Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 8

N. 8 - 19 febbraio 1843

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[p. 31 modifica]GAZZETTA AN&O 11. N. 8. 19 Febbrajo -1815. DOMENICA Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori /Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica c moderna, destinati a comporre un volume in i.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnDI MILANO • La musique, par des inflexions vives, accentuées. cl, • pour ainsi dire, parlantes, exprime toutes les pas» sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets,» soumet la nature entière à ses savantes imitations,» et porte ainsi jusqu’au coeur de l’Iiomme des sen» timents propres à l’émouvoir. J. J. Roussejv. II prezzo dell’associazione alla Gazzetta calf^/nfologia classica musicale è (liciteti. Ausi.!.. 12 per semestre, ed eflctt. Aust. L.14 affrancala di porto lino ai confini della Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione annuale. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente c franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto. — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzella in casa Ricordi. coni nula degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negoziami di musica c presso gli Uffici postali. — l,c lettere, i gruppi, cc. vorranno essere mandali franchi di porlo. SOMMA lilO. I. Schizzi Biografici. Vincenzo Bellini e le sue Opere. - II. Critica Melodrammatica. I Lombardi alla prima Crociata. - III. Notizie Musicali Italiane. Milano, Napoli, ecc. - IV. Notizie Musicali Straniere. Parigi. SCHIZZI BIOGRAFICI VINCENZO BELLINI it I I SEE OPERE il N. 4 e 6 di questa Gazzetta. ebbene il fortunato riuscimento,del Pirata potesse animare Belconfidare nelle proprie forze per ridiscendere sunito..dopo nell’arringo teatrale, nulladimeno, nutrendo dell’arte quel nobile concetto che ogni anima dilicata deve portare, lasciò che la sua mente si riposasse per qualche tempo, onde potesse nuovamente cimentarsi forte di tutta la suagagliardìa. Dal carnevale del -1827, non si riprodusse quindi che verso la metà di febbraio del 1829. Alcuni tra gli oppositori, i quali non Lisciavano intentala veruna occasione per giungere, potendo, ad impiccolirne il merito, non tardarono a dedurre da ciò una specie di prova per asserire e predicare in mille luoghi la sterilità e tardità del suo ingegno. Mentre più d‘ uno dei maestri d’allora, non dissimili da alcuni altri degiorni nostri, stimavano il concepimento di uno spartito un lavoro di si lieve momento da potersi immaginare e compire in due o tre settimane, non dimostrava egli certamente eguale fecondità impiegando circa un anno a scriverne uno solo. Ma i veri conoscenti dell’arte, coloro che sanno che le grandi opere destinate a vincere i danni del tempo sono figlie de’ lunghi studii, delle veglie e delle fatiche, trovarono all’incontro che grandissima lode si meritava per aver saputo in ciò appunto discoprire ed evitare una delle cagioni che più sensibilmente hanno pregiudicata la! musica italiana. Certo, non crediamo di errare asserendo che il poco studio e la leggerezza che molti de’maestri han posto nel comporre le opere loro sono la causa principale del deterioramento dell’arte. Dacché quella sterminata fantasia di Rossini diede la maggior prova I della potenza dell’umano intelletto, creando in otto giorni, o poco più, il Barbiere di Siviglia, tutti pensarono d’aver il suo genio e di poter fare altrettanto, e le nuove opere in musica fluivano dalla testa dei compositori come le strofe anacreontiche dalle labbra d’un poeta estemporaneo. Ma i prodigi non sono dati a lutti; e neppure il genio può sempre operare prodigi; perciò i parti dell’estemporaneità manifestavano in più d’un luogo la immaturità della concezione. Per tal modo chi aveva la capacità di formar sempre lavori di prima bellezza ne fece appena de’ mediocri: chi avrebbe potuto farne de’ mediocri nc fece de’ cattivi, e l’arte fu defraudata di una quantità d’ingegno che avria potuto illustrarla tenendo un contrario sistema. L’arte della musica è non men delle altre più indipendente dalla fantasia di quanto si crede; e forse anche nella musica con mediocre talento e con molto studio si può creare qualche cosa che avvicini ed imiti il genio senza possederlo. Del resto, siccome la mente dell’uomo è, per avviso del Vico, simile ad un terreno che riposato dà frutti nella perfezione, nella copia e nella grandezza maravigliosi, e li dà pochi, sciapiti e piccoli se troppo viene affaticato colla incessante coltivazione; chi, invece di comporre quattro spartiti in un anno, ne componesse uno solo, concedendo alla propria im maginativa quella tregua eli’ è necessaria a rinvigorirla e fecondarla, in luogo di quattro creazioni destinate a vivere una vita effìmera ed a passare nell’obblio delle mediocrità, ne produrrebbe una sola, ma che durerebbe oltre la sua morte onorando l’arte e l’autore. Solo che gli artisti, mancando indegnamente a quella parte luminosa a cui la natura li aveva sortiti, non vogliano soffocare il nobile istinto della gloria per secondare quello solo materiale delle ricchezze. In