<dc:title> Gazzetta Musicale di Milano, 1843 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Autori vari</dc:creator><dc:date>1843</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Gazzetta_Musicale_di_Milano,_1843/N._8&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20211116154053</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Gazzetta_Musicale_di_Milano,_1843/N._8&oldid=-20211116154053
Gazzetta Musicale di Milano, 1843 - N. 8 - 19 febbraio 1843 Autori variGazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu
[p. 31modifica]GAZZETTA
AN&O 11.
N. 8. 19 Febbrajo -1815.
DOMENICA
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si
danno ai signori /Associati dodici pezzi di scelta musica
classica antica c moderna, destinati a comporre un volume
in i.° di centocinquanta pagine circa, il quale in
apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnDI
MILANO
• La musique, par des inflexions vives, accentuées. cl,
• pour ainsi dire, parlantes, exprime toutes les pas»
sions, peint tous les tableaux, rend tous les objets,» soumet la nature entière à ses savantes imitations,» et porte ainsi jusqu’au coeur de l’Iiomme des sen»
timents propres à l’émouvoir. J.
J. Roussejv.
II prezzo dell’associazione alla Gazzetta calf^/nfologia
classica musicale è (liciteti. Ausi.!.. 12 per semestre,
ed eflctt. Aust. L.14 affrancala di porto lino ai confini della
Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione annuale.
— La spedizione dei pezzi di musica viene fatta
mensilmente c franca di porto ai diversi corrispondenti
dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto.
— Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio
della Gazzella in casa Ricordi. coni nula degli Omenoni
N.° 1720; all’estero presso i principali negoziami
di musica c presso gli Uffici postali. — l,c lettere, i gruppi,
cc. vorranno essere mandali franchi di porlo.
SOMMA lilO.
I. Schizzi Biografici. Vincenzo Bellini e le sue Opere.
- II. Critica Melodrammatica. I Lombardi alla prima
Crociata. - III. Notizie Musicali Italiane. Milano,
Napoli, ecc. - IV. Notizie Musicali Straniere. Parigi.
SCHIZZI BIOGRAFICI
VINCENZO BELLINI
it I I SEE OPERE
il N. 4 e 6 di questa Gazzetta.
ebbene il fortunato riuscimento,del Pirata potesse animare Belconfidare
nelle proprie
forze per ridiscendere sunito..dopo nell’arringo teatrale, nulladimeno,
nutrendo dell’arte quel nobile
concetto che ogni anima dilicata deve portare,
lasciò che la sua mente si riposasse
per qualche tempo, onde potesse nuovamente
cimentarsi forte di tutta la suagagliardìa.
Dal carnevale del -1827, non si
riprodusse quindi che verso la metà di
febbraio del 1829.
Alcuni tra gli oppositori, i quali non Lisciavano
intentala veruna occasione per
giungere, potendo, ad impiccolirne il merito,
non tardarono a dedurre da ciò una
specie di prova per asserire e predicare
in mille luoghi la sterilità e tardità del
suo ingegno. Mentre più d‘ uno dei maestri
d’allora, non dissimili da alcuni altri
degiorni nostri, stimavano il concepimento
di uno spartito un lavoro di si lieve momento
da potersi immaginare e compire in
due o tre settimane, non dimostrava egli
certamente eguale fecondità impiegando
circa un anno a scriverne uno solo. Ma i
veri conoscenti dell’arte, coloro che sanno
che le grandi opere destinate a vincere i
danni del tempo sono figlie de’ lunghi studii,
delle veglie e delle fatiche, trovarono
all’incontro che grandissima lode si meritava
per aver saputo in ciò appunto discoprire
ed evitare una delle cagioni che
più sensibilmente hanno pregiudicata la!
musica italiana.
Certo, non crediamo di errare asserendo
che il poco studio e la leggerezza che molti
de’maestri han posto nel comporre le opere
loro sono la causa principale del deterioramento
dell’arte. Dacché quella sterminata
fantasia di Rossini diede la maggior prova I
della potenza dell’umano intelletto, creando
in otto giorni, o poco più, il Barbiere di
Siviglia, tutti pensarono d’aver il suo genio
e di poter fare altrettanto, e le nuove
opere in musica fluivano dalla testa dei
compositori come le strofe anacreontiche
dalle labbra d’un poeta estemporaneo. Ma
i prodigi non sono dati a lutti; e neppure
il genio può sempre operare prodigi; perciò
i parti dell’estemporaneità manifestavano
in più d’un luogo la immaturità della
concezione. Per tal modo chi aveva la capacità
di formar sempre lavori di prima
bellezza ne fece appena de’ mediocri: chi
avrebbe potuto farne de’ mediocri nc fece
de’ cattivi, e l’arte fu defraudata di una
quantità d’ingegno che avria potuto illustrarla
tenendo un contrario sistema.
