dormiente non era che turbalo dallo strepilo deiristromento, ei sbadigliava, stendeva le braccia, cercava una posizione più comoda, allora Cimarosa mormorava con un po’ di malumore in sua lingua materna: Comprendo di soverchio, Federico; ciò è morto, scoloralo, senza vigore, ma un poco di pazienza. Dopo questo breve monologo, le agili dita di Cimarosa percorrevano con nuovo andamento la mobile tastiera dello strumento. Federico al contrario apriva di grandi occhi, fissi dapprima, quindi animati d’indefinibile espressione pel miscuglio dell’assopimento e del piacere; la sua testa un po’sbalordita, invece di piegarsi abbandonala al suo proprio peso, rialzavasi di per sè stessa, benché mal sicura; le sue mani di penzoloni ch’erano si riunivano vivamente l’una contro l’altra per agitarsi macchinosamente in misura: In calamajo, Federico, gridava Cimarosa, battendo i piedi; su via, in piedi, hai capilo? non è questo canto troppo cattivo. E ciò detto confidava alla carta la frase musicale che aveva approvata sì eloquentemente Federico, ma a sua insaputa e (piasi suo malgrado; e con grande soddisfazione del melomane, andavano entrambi a coricarsi per ricominciare la stessa cosa a!.’ indomani. — Milano. LL7ce Maria del maestro Mandataci nel giorno della Purificazione di M. V. venne eseguita al Duomo ed a S. M. de’ Servi. Fortunali di poterla udire in ambe le chiese, possiamo asserire che nelle immense vòlte della prima le voci si spandevano in modo da produrre un’armonia celeste. Le parli che in origine erano a Ire furono espressamente dall’egregio compositore portate a quattro e derivonne maggior pienezza’? e piùj’fficace colorito. Nell’eccellente esecuzione tutti diedero prove di non volgare talento, in ispecie I’ ottimo tenore Garzoni ed il basso Moretti. Questi stessi cantanti, finite le funzioni alla Metropolitana, recaronsi alla chiesa disanta Maria dc’Servi e per loro nuovamente si è potuto gustare la bella composizione e far calcolo sulla differenza degli effetti musicali giusta la diversa capacità de’ locali in cui vengono essi prodotti. I suoni qui giungevano più distinti, più forti c qualsiasi particolarità non isfuggiva, ma quanto da questo Lato acquistavano-, altrettanto perdevano di quella angelica fusione e di quella sovraumana espressione che al Duomo dolcemente beavano: è però vero che le voci de’soprani e de’contralti là contribuivano ad accrescerne l’effetto. Assicurano che Mandanici si occupi di una gran messa ad otto voci reali con due organi distribuita a due cori in guisa che l’uno possa star senza f altro. Facciamo voti onde questo sì importante c profondo lavoro presto abbia ad eseguirsi degnamente in una delle [maggiori nostre cappelle, congratulandoci tanto più coll’abile maestro in quanto coloro, i quali si rivolgono a questo sublime genere di musica non ponno contare sopra altri eccitamenti oltre gli encomj e la stima de’ veri amici dell’arte. — Novara. Il nome del maestro Coccia, in Italia insigne per alcune composizioni teatrali ove, fra le più gradite c dotte combinazioni dell’arte, trionfa sempre il bel canto, non può a meno di esser circondato da un aureola più splendida per la scelta sua musica religiosa che da varj anni risuona nel maggior tempio di questa città. Della sua leggiadra messa a voci di ragazzi e del suo Te Dcum molli già parlarono con elogio, nè qui si farà altrimenti nell accennare alla nuova messa da lui prodotta nel giorno 22 scorso a solennizzare la festa di s. Gaudenzio. In essa le melodie sono toccanti, gravi, pompose a seconda della variata espressione de’sacri di effetti istromentali ed armonici riesce disdicevole, tranne in rari casi, come per esempio nel Tuba mirimi del Pies irne. In questa messa del Coccia gii intendenti si unirono ad accordare speciali lodi ad un sublime quartetto a due bassi c due tenori senza accompagnamento e a due fughe incoi abilmente furono adoperate c svolte tutte le risorse contrappuntistiche. Le coorti vocali ed istromentali ben disimpegnarono le loro parti: il Bassi ed il Caggiola di Vercelli non che il soprano Pastori furono particolarmente ammirati, come pure una sinfonia del Caliigary, organista del Duomo al pari del bravo ragazzo Pastori, allievo dell’istesso Coccia — Firenze. S. A. I. L’Arciduca Granduca di Toscana si è degnata di far consegnare al figlio minore di Mozart domiciliato in Vienna, in segno di benigno aggradimento dell’esemplare umiliatole dal medesimo della cantata composta per l’inaugurazione del monumento di suo padre in Salisburgo, una magnifica medaglia d’oro, por- ì tante da un lato l’effigie della prefata A. S. I; e dall’altro un Serto di quercia con l’iscrizione:^/ maestro W. A. Mozart 1843. j — Vienna. Farlo Filiseli la cui esecuzione sul piano-! il piccolo Orfeo la fece udire, adoprando quella delicatezza c finitezza di luteo ed infondendovi quello squisito sentimento, che in ispecial modo caratterizzano il mistico stile del poetico-eccezionale pianista, il quale or ora fece dono a’ suoi ammiratori di tre nuove opere: quarta ballata, ottava polonese, e quarto scherzo. (Da lettera del 23). — Parigi. S. E. la duchessa di Galliera, le cui serate musicali quest’anno occupano il primo posto fra le