questo, disse con molta verità uno scrittore francese, sta la maggior piaga dell’arte moderna: sì, il più gran male, dice egli, sta in quegli artisti... qui ont commencé par faire de leur talent l’instrument de leur réputation, et qui finissent par faire de leur réputation Vinstrument de leur fortune: dans ces artistes qui se sont élevés pour se faire connaître, et qui ont redescendu pour se vendre,■ dans ces artistes qui ont trouvé un moyen davancement dans le trafic de leur génie et Texploitation deux-mêmes; qui pour être quelque chose en face de leurs contemporains. s’annihilent aux yeux de la postérité: qui troquent leur génie immortel contre quelques jouissances terrestres, et lui font bégayer les stupidités de lafoule; qui tendent à cette foule une main avilie, tandis qu’ils ’ s’incliner devant tandis qu’ils la forcent de l’autre à icliner devant eux’, qui pour l’or de cette foule qu’ils méprisen t, en viennent sans dégoût au mépris d’eux mêmes. Fortunatamente Bellini non fu di costoro; e benché da uont giudizioso non trascurasse di mescere l’utile al dolce procacciando di ricavare dalle sue fatiche quel maggior premio che parevagli di meritare in confronto degli altri che faticavano assai meno, pure il desiderio del guadagno non fu mai quello che vinse in lui l’amore dell’arte, e le opere sue, qualunque ne fosse il risultamelito, erano sempre le migliori delle produzioni che tutte le sue facoltà unite potevano creare. Da questo veniva la bella conseguenza ch’egli era quasi sicuro di ciò che operava; e gl’intraprenditori teatrali, che non son mai di quelli che veggono il meglio ed alpeggior s’appigliano, preferivano di dare a lui senza genio quasi il doppio di quanto retribuivano ai genj, perché, dicevano, siamo sicuri che Bellini farà un’opera che piacerà. Ecco la superiorità dei veri poeti sui versificatori estemporanei: ecco il vantaggio che hanno lo studio e la coltura sul semplice talento naturale. Di questo talento naturale, noi ci attristiamo nel dirlo, ne fu sprecato all’età in cui viviamo più di quello che si pensa; ed ora come possiamo, andiam ribattendo questo chiodo acciocché intendendoci i presenti ed i passati abbia, se fia possibile, a conseguirne che il mal uso non si perpetui in eterno. Pur troppo è vero che il cuore sanguina a veder l’arte trattata come un’industria, come un oggetto di speculazione, come una mercanzia, come una derrata: cotesto dolore vorremmo almeno che all’Italia fosse risparmiato in avvenire. Da Straniera fu la seconda delle opere che levò in fama Bellini. La scrisse come il Pirata per le grandi scene della Scala sopra nuovo libretto di Romani tratto dal conosciuto romanzo di Arlincourt, dopo avere per alcun tempo dimorato a Genova ov’crasi recato a porre su quel teatro Carlo-Felice la Bianca e Fernando, il che avvenne nella primavera del -1828. Aneli’essa fu accolta con entusiasmo: melanconico e quasi fantastico n’era il soggetto. Un amore, pressoché ideale, prosegue il signor Beitrame, vestito di tutto il mistero in cui s’avvolge una bella ed infelice regina, fuggitiva e senza conforto, coloriva tutto lo stile di questo dramma di tale una tinta di dolcezza e di tristezza, che ogni anima I [p. 32 modifica]) più chiusa alla musica sentiva vivamente | come egli avesse compresa la forza e la ragion drammatica di quel soggetto. PaI rea eli’ egli medesimo fosse inspirato da una passione, ignota ai vulgari, simile a quella di Arturo, che lo costringesse a sfogare nelle melodie tutto il sentimento ineffabile dell’anima sua. Ogni frase, ogni nota, ogni accento, rivelava manifestamente che un genio d’amore aveva presieduto a quella creazione. Più patetiche, più sentimentali inspirazioni non gli uscirono dalla mente che per creare un altro capolavoro di sentimento, la Sonnambula. Siccome il secol nostro è il secolo dei confronti e la più grande delle artisti moderne, la Pasta, non ha potuto cantare senz’essere confrontata alla Lalande, la Malibran senz’essere confrontata alla Pasta, cosi vi furon subitamente i begli spiriti che posero in questione se il Pirata o la Straniera fosse l’opera migliore. Yi fu perfino un certo censore, il quale con animo assai diverso e con ragionamenti tutti proprj, osò affermare che, se poco era persuaso del primo, meno lo era della seconda. Noi non diremo s’egli avesse torto: il voto pubblico ha già mostrato a scorno di quel censore che Bellini voleva appunto essere lodato per quelle ragioni eh ei lo riprendeva: direm solamente che l’uno e l’altra hanno pregi proprj, particolari che li distinguono: l’uno maggiore originalità, l’altra condotta ed arte migliore. Nell’uno fece il primo passo che separò la scuola puramente lirica dalla lirico-drammatica, portando con sè del resto molto della scoria di quella scuola, vai a dire ritenendo la solita forma de’pezzi concertati, le solite grandi arie, le solite ripetizioni: nell’altra, come più ancora ne’ lavori susseguiti, venne modificando e dissimulando di grado in grado tutte queste cose che non avrebbero potuto essere cangiate senza ferir troppo il gusto pubblico, il quale d’ordinario non supporla le innovazioni se non che insensibilmente e quasi