Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/22

- 48 I. IL TEATRO ALLA SCALA I. proposito. I IMICITAXl di ÏÎEi.i.ivr, colla signora Moi/rm, e i signori hoon, Fnnii e lincivi (la sera 28 gennajo). <& O

ranza: tocca le corde della consolazione, intuona le note del piacere che le anime presentono d in mezzo alle tribolazioni. Ma perchè, si dira, tanta afflizione a piedi dell’altare? La risposta, come ognun vede, mi porterebbe fuori affatto dalla musica che qui io tratto! e per non uscirne, farò un’altra domanda, servendomi aneli io del metodo indiretto. Perchè tanta cupezza in teatro? Oh bella! In teatro ci vogliamo attristare, ed in chiesa stare allegri! Forsechè la lunghezza delle sacre funzioni esige le abbreviature della musica dilettevole? Un dramma moderno, cioè serio, non dura forse più (sempre perdono dei paragoni) di qualunque ufficiatura? Forsechè il non intendere, od il non attendere ai significati della liturgia ci dà noja? lo sfido due terzi de’ giornalieri accorrenti alle scene musicali a spiegarmi 1 intreccio dell’opera, la poesia del libretto, la ragione d un gesto, d una situazione, d un passaggio qualunque o poetico o musicale. Eppure tanto ci piace questa teatrale mestizia, che non ci lamentiamo mai nè della lunghezza, nè della nostra ignoranza. Che se la musica sacra non ci debbe divertire, tanto meno ella è falla per arrecarci distrazione. Mon solo i piaceri, ma anche gli affari mondani debbonsi dimenticare in chiesa, e guai a quella musica che ce li ricorda! imperocché il nostro secondo bisogno è il raccoglimento. Notiamo bene la forza del vocabolo. Il credente nel santuario raccoglie sè stesso, cioè la parte sua migliore, che è quanto dire lo spirito, il quale fuori del sagrato essendo in molle parli distrailo da faccende, e sollazzi, entrando nel tempio chiama a raccolta i suoi pensieri, ed affetti e colla preghiera o meditazione gl indirizza alla divinità. Ora quale sacrilego contrasto non sarebbe in questo momento destasi udire esteriormente suoni e canti in disannonia collo stalo interno dell’anima! Il perchè la musica sacra vuol essere anche raccoglitiva e diretta a concentrare anzi che a distrarre. Nè qui è il caso di musica teatrale, od in qualunque modo profana, la quale fu già esclusa dalla summentovala afflizione; ma si bene il caso di quale siasi musica di nome sacra, ma tale che all’olficio di raccogliere lo sfurilo non attenda. Vi ha una moda (chè sèmpre parliamo di questa) d imitare il profano col sacro; la quale sebbene esteticamente parlando sia già per sè riprovevole, siccome quella che non è vera imitazione, ma contraffazione, plagio, o ruberia; pure dato anche che la fosse buona da questo canto, è per la circostanza del luogo biasimcvolissima. Le composizioni ecclesiastiche che rimembrano pezzi d arie e duetti, che li lanciano addosso una cabaletta co’ suoi chiaro-oscuri, pause, volate, ritornelli, ecc. credo che non sieno le migliori per aiutare il raccoglimento. Se per caso stanno a’ piedi dell’altare anime buone, ma soggette alle distrazioni, un poco filarmoniche, alquanto sensibili alle attrattive ch’ila musica, queste povere anime, dico, debbono soffrire il supplizio di star lì qualche tempo sospese tra Dio e mondo, tra spirito e materia, per colpa del compositore. lalvolla non è l imitazione poco felice che distrae, ma la qualità degli stromenti. Ella sarà una musica veramente di Chiesa, cioè affliggente, e raccoglitiva; ma che volete? Quella tromba, quel trombone, quei timpani, (pici fracasso ti portano via la divozione dal cuore, la preghiera dal labbro, la compostezza dal corpo. Gli strumenti pacati van sempre meglio: violini, oboe, clarinetti, fagotti. violoncelli sono altrettante parole care alle anime buone e filarmoniche, ajutano mirabilmente a raccogliere. Ecco il divario che passa tra uno stromento e l’altro. Ma non bisogna dimenticare quello che è proprio della chiesa: Porgano. Un buon organo toccato da va! lente organista è una cosa divina fatta proprio per la casa di Dio. Vi ha in questo stromento il compendio di tutte le possibili orchestre, di tutti i suoni, di tutta la musicale potenza; è la voce stessa del Creatore che parla or mite, or forte, or placido, ora adirato, ora invitando, ora minacciando. JVIa quale organista non ne abusa! Quale suonatore non cava spesso da quel divino stromento le voci del mondo! Anche qui la parola di Dio è vantata sacrilegamente in (fucila dell’uomo! Certamente niuno de’noslri buoni antenati avrebbe temuto che l’organo potesse divenire elemento di profanità, essendo egli nato fatto e fisso per la Chiesa. Gli altri stromenti sono di genere anfìbio, come sappiamo; dal teatro vengono in Chiesa, dalla Chiesa vanno al teatro, od al ballo. Veramente il legno, il metallo, e le corde onde si compongono sono per sé indifferenti, e tutto dipende dall’uso che se ne vuol fare. Via l’organo, ripeto, non si move, non va alle scene, non