L’arte della musica è non men delle
altre più indipendente dalla fantasia di
quanto si crede; e forse anche nella musica
con mediocre talento e con molto studio
si può creare qualche cosa che avvicini
ed imiti il genio senza possederlo.
Del resto, siccome la mente dell’uomo
è, per avviso del Vico, simile ad un terreno
che riposato dà frutti nella perfezione,
nella copia e nella grandezza maravigliosi,
e li dà pochi, sciapiti e piccoli
se troppo viene affaticato colla incessante
coltivazione; chi, invece di comporre
quattro spartiti in un anno, ne componesse
uno solo, concedendo alla propria im maginativa
quella tregua eli’ è necessaria a
rinvigorirla e fecondarla, in luogo di quattro
creazioni destinate a vivere una vita
effìmera ed a passare nell’obblio delle mediocrità,
ne produrrebbe una sola, ma che
durerebbe oltre la sua morte onorando l’arte
e l’autore. Solo che gli artisti, mancando
indegnamente a quella parte luminosa a cui
la natura li aveva sortiti, non vogliano soffocare
il nobile istinto della gloria per secondare
quello solo materiale delle ricchezze.
In questo, disse con molta verità
uno scrittore francese, sta la maggior piaga
dell’arte moderna: sì, il più gran male, dice
egli, sta in quegli artisti... qui ont commencé
par faire de leur talent l’instrument
de leur réputation, et qui finissent
par faire de leur réputation Vinstrument
de leur fortune: dans ces artistes qui se
sont élevés pour se faire connaître, et qui
ont redescendu pour se vendre,■ dans ces
artistes qui ont trouvé un moyen davancement
dans le trafic de leur génie et
Texploitation deux-mêmes; qui pour être
quelque chose en face de leurs contemporains.
s’annihilent aux yeux de la postérité:
qui troquent leur génie immortel
contre quelques jouissances terrestres, et
lui font bégayer les stupidités de lafoule;
qui tendent à cette foule une main avilie,
tandis qu’ils ’
s’incliner devant
tandis qu’ils la forcent de l’autre à
icliner devant eux’, qui pour l’or de
cette foule qu’ils méprisen t, en viennent
sans dégoût au mépris d’eux mêmes.
Fortunatamente Bellini non fu di costoro;
e benché da uont giudizioso non
trascurasse di mescere l’utile al dolce procacciando
di ricavare dalle sue fatiche quel
maggior premio che parevagli di meritare
in confronto degli altri che faticavano assai
meno, pure il desiderio del guadagno
non fu mai quello che vinse in lui l’amore
dell’arte, e le opere sue, qualunque ne
fosse il risultamelito, erano sempre le migliori
delle produzioni che tutte le sue facoltà
unite potevano creare. Da questo veniva
la bella conseguenza ch’egli era quasi
sicuro di ciò che operava; e gl’intraprenditori
teatrali, che non son mai di quelli
che veggono il meglio ed alpeggior s’appigliano,
preferivano di dare a lui senza
genio quasi il doppio di quanto retribuivano
ai genj, perché, dicevano, siamo sicuri
che Bellini farà un’opera che piacerà.
Ecco la superiorità dei veri poeti
sui versificatori estemporanei: ecco il vantaggio
che hanno lo studio e la coltura
sul semplice talento naturale. Di questo
talento naturale, noi ci attristiamo nel
dirlo, ne fu sprecato all’età in cui viviamo
più di quello che si pensa; ed ora
come possiamo, andiam ribattendo questo
chiodo acciocché intendendoci i presenti
ed i passati abbia, se fia possibile,
a conseguirne che il mal uso non si perpetui
in eterno. Pur troppo è vero che il
cuore sanguina a veder l’arte trattata come
un’industria, come un oggetto di speculazione,
come una mercanzia, come una
derrata: cotesto dolore vorremmo almeno
che all’Italia fosse risparmiato in avvenire.