senz’avvedersene. Vi cantavano la Lalande, Tamburini, Reina, la Unger, e tutti furono degni interpreti delle amorose fantasie dell’autore. Il signor Fétis che dà quest’opera come rappresentata nel 1828, e quindi un anno innanzi, siccome fece del Pirata, non si dimentica di far presente che la Lalande e Tamburini contribuirono al suo buon esito: noi non ritorneremo sopra discussioni già fatte, e ci basterà in vece di ripetere con lui che da questo punto Bellini fissò l’attenzione generale dell’Italia; il perchè fu egli tostamente richiesto ad esporre un suo lavoro sul nuovo teatro di Parma nell’incontro della sua apertura, e questo fu la Zaira. Non mancava la nuova produzione di contenere bellezze di prima specie che assolutamente mostravano l’indole e l’energia dell’ingegno del compositore; ma qual se ne fosse la causa, che altri narra in un modo, altri in un altro, essa naiifragò, valendomi ancora delle parole dello stesso. autore, innanzi ad un pubblico amaramente inclinato a sprezzarla. Chi afferma che a Bellini avesse suscitato un contrario partito la perseveranza eli’ egli ebbe di non volersi dividere dal suo compagno Romani contro il desiderio di molti che in quella città amavano veder rappresentato un dramma poetico d’un loro concittadino: chi accusa altre mene, altre ostilità, altre cerimonie di etichetta a cui Bellini avrebbe mancato. Qualunque veramente ne fosse il motivo, l’opera cadde, e pare non senza~ragione, perciocché egli medesimo conobbe che il complesso elei lavoro non era degno di lui, perchè, noi alla nostra volta soggiungiamo, non aveva avuto nè tranquillità di mente, nè tempo sufficiente ad elaborarlo. Bellini non era mente da improvvisare, avea bisogno di studio per rendere perfette le opere sue; egli medesimo si conosceva ed egli medesimo condannò quel suo parto all obblio riproducendo poi nei Capuleti e nella Beatrice tutti i brani di quella derelitta che erano stati irradiati dalla luce del genio. I Capuleti ed i ilionlecchi che successivamente scrisse a Venezia per le scene della Fenice, possono dirsi nati dalle spoglie della Zaira. La circostanza perchè apparve questo componimento, dice il citalo biografo, merita un’osservazione particolare. Trovavasi Bellini a Venezia chiamatovi ad esporvi colla propria direzione il Pirata, ed a meglio adattarne la musica all’abilità ed alle voci degli artisti. Il compositore a cui era stata affidata la nuova opera solita a scriversi ogni anno per quelle scene, occupato altrove, rinunziò all’incarico dopo aver lasciato trascorrere inoperosa quasi intera la stagione. Il pubblico diritto e le leggi del teatro esigevano il nuovo spartito: era malagevole il rinvenire chi in tanta stretta volesse assumersi un sì difficile impegno: ne fu fatta proposta a Bellini; ma, considerate le difficoltà ch’erano da superarsi, si mostrò sulle prime renitente. Gli amici di lui e gli estimatori del suo talento lo sollecitarono con istanze vivissime acciocché cogliesse quest’occasione per far palese la propria valentia. Fra questi uno de’più zelanti fu Giambattista rerucchini, noto scrittore di graziosi musicali componimenti di genere anacreontico. A tante insistenti sollecitazioni non seppe resistere e, riformando, come dicemmo, 1 tratti migliori della Zaira, compose i Capuleti ed i Montecchi sul vecchio dramma di Romani la Giulietta e Romeo in alcune parti per sua insinuazione emendato, allo scopo di viemmeglio discostarsi da chi innanzi aveva trattato quell’argomento. Come suol avvenire in simili incontri non pochi furon coloro che lo tacciarono di temerità per essersi egli posto in competenza con Zingarelli e Vaccaj che già erano usciti da quella prova con onoranze di tutta l’Italia. Ma non si lasciò per questo intimidire; e veduto che i suoi antecessori non avevan raccolti tutti gli allori che in quel campo si potevano mietere, perocché non era impossibile esporre i casi degli infelici amanti in aspetto, se non migliore, certo più diletto all animo e più interessante di quello cli’essi avevano fatto, lasciò che i suoi accusatori si sfogassero in ragionamenti, e compì come meglio seppe l’opera sua, la quale nella sera del 12 di marzo -1850 s’ebbe l’onore di un vero trionfo. Reduce a Milano, ove può dirsi avesse fissa la sua dimora, contrasse l’impegno di dare un nuovo spartito per la primavera del 1831 al teatro Carcano, ove una impresa di sempre bella memoria aveva radunate le prime celebrità musicali dell’epoca, Giuditta Pasta, Rubini, Filippo Galli, ed altri ancora. Bramoso di far tacere l’invidia, la quale non sapendo alfine come deprimerlo andava susurrando che tutte le sue opere avevano una sola uniformità di stile, un solo colore, elesse di scrivere la Sonnambula, il più leggiadro dei fiori sortiti dalla sua mente, e convinse i più ostinati che il suo talento era ben altro che d’un solo carattere. Non vogliam dire quale immensa fortuna avesse quest’opera qui dove tutti si ricordano l’entusiasmo destato fin dal suo comparire. Fu una delle prime gemme della sua corona, ed un campo cìi nuove palme per la Pasta, Rubini, la Taccani e Mariani che ne sostennero le parti principali. Si occupò nel successivo estate e nell’autunno