va alle danze; dunque perchè stando lì fermo si dovrà imbrattare di polvere mondana, perchè ci ricorderà teatro e danza? lo dico, che quando esso non intenda di essere raccoglitore dello spirito, nutritore della pietà, stia zitto, e si contenti di alternare i versetti della salmodia. Queste due virtù della musica ecclesia! stica, la mestizia, cioè, ed il raccoglimento che deve operare, non bastano ancora a costituirne il genere. Rimane perciò l’espressione, che è la terza virtù opposta a quell’armonia insignificante che si amerebbe in Chiesa, della quale potrò ragio’ nare nell’articolo seguente. P. Bigliani. Saremo brevi, perchè poco di buono abbiamo a dire, e molto a scapito polrebbesi notare, qualora intendessimo discendere ne’ dettagli dell’esecuzione. Ogniqualvolta (che ormai questa è la terza), si dà questo spartito sulle nostre maggiori scene, vi ha, direi quasi, una specie di accordo, tra orchestra e cori, ed anche tra il pubblico stesso, di eseguire e di ascoltare pressoché automaticamente questa musica, quasi fosse immutabile destino che essa non debba ottenere un esito brillante su questo teatro. Qui si ha l’abitudine di assistere alla ripresa di un’opera periino colla tradizione degli applausi: se si rammenta che il tal pezzo laceva ciò che appellasi effetto^ gli si porge j attenzione", se il tal altro non ne faceva,! non vi si abbada nemmeno: non si am-, mette neppure in via di dubbio che uno più che faltro esecutore possa condurre ad una differenza di effetto; e per conseguenza cantanti e suonatori, vedendosi così trascurati, trascurano pur essi ogni ricerca di possibilità di migliore esecuzione, e si conten- fc tano, non trovando alcun utile a far meglio, g di far nè più nè meno di quanto si fece? per lo addietro, non incaricandosi se non 5 che d una esecuzione tradizionale e rotiti- j nière (mi si perdoni il termine straniero, che qui non può calzar meglio). Quel po di bene che si faceva per lo addietro si fa anche adesso: il male che anche si confessa di aver fatto altre volte non si corregge: si diffida della musica! mio buon Dio! si ha persino il coraggio di dire che la musica dei Puritani non deve, non può far effetto, e si abbandona ogni cosa Dell’aspettativa con santa rassegnazione di un fiasco. o con modesta soddisfazione d’un mezzosuccesso. E davvero se avvi tra artisti e pubblico questa specie di tacilo accordo e di muta convenzione nell’esecuzione di alcuni spartiti e principalmente di questo, la critica sana, giusta e imparziale non deve tacersi, e non lamentare almeno la trista situazione de’ malmenati compositori. Per esempio nella presente circostanza noi avevamo due de’ primarj esecutori, i quali avrebbero potuto dare qualche schiarimento o sul movimento di alcuni tempi dello spartito o sui chiaroscuri. Si", la Moltini । ed Ivanoff sono due artisti che poterono udire quest’opera eseguila e a Parigi e a Londra con quella buona volontà, con quel1 amore, e con quella coscienza che è pure generale distintivo (bisogna confessarlo) degli artisti non Italiani j Ivanoff anzi fu pre- • sente, se non m’inganno, allorché Bellini istesso pose in iscena per la prima volta questa partizione, ed io in conseguenza mi lusingava che almeno i coloriti della musica fossero in questa circostanza alcun poco I più accurati, i tempi più fedeli. Nulla di lutto questo; ogni cosa passò, anche domenica scorsa, lo ripeto, tradizionalmente,! nò meglio nè peggio delle altre due volte. Si ebbe perfino lo strano consiglio di insinuare alla Moliini, l’eliminazione dallo spartito di (fucila sublime elegia, degna sorella dell Adelaide di Beethoven, intendo parlare del largo dell’Aria d Elvira nel second’atto, per sostituirvi ancora quello raffazzonato ed istrumenlato si indegnamente dal Pugni: e perchè? Per la medesimissima ragione; perchè l’altra volta la Slrepponi ha fatto così. - E la Slrepponi perchè ha fatto cosi?- Perchè?-Perchè la Schoberlechner...., ecc., ecc.. e così via discorrendo. Parlando almeno di questa miserabile sostituzione, mi pare che per togliere per lo innanzi il pericolo di più ricadere in un tale sfregio verso il compositore, il nostro Ricordi (l),che tanto venera l’arte.potrebbe disfarsi una volta di questo pezzo malaugurato, potrebbe, dico, darlo alle fiamme, distruggerlo e dimenticare perfino la memoria del vergognoso scorno fatto a Bellini, e del quale egli poveretto tanto sofferse. E chi non ne avrebbe sofferto? Come abbiam fatto presentire, l’esecuzione dei Puritani alla Scala lu anche questa volta, dal lato specialmente degli accompagnatori (fra i quali non mi lo scrupolo di includere anche i cori) se non vacillante. almeno in non lieve parte scolo(1) Il pezzo giustamente incriminato dall Autore di gitesi Articolo non esiste nel mio magazzeno; esso fu introdotto nello Spartito per ordine del!Impresa che lo comunicò alla mia copisteria, quindi mi credo assolto da ogni censura in tale 1/ Editore