Da Straniera fu la seconda delle opere
che levò in fama Bellini. La scrisse come
il Pirata per le grandi scene della Scala
sopra nuovo libretto di Romani tratto dal
conosciuto romanzo di Arlincourt, dopo
avere per alcun tempo dimorato a Genova
ov’crasi recato a porre su quel teatro Carlo-Felice
la Bianca e Fernando, il che avvenne
nella primavera del -1828. Aneli’essa
fu accolta con entusiasmo: melanconico e
quasi fantastico n’era il soggetto. Un amore,
pressoché ideale, prosegue il signor Beitrame,
vestito di tutto il mistero in cui
s’avvolge una bella ed infelice regina, fuggitiva
e senza conforto, coloriva tutto lo
stile di questo dramma di tale una tinta
di dolcezza e di tristezza, che ogni anima
I [p. 32modifica]) più chiusa alla musica sentiva vivamente
| come egli avesse compresa la forza e la
ragion drammatica di quel soggetto. PaI
rea eli’ egli medesimo fosse inspirato da
una passione, ignota ai vulgari, simile a
quella di Arturo, che lo costringesse a sfogare
nelle melodie tutto il sentimento ineffabile
dell’anima sua. Ogni frase, ogni nota,
ogni accento, rivelava manifestamente che
un genio d’amore aveva presieduto a quella
creazione. Più patetiche, più sentimentali
inspirazioni non gli uscirono dalla mente
che per creare un altro capolavoro di sentimento,
la Sonnambula.
Siccome il secol nostro è il secolo dei
confronti e la più grande delle artisti moderne,
la Pasta, non ha potuto cantare
senz’essere confrontata alla Lalande, la Malibran
senz’essere confrontata alla Pasta,
cosi vi furon subitamente i begli spiriti che
posero in questione se il Pirata o la Straniera
fosse l’opera migliore. Yi fu perfino un
certo censore, il quale con animo assai diverso
e con ragionamenti tutti proprj, osò affermare
che, se poco era persuaso del primo,
meno lo era della seconda. Noi non diremo
s’egli avesse torto: il voto pubblico
ha già mostrato a scorno di quel censore
che Bellini voleva appunto essere lodato
per quelle ragioni eh ei lo riprendeva: direm
solamente che l’uno e l’altra hanno
pregi proprj, particolari che li distinguono:
l’uno maggiore originalità, l’altra condotta
ed arte migliore. Nell’uno fece il primo
passo che separò la scuola puramente lirica
dalla lirico-drammatica, portando con
sè del resto molto della scoria di quella
scuola, vai a dire ritenendo la solita forma
de’pezzi concertati, le solite grandi arie,
le solite ripetizioni: nell’altra, come più
ancora ne’ lavori susseguiti, venne modificando
e dissimulando di grado in grado
tutte queste cose che non avrebbero potuto
essere cangiate senza ferir troppo il
gusto pubblico, il quale d’ordinario non
supporla le innovazioni se non che insensibilmente
e quasi senz’avvedersene. Vi cantavano
la Lalande, Tamburini, Reina, la
Unger, e tutti furono degni interpreti
delle amorose fantasie dell’autore. Il signor
Fétis che dà quest’opera come rappresentata
nel 1828, e quindi un anno innanzi,
siccome fece del Pirata, non si dimentica
di far presente che la Lalande e Tamburini
contribuirono al suo buon esito:
noi non ritorneremo sopra discussioni già
fatte, e ci basterà in vece di ripetere con
lui che da questo punto Bellini fissò l’attenzione
generale dell’Italia; il perchè fu
egli tostamente richiesto ad esporre un suo
lavoro sul nuovo teatro di Parma nell’incontro
della sua apertura, e questo fu la
Zaira. Non mancava la nuova produzione
di contenere bellezze di prima specie che
assolutamente mostravano l’indole e l’energia
dell’ingegno del compositore; ma qual
se ne fosse la causa, che altri narra in un
modo, altri in un altro, essa naiifragò,
valendomi ancora delle parole dello stesso. autore, innanzi ad un pubblico amaramente
inclinato a sprezzarla. Chi afferma
che a Bellini avesse suscitato un
contrario partito la perseveranza eli’ egli
ebbe di non volersi dividere dal suo compagno
Romani contro il desiderio di molti
che in quella città amavano veder rappresentato
un dramma poetico d’un loro concittadino:
chi accusa altre mene, altre ostilità,
altre cerimonie di etichetta a cui Bellini
avrebbe mancato. Qualunque veramente
ne fosse il motivo, l’opera cadde, e pare
non senza~ragione, perciocché egli medesimo
conobbe che il complesso elei lavoro
non era degno di lui, perchè, noi alla nostra
volta soggiungiamo, non aveva avuto
nè tranquillità di mente, nè tempo sufficiente
ad elaborarlo. Bellini non era mente
da improvvisare, avea bisogno di studio
per rendere perfette le opere sue; egli
medesimo si conosceva ed egli medesimo
condannò quel suo parto all obblio riproducendo
poi nei Capuleti e nella Beatrice
tutti i brani di quella derelitta che erano
stati irradiati dalla luce del genio. I Capuleti
ed i ilionlecchi che successivamente
scrisse a Venezia per le scene della Fenice,
possono dirsi nati dalle spoglie della
Zaira.