a scrivere la Norma pel teatro della Scala ove cantarono la Pasta ancora, Giulietta Crisi, Donzelli e Negrini; ed a qual’auge portasse il nome di Bellini questo capolavoro rappresentato la sera eli S. Stefano del -1851 è scrivere una storia che tutti sanno. È l’opera di tre ingegni distinti: di Soumet che immaginò la tragedia: di Romani che la ridusse in italiano: di Bellini che la vestì di note maravigliose. Il suo nome vivrà famoso colla Norma. A perpetua ricordanza però di coloro che presumono giudicare del valore di un musicale poema da una sola prima rappresentazione, la quale riescir dee quasi sempre immatura e per l’interiore agitazione da cui son presi gli spiriti e per l’imperfetta concordia delle parti costituenti l’insieme, crediamo di dover memorare che l’esito di questo lavoro fu sì poco avventurato nelle prime sere, che un giornale di Milano credette poter profetare che la nuova musica, anzicchè sopravvivere alla sua nascita, avrebbe avuta la fine dell’infelice druidessa. Niuna predizione fu mai più fallevole di questa. - Bellini, il cui discernimento non si smarriva nè per lieta nè per sinistra fortuna, era sì persuaso della sua creatura, che a chi volea pur consolarlo della sorte infausta toccatale rispondea che avrebbe aggradite le condoglianze quando dopo alcune sere il pubblico l’avesse deliberatamente condannata a morte. Il maestro fu miglior profeta del giornalista. Non vogliam finire quest’articolo senza fare al signor Fétis un’altra osservazione per aver egli stampato a proposito di quest’opera che il mirabile talento drammatico di madama Malibran non ha poco contì ibuito alla celebrità di cui gode attualmente in Italia. È un nuovo errore sfuggito alla penna del dotto scrittore, che amiam rettificare per la stima che gli professiamo, e per l’amore che portiamo alla verità. Chi rese in Italia famosa la Norma non fu la Malibran, ma bensì l’italiana Giuditta Pasta, la quale si mostrò sì grande sotto le lane della sacerdotessa d’Irminsul, che tutta la bravura dell’attrice francese non bastò ad eguagliarla. Il nome della Pasta è così congiunto a quello della Norma, che non si può ricordar l’uua senza parlare gloriosamente dell’altra. (Sarà continuato.) G. Vitali. CRITICA KELODRAKKATICA i jiOmmAsmi ALIA PRIMA CROCIATA Dramma lirico di Temistocle Soleili posto in musica da Gilsei*i»e Verdi. I. Qualunque sia per essere il grado di merito che il giudizio dell’avvenire assegne- f rà a questo nuovo lavoro del maestro ( [p. 33 modifica]) Verdi, il quale, per ciò che a noi sem| bra, non potrà nescire che luminoso, lo, diciam francamente, fin da quest"’ora noi J ci sentiamo fortemente inclinali ad encomiarlo, prima perchè il crediamo frutto degnissimo del valente intelletto che lo ha creato, secondo perchè è opera, a cui insieme al naturale ingegno han posto mano lo studio, l’amor dell’arte e il desio di ben fare. Noi, lo dicemmo più d’una volta, siamo grandemente amici dello studio. Lodare in Italia l’istinto musicale è come vantare il bello spirito in Francia, il genio della speculazione in Inghilterra, la fermezza d’animo in Ispagna: è come lodare i frutti indigeni d’un suo paese, i quali d’ordinario perdono del loro pregio perché tutti ne posseggono alcuna quantità. Perciò siam di preferenza inclinati ad onorare sovra il talento lo studio, siccome prerogativa che ne’compositori italiani con minor frequenza si rinviene, e perchè in esso veramente sta il merito della lode, poiché i prodotti suoi non possono acquistarsi senza grave e penosa fatica, quando l’altro non è che un dono della natura. E vero che il voto clamorosissimo manifestamente spiegato dal pubblico alla prima rappresentazione fu alquanto più favorevole di quello che taluni degli intenditori accorsi all’ultima prova avevano con qualche riserbo professato; ed è altresì vero che un incontro sì raro, sì straordinario, sì universale in un tempo che, schiettamente parlando, ancora non eransi potute ben comprendere le bellezze del lavoro, le quali per loro natura dovean essere riposte, siccome figlie di accurata elaborazione, vuol riguardarsi dal savio_giudizio umano non solo come l’effetto dell’intrinseco suo valore, ma come una conseguenza di una particolare predilezione del pubblico verso il bravo compositore. Una tale predilezione il maestro Verdi se l’é acquistata così co’ suoi artistici talenti che l’han reso uno de" più distinti sostenitori del nome musicale italiano, come per le morali qualità, per l’ingenua modestia di cui è dotato e lo rende alieno da qualunque maneggio, da qualunque briga di ciarlataneria, clic sì di sovente vengono ad usurpare il premio riserbalo al vero merito. Tutto intento alla coltura dell’arte 011d’ella abbia a procedere per la via dell’incremento a quel grado di elevatezza a cui è predestinata, non vede nel inondo che una famiglia d’innocenti, scevra d’invidia e di male passioni; nè pensa che sia mestieri di mezzi artificiosi per far risplendere l’ingegno: perciò egli non ha contrarj che coloro che lo invidiano. Separata del resto l’opera sua da tutte queste favorevoli condizioni, che senza dubbio debbono aver giovato al suo "apparire, e ridotta alla