più brillanti dell’aristocrazia parigina, nella scorsa settimana riunì nelle sue sale il fiore degli artisti italiani. La Brambilla nella ballata della Maria di Rohun dii eh. Donizelli per essa immaginata, per lo squisito suo metodo sorprese; Ronconi diede spicco ad un delizioso pezzo di Tadolini intitolato la Fuga-, la Grisi, il Lablache e Salvi cantarono in modo inspirato. L’uditorio composto d ille maggiori notabilità ad ogni brano dimostrò la propria soddisfazione. — i.a società dei concerti, inslituita a Parigi come già è noto a’ nostri lettori, per l’esecuzione delle grandi musiche o già stimate classiche o degne di esserlo, diede ultimamente principio al quattordicesimo anno di sue sedute, con una splendida accademia, hi questa, Ira molti pezzi di autori esimi!, si udì una nuova sinfonia di Meiidelssohn-Bartoidy, divisa in quattro parti. A proposito di questo celebre compositore tedesco, ecco come si esprime il sig. d’Oi tigne, ripulatissimo critico musicale, in un elaborato suo articolo, dato alle Francs musicale. «Che il sig. Mendelssohn sia un uomo di genio in tutto il significato della parola, gli è quanto non oserei affermare: senza pretendere a profferire in modo assoluto il mio giudizio su questo compositore, dirò che, a star solo a (pianto di lui mi è noto, il sig. Mendelssohn mi pare essere un artista come ve ne ha molli al di d’oggi nella poc-ia, nella letteratura, nella pittura ed anche nella musica, ne’quali le doti secondarie suppliscono alla mancanza delle principali; artistiche a forza di talento, di scienza, di arte c soprattutto di intelligenza ottengono di contraffare il genio ingannando cosi una moltitudine di inesperti. Io non credo punto che il sig. Mendelssohn sia dotato d’una di quelle nature spontanee, complete, ardimentose che dui) sol balzo si lanciano nella carriera, imprimono all’arte un movimento polente, comunicano ad un’epoca l’impronta delle loro individualità, e scoprono delle nuove fonti d’ispirazione, lo veggo in lui uno spirilo fino, osservatore, calcolatore, ma poco passionato, il quale molto destramente e con potentemente sull epoca che a lui deve succedere. So benissimo anch’io che si vollero onorare del nome di uomini di genio, anche dopo la lor morte, artisti che agii occhi miei non sono da stimarsi (pianto il sig Mendelssohn. Ma io qui parlo di que’genii, che volentieri chiamerei capi di famiglia, padri o fecondatori di lunghe e numerose generazioni, le quali mano mano si allontanano dalla propria sorgente, non cessano dal perpetuare, mal grado le dissomiglianze individuali, il tipo originale, il marchio caratteristico della loro figliazione.» E qui il sig. Diligile tira innanzi offrendo una mollo ingegnosa e dotta analisi della nuova sinfonia di Mendelssohn prodottasi alla società de’ concerti, dalla quale analisi si rileva die quesl’altro.-aggio oell’ingcgno musicc-slromeutaie del sommo compositoi e tedesco deve confermare il giudizio recato sul suo conto, che cioè la scienza, l’arlifizio, l’elaborazione suppliscono in lui alla povertà del genio inventore e del sentimento. — Enrico Herz.il grande pianista, pubblicò a Parigi tre nuove composizioni per clavicembalo. La prima è tratta dalla Part du Diable di Auber, l’altra dal Dom Sébastien, e la terza dal Don Pasquale di Donizelli. A (pianto ne dice la France musicale sono tre capolavori degni di coronare la gloria del sommo concertista. Il nostro Ricordi ne ha già pubblicale due. e la terza la pubblicherà fra pochi giorni. — Le diccinove rappresentazioni dell’opera di voga, data nl’Accademie rogale de musique, il Doni Sebastien de Portugal, produssero cento e trenta mila francai di introito. ffì. M.} — Il signor Leone Filici, direttore dell LJccadenu’e rogale de musique, tornò ultimamente a Parigi, reduce di un suo giro di tre settimane. 11 suo viaggio non gii avrà giovalo ad altro che. a convincerlo che i buoni tenori sono più rari in Italia che non in Francia. Alle persone che gli chiedevano se aveva fatta qualche buona scoperta, egli rispondeva: • I migliori tenori da me uditi n in valgono gli ultimi del mio teatro. Così la Trance musicale) ma noi soggiungiamo: stà a vedete quaa tenori ha udito i! signor Pillet! — — La Gazette Musicale de Paris, pubblica compendiali i capitoli componenti lo statuto fondamentale delia nuova Associazione degli artisti musicanti che si venne ultimamente formando a Parigi nello scopo di intendere ai progressi dell’arte e ai vciie savii vantaggi delie diverse professioni da quella dipendenti. — Pei giorno 3 di febbrajo il sig. Berlioz doveva dare una grande accademia vocale e strumentale nella quale dui catto eseguii si quattro nuovi pezzi di sua composizione. Se ne parlerà in seguito. KB. Li alcuni esemplari del foglio di Domenica scorsa fu ammesso di usu erti! e che zi unifola continuazione del Catalogo par la scelta dei pezzi di musica da darsi gratis ai signori Associali. Dall’I«R. stabilimento Razionale Privilegiato <18 Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale <11 GIOVASSI RICORDI Contrada degli Omeitoni 720. coti deposito per la vendita in dettaglio nei diversi locali terreni situati sotto il nuovo portico di fianco àell’I. R. Teatro alla Scala.