La circostanza perchè apparve questo
componimento, dice il citalo biografo, merita
un’osservazione particolare. Trovavasi
Bellini a Venezia chiamatovi ad esporvi
colla propria direzione il Pirata, ed a meglio
adattarne la musica all’abilità ed alle
voci degli artisti. Il compositore a cui era
stata affidata la nuova opera solita a scriversi
ogni anno per quelle scene, occupato
altrove, rinunziò all’incarico dopo aver lasciato
trascorrere inoperosa quasi intera
la stagione. Il pubblico diritto e le leggi
del teatro esigevano il nuovo spartito: era
malagevole il rinvenire chi in tanta stretta
volesse assumersi un sì difficile impegno:
ne fu fatta proposta a Bellini; ma, considerate
le difficoltà ch’erano da superarsi,
si mostrò sulle prime renitente. Gli amici
di lui e gli estimatori del suo talento lo
sollecitarono con istanze vivissime acciocché
cogliesse quest’occasione per far palese
la propria valentia. Fra questi uno
de’più zelanti fu Giambattista rerucchini,
noto scrittore di graziosi musicali componimenti
di genere anacreontico. A tante
insistenti sollecitazioni non seppe resistere
e, riformando, come dicemmo, 1 tratti migliori
della Zaira, compose i Capuleti ed
i Montecchi sul vecchio dramma di Romani
la Giulietta e Romeo in alcune parti
per sua insinuazione emendato, allo scopo
di viemmeglio discostarsi da chi innanzi
aveva trattato quell’argomento.
Come suol avvenire in simili incontri
non pochi furon coloro che lo tacciarono
di temerità per essersi egli posto in competenza
con Zingarelli e Vaccaj che già
erano usciti da quella prova con onoranze
di tutta l’Italia. Ma non si lasciò per questo
intimidire; e veduto che i suoi antecessori
non avevan raccolti tutti gli allori
che in quel campo si potevano mietere,
perocché non era impossibile esporre i
casi degli infelici amanti in aspetto, se non
migliore, certo più diletto all animo e più
interessante di quello cli’essi avevano fatto,
lasciò che i suoi accusatori si sfogassero
in ragionamenti, e compì come meglio
seppe l’opera sua, la quale nella sera del 12
di marzo -1850 s’ebbe l’onore di un vero
trionfo.
Reduce a Milano, ove può dirsi avesse
fissa la sua dimora, contrasse l’impegno
di dare un nuovo spartito per la primavera
del 1831 al teatro Carcano, ove una
impresa di sempre bella memoria aveva
radunate le prime celebrità musicali dell’epoca, Giuditta Pasta, Rubini, Filippo
Galli, ed altri ancora. Bramoso di far tacere
l’invidia, la quale non sapendo alfine
come deprimerlo andava susurrando che
tutte le sue opere avevano una sola uniformità
di stile, un solo colore, elesse di
scrivere la Sonnambula, il più leggiadro
dei fiori sortiti dalla sua mente, e convinse
i più ostinati che il suo talento era ben
altro che d’un solo carattere. Non vogliam
dire quale immensa fortuna avesse quest’opera
qui dove tutti si ricordano l’entusiasmo
destato fin dal suo comparire.
Fu una delle prime gemme della sua corona,
ed un campo cìi nuove palme per
la Pasta, Rubini, la Taccani e Mariani che
ne sostennero le parti principali.