semplice nudità del vero, noi crediam d’avere argomenti non dubbj fier asserire che rimarrà pur sempre un avoro il quale vieppiù alzerà in fama l’autore, e sarà non degenere fratello del Nabucco. le cui maestose e grate armonie han per sì lungo tempo dilettato il pubblico milanese. Come più o meno avea già fatto nei suoi parti anteriori, anche in questo spartito, abbandonando quel, leggero carattere che ha pregiudicato per tanti anni la mu5 sica italiana, ha con saggio accorgimento? accoppiata la grandezza delle armonie alla 1 fluidità e naturalezza delle melodie: ab| bandonando il falso gusto degli ornati e delle fioriture,non rivolse l’arte che a significare ed esprimere la drammatica verità: lasciando le complicazioni dei mezzi materiali, ebbe fermamente di mira di ricondurre il canto alla sua nativa semplicità, alla seducente purezza del linguaggio musicale, nella qual cosa egli adopera una peregrina suppellettile di scienza ed una bella e fertile immaginazione, mercè le quali, mentre alletta, commove e sorprende, soddisfa nello stesso tempo ed appaga le pretensioni della scienza. Dimostrandosi compreso delle esigenze del gusto pubblico e del naturale progredimento dell’arte che d’epoca in epoca porta con seco forme di circostanza e tinte di convenzione, armato di quell’energia che cammina sopra gli ostacoli e divien più gagliarda, anziché affievolirsi, qualora gl’incontra, sì bene fa rivivere e sposa l’antica semplicità dei modi al moderno raffinamento che il suo metodo può dirsi, se non il migliore, certo uno de più meritevoli di lode. La sua musica è piena del carattere del soggetto:, pieghevole e svariata secondo le varie modificazioni delle parti; chiara nei dettagli come nell’insieme; logica nelle degradazioni; filosofica e fina nelle intenzioni; a tempo lieta, a tempo melanconica, a tempo soave, a tempo terribile; a tempo focosa, a tempo pacata, sempre dignitosa, sempre energica, sempre nobile, sempre saggia. Può dirsi un composto talora delle splendide idee di Rossini, talora delle drammatiche di Bellini, senza possedere per altro la vena originale dell’uno, e senza il colore esimiamente espressivo dell’altro. È una similitudine di quella di Mercadante: anzi di Mercadante, se non erriamo, ne sembra che tragga gran parte del carattere, senza averne la soverchia artificiosità, e senza la prolissità che sovente lo raffredda. Ma del suo modo di comporre e del suo stile fu già abbastanza ragionato in queste colonne dalla penna d’un nostro collaboratore al tempo che sortì in luce il Nabucco. A ciò che fu allora stampato non sapremmo ora che aggiungere se non che ripetendo le stesse cose. Perciò ci faremo piuttosto a dare un’idea dell’opera onde il lettore n’abbia qualche contezza, proponendoci di fare quelle piccole osservazioni che ci parvero conformi ad una sana estetica e puramente dettate dall’amore dell’arte. L’opera incomincia con poche battute d’orchestra eseguite a tela calata. L’oramissione della sinfonia diede ad alcuno motivo di lamento, perchè il maestro Verdi ci aveva dolcemente allettati con quella che pose innanzi al Nabucco. A noi pare all’incontro che abbia operato con senno, perchè lo spartito, già costituito di quattro parti, e lungo piuttosto che no, sarebbe riescilo più prolisso ancora. Stimiamo che la sobrietà nelle arti che scuotono i sensi sia una virtù da non preterirsi. È una verità conosciuta che quando l’anima è stanca; anche le belle cose perdono del loro prestigio. L’azione è in Milano sulla piazza di S. Ambrogio. S’ode nel tempio una musica festiva, della quale un coro di donne vien chiedendo il motivo ad un coro di cittadini. Questi narrano che Pagano, figlio di Folco, signore di Rò, è ritornato di Terra Santa per riconciliarsi col fratello Arvino, di cui molt’anni innanzi avea attentato alla vita per essere egli stato lo sposo preferit o di Vicliuda, della quale ambiva la mano. Escono dal tempio Pagano, Ai- | vino. Viciinda, Giselda, loro figlia, Pirro, | scudiero d1 Arvino; e Pagano (Derivis) si < prostra sul terreno per chiedere perdono C del suo delitto. Mentre i fratelli si baciano in segno di pace, Arvino è soprassalito da un tremito. Giselda (la Frezzolini-Poggi) e Viciinda gliene chiedon la cagione. Pagano e Pirro se l’intendono ira loro; e qui la Frezzolini intuona un pezzo concertato in tono di si bemolle, di grande e maraviglioso effetto, segnatamente quando pronuncia quel verso: Di gioja immensa ho pieno il core: sul quale la melodia abbandonando il primo andamento s’apre e s’allarga in una frase cosi soave, che dipinge stupendamente tutto il gaudio di un’anima al colmo della gioia. L’effetto poi è accresciuto ancora più dal contrapposto di alcune note basse die Pagano vien dopo susurrando a Pirro dicendo; Pirro, intendesti I - Cielo non ila Che ii associai dal mio furore I è questo un tratto bellissimo. 1 fratelli mostratisi nondimeno pacificati, e propongonsi di volare serrati siccome leoni, - Sugli empi vessilli - che il del maledii A questo punto cantasi un tutti in tuono di re maggiore, allegro mosso, pieno d’energia, pieno di vita, robusto, drammatico, che termina mirabilmente l’introduzione. La scena si sgombra; e s’ode dall’interno un coro di claifstrali a voci bianche interpolato con suono di strumenti che egregiamente imitano l’organo, il quale ha tutlo il carattere religioso e termina insensibilmente in una cadenza piana, piena di verità. Questo coro piacque moltissimo, ancorché la prima sera fosse poco concordemente eseguito. Ritornano quindi Pagano e Pirro che si concertano sul modo d’assalire Arvino; ed ha luogo un’aria con recitativo cantata dal Derivis. Gl’intelligenti riconobbero anche questo pezzo di bella fattura, e di sera in sera venne sempreppiù in grazia del pubblico. L’andante, sebbene a taluno potesse sembrare alquanto basso per le migliori corde del cantante, ne sembra migliore dell allegro perchè favorito e sostenuto da un leggiadro accompagnamento strumentale. Tra l’uno e l’altro tempo cantasi un coro di sgherri, in tono di la, piuttosto affrettalo che è di buona tempra, quantunque non del tutto originale. La scena si cangia, e rappresenta una galleria nel palazzo di Folco illuminata da una lampada. Giselda e Viciinda, temendo un tradimento da Pagano, fan voto di recarsi a piè nudi al santo sepolcro se il cielo preserva Arvino dalle insidie del fratello. Pregano quindi genuflesse amendue e Giselda’ intuona la preghiera della Vergine. È un lavoro pieno di bellezze strumentali perchè le frasi lente del canto sono accompagnate da suoni di clarinetto e di flauto alla maniera d’arpeggio gradevolissimi. Ma la melodia che è un andante mosso in re minore e termina in maggiore è d un filo troppo involuto e diffuso perchè si possa comprendere da un orecchio che sia poco educato all’arte; perciò più d’uno al primo udirla non 1" intende. Verso la fine poi le note non pigerebbero perfettamente { il carattere delle parole. Con tutto ciò * piace pel merito dell’invenzione, e per f l’abilità con che è cantata dalla Frezzolini. ( [p. 34 modifica]Le donne si ritirano nelle loro camere; J sorvengono Pagano e Pirro ed il primo. jntra nelle stanze d’Arvino. Indi a poco | vedesi un chiaror di fiamme; Giselda ripassa precipitosa la scena; e Pagano vien traendo Viciinda con in mano un pugnale insanguinato. Sopraggiungono ben presto Arvino, Giselda, Pirro, armigeri e servi con torcie: e Pagano, che si pensava aver trafitto il fratello, vedendolo presente, grida: Pur di sangue è intriso il ferro!... Ch ’il versava? Il padre!... esclamano Viciinda e Giselda. - Il canto che segue sulle parole Mostro d’averno orribile, che è drammatico per eccellenza, è veramente la pittura dell’orrore che inspirar deve un parricidio. Il maestro Verdi ha qui spiegato molto sentimento estetico, e molta conoscenza d’arte. - Tulli sono inorriditi. Arvino vorrebbe vendicare l’eccidio del padre trucidando l’empio Pagano, ma Giselda ne lo trattiene. Pagano allora vuol trafiggersi da sé; ma ei pure è trattenuto dagli armigeri. Irrompono allora tutti in un’imprecazione, e termina l’atto primo. Anche quest’ultimo tempo che è un prestissimo in do minore, il quale dopo alcune note armoniche ritardate passa in maggiore, è assai bene immaginato; ma riescirebbe forse meglio e più sentito se il motivo, che da principio giustamente è preso molto animato, non venisse poi allentandosi e perdendo del suo foco senza che dal carattere della poesia ne appaia la cagione.*Malgrado tutto, l’atto come incomincia termina con bell’effetto drammatico e con grandi applausi dell’uditorio. (Sarà continuato) G. Vitali NOTIZIE MUSICALI ITALIANE — Milano. Al Diavolo condannalo a prendtr moglie {li abituati del teatro Ite giustamente hanno imposto di ritornar a’ regni buj di un perpetuo obblìo. Simili guazzabugli bulTo-drammatici ora mai non ponno più tollerarsi. La musica è la più infelice che qui siasi udita di Luigi Ricci, il quale di alcuni brani del suo Diavolo aveva giù ornato la Chiara di Rosembera. — Nuove pubblicazioni - Il successo delle tanto appassionate c profonde Melodie di Schubcrt, alle le quali i tributare qualche omaggio di ammirazione da’ ben veggenti in musica, al di là delle a cominciasi a Alpi hanno fatto scoprire a Liszl un nuovo genere di trascrizioni per pianoforte che non tardò ad esser praticato da molli lodati scrittori. Fra questi si distinsero in ispecie WolIT, Heller e più recentemente Czerny, il compositore lo cui facili braccia sembrano voler stendersi sopra tutto l’emisfero pianistico. Quest’ultimo nelle sue riduzioni pervenne quasi all’imponenza di quelle del despota del pianoforte, c con rara intelligenza seppe ben anco far in modo ch’esse riuscissero alla portata della maggioranza degli cspcrimcntati suonatori, conservando ncll’istcsso tempo intatta l’integrità delle cantilene c degli accompagnamenti originali. Fra le otto Melodie trascritte da Czerny teste edite presso Ricordi, non ne trovasi alcuna di quelle già qui pubblicate da Liszt, perciò questa nuova raccolta può ser,..