Si occupò nel successivo estate e nell’autunno
a scrivere la Norma pel teatro della
Scala ove cantarono la Pasta ancora, Giulietta
Crisi, Donzelli e Negrini; ed a qual’auge
portasse il nome di Bellini questo capolavoro
rappresentato la sera eli S. Stefano
del -1851 è scrivere una storia che tutti
sanno. È l’opera di tre ingegni distinti:
di Soumet che immaginò la tragedia: di
Romani che la ridusse in italiano: di Bellini
che la vestì di note maravigliose. Il
suo nome vivrà famoso colla Norma.
A perpetua ricordanza però di coloro
che presumono giudicare del valore di un
musicale poema da una sola prima rappresentazione,
la quale riescir dee quasi
sempre immatura e per l’interiore agitazione
da cui son presi gli spiriti e per
l’imperfetta concordia delle parti costituenti
l’insieme, crediamo di dover memorare
che l’esito di questo lavoro fu sì
poco avventurato nelle prime sere, che un
giornale di Milano credette poter profetare
che la nuova musica, anzicchè sopravvivere
alla sua nascita, avrebbe avuta la
fine dell’infelice druidessa. Niuna predizione
fu mai più fallevole di questa. - Bellini,
il cui discernimento non si smarriva
nè per lieta nè per sinistra fortuna, era
sì persuaso della sua creatura, che a chi
volea pur consolarlo della sorte infausta
toccatale rispondea che avrebbe aggradite
le condoglianze quando dopo alcune sere
il pubblico l’avesse deliberatamente condannata
a morte. Il maestro fu miglior profeta
del giornalista.
Non vogliam finire quest’articolo senza
fare al signor Fétis un’altra osservazione
per aver egli stampato a proposito
di quest’opera che il mirabile talento
drammatico di madama Malibran non ha
poco contì ibuito alla celebrità di cui gode
attualmente in Italia. È un nuovo errore
sfuggito alla penna del dotto scrittore, che
amiam rettificare per la stima che gli professiamo,
e per l’amore che portiamo alla
verità. Chi rese in Italia famosa la Norma
non fu la Malibran, ma bensì l’italiana
Giuditta Pasta, la quale si mostrò sì grande
sotto le lane della sacerdotessa d’Irminsul,
che tutta la bravura dell’attrice francese
non bastò ad eguagliarla. Il nome
della Pasta è così congiunto a quello della
Norma, che non si può ricordar l’uua
senza parlare gloriosamente dell’altra.
(Sarà continuato.) G. Vitali.
CRITICA KELODRAKKATICA
i jiOmmAsmi
ALIA PRIMA CROCIATA
Dramma lirico di Temistocle Soleili
posto in musica da Gilsei*i»e Verdi.
I.
Qualunque sia per essere il grado di merito
che il giudizio dell’avvenire assegne- f
rà a questo nuovo lavoro del maestro ( [p. 33modifica]) Verdi, il quale, per ciò che a noi sem|
bra, non potrà nescire che luminoso, lo, diciam francamente, fin da quest"’ora noi
J ci sentiamo fortemente inclinali ad encomiarlo,
prima perchè il crediamo frutto
degnissimo del valente intelletto che lo ha
creato, secondo perchè è opera, a cui insieme
al naturale ingegno han posto mano
lo studio, l’amor dell’arte e il desio di
ben fare.
Noi, lo dicemmo più d’una volta, siamo
grandemente amici dello studio. Lodare in
Italia l’istinto musicale è come vantare il
bello spirito in Francia, il genio della speculazione
in Inghilterra, la fermezza d’animo
in Ispagna: è come lodare i frutti indigeni
d’un suo paese, i quali d’ordinario
perdono del loro pregio perché tutti ne
posseggono alcuna quantità. Perciò siam
di preferenza inclinati ad onorare sovra il
talento lo studio, siccome prerogativa che
ne’compositori italiani con minor frequenza
si rinviene, e perchè in esso veramente
sta il merito della lode, poiché i prodotti
suoi non possono acquistarsi senza grave
e penosa fatica, quando l’altro non è che
un dono della natura.
E vero che il voto clamorosissimo manifestamente
spiegato dal pubblico alla prima
rappresentazione fu alquanto più favorevole
di quello che taluni degli intenditori
accorsi all’ultima prova avevano con
qualche riserbo professato; ed è altresì
vero che un incontro sì raro, sì straordinario,
sì universale in un tempo che, schiettamente
parlando, ancora non eransi potute
ben comprendere le bellezze del lavoro,
le quali per loro natura dovean essere
riposte, siccome figlie di accurata elaborazione,
vuol riguardarsi dal savio_giudizio
umano non solo come l’effetto dell’intrinseco
suo valore, ma come una conseguenza
di una particolare predilezione
del pubblico verso il bravo compositore.