-.ciò qui viro di completamento alle già esistenti. In il Pesciolino, il Desiderio di viaggiai Panciullo cieco, il Normanno, il Cacci: igiars, il Tartaro, il di sì energico concepimento, il Lamento del Pastore, c la Serenata del Cacciatore, degno riscontro dell’altra generalmente conosciuta. — Napoli. Il pianista Golinclli diede il primo suo concerto nella gran sala del Conservatorio, al quale concorsero numerosi spettatori quand’anche il viglietlo d’ingresso importasse un ducalo. I ragguagli in appresso. — Il Ministro annui alla proposta de membri dell’Accademia delle Belle Arti d’innalzare nel sepolcreto della città nostra un monumento al celebre compositore di musica Nicola Zingarelli. L’esecuzione del lavoro venne affidala al giovane scultore GiustinoLconi. — Roma. Ad onta di una vacillante esecuzione i sommi pregi del Nabucco, il capolavoro del maestro Verdi, vennero fra noi assai apprezzati. Balzar si meritò i maggiori applausi. I — Bologna. Ottocento fanciulli in questa Cattedrale I in una delle passate feste eseguirono all’unisono la più 1 severa musica a canto fermo, indi due sublimi pezzi, j l’uno di Marcello c l’altro di Palcstrina, producendovi una profonda sensazione. I — Nella prossima quaresima nell’aula di questo Liceo musicale si daranno cinque Accademie Vocali ed Istrumentali, le quali verranno eseguile sotto gli auspicj di Rossini. L’ultimo di que’ trattenimenti sarà a benefizio della cassa de’Filarmonici impotenti, istituita per le cure dello stesso gran maestro. — Il chiarissimo professore Baruzzi venne scelto per eseguire il grandioso monumento clic leste l’illustrissimo Consiglio Comunale ha decretato doversi erigere a Rossini. S’inoltrò pure preghiera all’illustre Giordani onde volesse onorare il detto monumento di qualche sua inscrizione. (Da lettera) — Firenze. Freyschillz, il capolavoro della scuola drammatica alemanna, la romantica creazione musicale di Weber con tutti i fantastici suoi accessori apparve al.Teatro alla Pergola, e se in pieno recò più sorpresa che piacere, in alcuni pezzi però non mancò di riuscire acclamatissimo e di persuadere che il vero bello trova ammiratori in qualunque paese. Il brillante concorso al Freyschillz serva a far dimenticare al lussureggiante Lanari la cattiva riuscita della Regina di Cipro, e ad avvertirlo che per voler trapiantar con successo opere straniere sopra teatri italiani e indispensabile scegliere i pochi spartiti di un merito superiore al gracchiar de’ critici o degli incontentabili. Questo Frcyschutz (il Bersagliere) ed il Roberto |ii Diavolo ponno convalidare l’opinione nostra, per non dire dell’insuperalo Guglielmo Teli e dell’imponente Mosi nuovo. — Tacchinardi, il famoso tenore, quasi al quattordicesimo suo lustro volle animoso ritentare le sorti teatrali. I due Prigionieri di Pucitla servirono di nuovo agone a lui che consacrò l’intera sua vita alla bcll’arlc. — Il pianista Angeli allievo del maestro Camploy, zelante direttore dell’Istituto musicale di Venezia, e che a Vienna perfezionò la sua educazione, si è fatto udire al privato teatro Standisch e venne assai encomiato. — Il Dies irae dell’egregio Giorgctli, la cui pubblicazione da tutti i filarmonici con impazienza altcndevasi, vide or ora la luce presso l’editore Lorenzi. — Novara. L’Osservatore teatrale, nuovo foglio che ogni venerdì pubblicasi a Torino riferisce quanto segue: Nel giorno 29 dell’ora scorso gcnnajo, le volte del magnifico tempio di S. Gaudenzio echeggiarono delle armonie del maestro Nicolò Vaccaj. La musica in generale piacque assaissimo ed in ogni pezzo eminentemente si ammirò il carattere religioso; se non clic dcsidcrossi maggior brevità e chiaro-scuro. Fra i pezzi migliori si annoverò il duetto a due tenori Laudamus nel Gloria, il finale del medesimo a fuga, come pure il finale del Credo. Di grandissimo etfello riuscì il versetto Judicabil nel Dixit, ed aggraditi furono il mottetto ed il Tantum ergo eseguito dal valente Dovila; ecc. NOTIZIE MUSICALI STRANIERE — Al Teatro dell’Opéra-Comique a Parigi fu rappresentalo un nuovo melodramma iu un atto con parole di M. Planard, musicate da Ernesto Boulangcr, intitolato Les Deux Bèrgeres. La breve composizione che ha un nodo facile, chiaro, uno stile naturale e senza pretese, è piaciuta ed ebbe assai buon esito, malgrado la sua simiglianza colla bella commedia di madama di Bawr: La suite d’un bai masqué. il giovine compositore lascia pur desiderare un po’ più di freschezza e novità nelle sue idee, vale adire nelle melodie; e qualche canto inspiralo gioverebbe non poco a’ suoi lavori il cui fare del resto è grazioso e facile: la sua islromcntazionc è elegante e non ricopre il canto. Pare che anche gli oltremontani si vadano persuadendo clie quando trattasi di musica scenica il canto’dcvc essere la parte principale predominante. E innegàbile clic la grandezza e la ricchezza delle armonie sono cose pregevolissime; ma non bisogna dimenticare clic l’armonia vive il più delle volte a danno della melodia. Fatalmente si direbbe clic queste due sorelle sian gelose Luna dell’altra perchè non permettono ai loro ammiratori di dividere le loro affezioni. Chi coltiva l una volge le spalle all’altra. Da questa intolleranza di culto nacquero le prime due scuole musicali I italiana e la tedesca. L’una tenne l’ispirazione eia melodia, l’altra la scienza, ossia l’armonia. L’arte della musica salirà alla sua gran meta quando l’una e l’altra saran confuse in un solo elemento, in un solo