Una tale predilezione il maestro Verdi se
l’é acquistata così co’ suoi artistici talenti
che l’han reso uno de" più distinti sostenitori
del nome musicale italiano, come per
le morali qualità, per l’ingenua modestia
di cui è dotato e lo rende alieno da qualunque
maneggio, da qualunque briga di
ciarlataneria, clic sì di sovente vengono ad
usurpare il premio riserbalo al vero merito.
Tutto intento alla coltura dell’arte 011d’ella
abbia a procedere per la via dell’incremento
a quel grado di elevatezza a cui
è predestinata, non vede nel inondo che
una famiglia d’innocenti, scevra d’invidia e
di male passioni; nè pensa che sia mestieri
di mezzi artificiosi per far risplendere
l’ingegno: perciò egli non ha contrarj
che coloro che lo invidiano.
Separata del resto l’opera sua da tutte
queste favorevoli condizioni, che senza dubbio
debbono aver giovato al suo "apparire,
e ridotta alla semplice nudità del vero,
noi crediam d’avere argomenti non dubbj
fier asserire che rimarrà pur sempre un
avoro il quale vieppiù alzerà in fama l’autore,
e sarà non degenere fratello del Nabucco.
le cui maestose e grate armonie han
per sì lungo tempo dilettato il pubblico
milanese.
Come più o meno avea già fatto nei
suoi parti anteriori, anche in questo spartito,
abbandonando quel, leggero carattere
che ha pregiudicato per tanti anni la mu5
sica italiana, ha con saggio accorgimento? accoppiata la grandezza delle armonie alla
1 fluidità e naturalezza delle melodie: ab|
bandonando il falso gusto degli ornati e
delle fioriture,non rivolse l’arte che a significare
ed esprimere la drammatica verità:
lasciando le complicazioni dei mezzi
materiali, ebbe fermamente di mira di ricondurre
il canto alla sua nativa semplicità,
alla seducente purezza del linguaggio
musicale, nella qual cosa egli adopera
una peregrina suppellettile di scienza ed
una bella e fertile immaginazione, mercè
le quali, mentre alletta, commove e sorprende,
soddisfa nello stesso tempo ed appaga
le pretensioni della scienza. Dimostrandosi
compreso delle esigenze del gusto
pubblico e del naturale progredimento
dell’arte che d’epoca in epoca porta con
seco forme di circostanza e tinte di convenzione,
armato di quell’energia che cammina
sopra gli ostacoli e divien più gagliarda,
anziché affievolirsi, qualora gl’incontra, sì bene fa rivivere e sposa l’antica
semplicità dei modi al moderno raffinamento
che il suo metodo può dirsi, se
non il migliore, certo uno de più meritevoli
di lode. La sua musica è piena del
carattere del soggetto:, pieghevole e svariata
secondo le varie modificazioni delle
parti; chiara nei dettagli come nell’insieme;
logica nelle degradazioni; filosofica e fina
nelle intenzioni; a tempo lieta, a tempo
melanconica, a tempo soave, a tempo terribile;
a tempo focosa, a tempo pacata,
sempre dignitosa, sempre energica, sempre
nobile, sempre saggia. Può dirsi un composto
talora delle splendide idee di Rossini,
talora delle drammatiche di Bellini,
senza possedere per altro la vena originale
dell’uno, e senza il colore esimiamente
espressivo dell’altro. È una similitudine
di quella di Mercadante: anzi di
Mercadante, se non erriamo, ne sembra
che tragga gran parte del carattere, senza
averne la soverchia artificiosità, e senza la
prolissità che sovente lo raffredda.
Ma del suo modo di comporre e del
suo stile fu già abbastanza ragionato in
queste colonne dalla penna d’un nostro
collaboratore al tempo che sortì in
luce il Nabucco. A ciò che fu allora stampato
non sapremmo ora che aggiungere se
non che ripetendo le stesse cose. Perciò
ci faremo piuttosto a dare un’idea dell’opera
onde il lettore n’abbia qualche contezza, proponendoci di fare quelle piccole
osservazioni che ci parvero conformi
ad una sana estetica e puramente dettate
dall’amore dell’arte.