individuo, siccome l’anima e il — La Franco musicale contiene un lungo articolo sul genovese violinista Camillo Sivori. Dicendo clic la scuola di violino francese, sì florida ai tempi di Rodes, di Krcutzer, di Lafont, di Baillot, vide cader sino all’ultimo i nobili sostenitori del suo antico splendore, come que’ gloriosi veterani dell’impero, che la morte viene ogni di a colpire ad uno ad uno; per cui l’archetto reale è ora vedovo d’un braccio abbastanza valente per sostenerne il peso: accennando che la scuola belgica condotta da Bériot, sostenuta da Vicuxtemps, Aridi, Hauinan, prescntavasi nell’aringo sotto i vessilli di formidabili campioni in guisa clic la vittoria pareva volersi posare sul campo fiammingo, ecco, dice ella, un figlio della madre patria de’ violini, un successore dei Gorelli, dei Pagnani, de’ Viotti, de’ Paganini, il quale con una subita apparizione si inette incontro ai vincitori per valorosamente disputar loro il trofeo della pugna. Questo fortunato trionfatore è Camillo Sivori, giovane iugegno, d’origine genovese. Riferendo com’egli, simile i a tutti i talenti straordmarj, mostrò le sue fortunate di-! sposizioni nell’età più teucra, cosicché fin da’ quattro ] anni la passione del violino era in lui fortissima, rac- ■ conta come Paganini, uditolo nell’età di sei anni, lo prese in tale affetto che con una premura e pazienza ammirabili, incominciò ad insegnargli i principi della | musica. La sua protezione lo accompagnò in tutta la j sua carriera e pare, dice lo scrittore francese, ctie ab- I hia sopravvissuto al nulla della tomba, perchè quando I BOVE PDBBLHMOJI MCSKitl iell’i. u. stabilimento nazionale privileg." di GIOVASSI BICORDI. 3EA1T YALZEE composito per Pianoforte «mio’iSnsmi sopra motivi della sua Opera ®<®® 9>A8«»A!>.K DEUX QUADRILLES BRILLAI SUR l’opéra de DOAIKETTI composés pour Piano avec accompagnement de Violon, Flûte, Flageolet ou Cornet ad libitum Chaque Fr. î 50. mwm mmm WOJLI’S*’ (G. C.) Germogli di speranza, Valzer per Pianoforte Fr. — Fiori dell’assiduità, idem..... i — Les plaisirs ile la vie.’ idem..... 2 SVfl.àV CIA2 e POATAA.A.. Valzer per Flauto e Pianoforte GIOVAMI RICORDI EDlTOBE-PBOPItlElABIO. Dall’I. K. Stabilimento Razionale Privilegiato «11 Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale «11 CIO VARAI RICORDI Contrada degli Omenoni N 1720. lo si sente eseguire il Carnevale di Venezia, e la preghiera del Mosi e tutti que’ passi fantastici che presero vita sotto l’archetto magico di Paganini, si crederebbe veder l’ombra del gran maestro aleggiar sul capo del giovane artista, ed infondergli le inspirazioni del suo genio originale. Si fece udire in un’adunanza a! Conservatorio di Parigi, ed ancorché niun grido giornalistico avesse annunzialo al pubblico il nuovo suonatore, ancorché un silenzio glaciale accogliesse il suo apparire, bastarono otto battute perchè un mormorio di stupore e di piacere circolasse per tutte le parli dell’uditorio: terminò col destare un entusiasmo che il giornale dice indescrivibile. Darà quanto prima un concerto che si ritiene gli porterà profitto e celebrità. — Si racconta, cosi il ridetto giornale, clic i resti di Paganini non furono ancora inumati in luogo sacro per opposizione del Vescovo di Nizza. Essendo perciò stata promossa una causa innanzi alla Corte di -Roma per opera dei compatriotti del gran suonalor di violino, in attesa d una decisione, il corpo del defunto riposa sopra un letto pomposo in una casa clic fu destinata a ricovrarlo. Fu imbalsamato in modo clic si possa attenderò la fine del processo. — Arrivato a Vienna Donizetti, fu benignamente ricevuto dalie LL. MM. l’Imperatore e l’Imperatrice, clic con effusione lo complimentarono della buona riescila che il Don Pasquale ebbe a Parigi. L’opera sarà posta iu isccna a Vienna sotto la direzione dell’autore, e verrà pure rappresentato un nuovo melodramma in Ire atti, clic egli ha nuovamente posto in musica per il teatro di quella capitale. -- Al teatro di Iìriissellcs fu cantato, ridotto in francese, il Belisario dello slcsso maestro, e v’ebbe una fortuna segnalata. Lo si sta preparando a Lione ed i giornali ne preconizzano in Francia tutta quella fortuna che lo spartito ebbe tra noi ed in Germania. Pare che la questione del vero primato delle scuole musicali si vada a poco a poco per sè stessa risolvendo col suffragio del gusto universale. — Nella Chiesa di S. Euslacchio, a Parigi, dice lo stesso foglio, si sta costruendo un grand’organo sopra siffatte proporzioni clic al suo compimento ricscirà il più grande strumento che esista in Europa. Conterrà sei tastiere complete, setlant’otto registri e circa seimila canne. Avrà dieiotlo giuochi solamente per le due tastiere dei pedali. De’soffiatori di nuovo metodo, l’applicazione del celebre meccanismo diBackcr e parecchi altri perfezionamenti finiranno di rendere quest’organo una delle meraviglie della capitale. — Il il di gcnnajo ora scorso, sempre lo stesso foglio, il (catro di Montpellier fu illuminato a spirito di vino. Le lampade, continuarono a dare una luce chiarissima, senza odore nè fumo. Se il governo favorisse una tale invenzione, essa non potrebbe ricscir che vantag