L’opera incomincia con poche battute
d’orchestra eseguite a tela calata. L’oramissione
della sinfonia diede ad alcuno
motivo di lamento, perchè il maestro Verdi
ci aveva dolcemente allettati con quella
che pose innanzi al Nabucco. A noi pare
all’incontro che abbia operato con senno,
perchè lo spartito, già costituito di quattro
parti, e lungo piuttosto che no, sarebbe
riescilo più prolisso ancora. Stimiamo che
la sobrietà nelle arti che scuotono i sensi
sia una virtù da non preterirsi. È una
verità conosciuta che quando l’anima è
stanca; anche le belle cose perdono del loro
prestigio.
L’azione è in Milano sulla piazza di
S. Ambrogio. S’ode nel tempio una musica
festiva, della quale un coro di donne
vien chiedendo il motivo ad un coro di
cittadini. Questi narrano che Pagano, figlio
di Folco, signore di Rò, è ritornato di
Terra Santa per riconciliarsi col fratello
Arvino, di cui molt’anni innanzi avea attentato
alla vita per essere egli stato lo
sposo preferit o di Vicliuda, della quale ambiva
la mano. Escono dal tempio Pagano, Ai- |
vino. Viciinda, Giselda, loro figlia, Pirro, |
scudiero d1 Arvino; e Pagano (Derivis) si <
prostra sul terreno per chiedere perdono C
del suo delitto. Mentre i fratelli si baciano
in segno di pace, Arvino è soprassalito da
un tremito. Giselda (la Frezzolini-Poggi) e
Viciinda gliene chiedon la cagione. Pagano
e Pirro se l’intendono ira loro; e
qui la Frezzolini intuona un pezzo concertato
in tono di si bemolle, di grande e
maraviglioso effetto, segnatamente quando
pronuncia quel verso:
Di gioja immensa ho pieno il core:
sul quale la melodia abbandonando il primo
andamento s’apre e s’allarga in una frase
cosi soave, che dipinge stupendamente tutto
il gaudio di un’anima al colmo della gioia.
L’effetto poi è accresciuto ancora più dal
contrapposto di alcune note basse die Pagano
vien dopo susurrando a Pirro dicendo;
Pirro, intendesti I - Cielo non ila
Che ii associai dal mio furore I
è questo un tratto bellissimo.
1 fratelli mostratisi nondimeno pacificati,
e propongonsi di volare serrati siccome
leoni, - Sugli empi vessilli - che il del
maledii A questo punto cantasi un tutti
in tuono di re maggiore, allegro mosso,
pieno d’energia, pieno di vita, robusto,
drammatico, che termina mirabilmente l’introduzione.
La scena si sgombra; e s’ode dall’interno
un coro di claifstrali a voci bianche
interpolato con suono di strumenti che
egregiamente imitano l’organo, il quale
ha tutlo il carattere religioso e termina
insensibilmente in una cadenza piana,
piena di verità. Questo coro piacque moltissimo,
ancorché la prima sera fosse poco
concordemente eseguito.
Ritornano quindi Pagano e Pirro che si
concertano sul modo d’assalire Arvino; ed
ha luogo un’aria con recitativo cantata dal
Derivis. Gl’intelligenti riconobbero anche
questo pezzo di bella fattura, e di sera in
sera venne sempreppiù in grazia del pubblico.
L’andante, sebbene a taluno potesse
sembrare alquanto basso per le migliori
corde del cantante, ne sembra migliore
dell allegro perchè favorito e sostenuto da
un leggiadro accompagnamento strumentale.
Tra l’uno e l’altro tempo cantasi un
coro di sgherri, in tono di la, piuttosto affrettalo
che è di buona tempra, quantunque
non del tutto originale.
La scena si cangia, e rappresenta una
galleria nel palazzo di Folco illuminata da
una lampada. Giselda e Viciinda, temendo
un tradimento da Pagano, fan voto di recarsi
a piè nudi al santo sepolcro se il
cielo preserva Arvino dalle insidie del fratello.
Pregano quindi genuflesse amendue
e Giselda’ intuona la preghiera della Vergine.
È un lavoro pieno di bellezze strumentali
perchè le frasi lente del canto sono
accompagnate da suoni di clarinetto e di
flauto alla maniera d’arpeggio gradevolissimi.
Ma la melodia che è un andante mosso
in re minore e termina in maggiore è d un
filo troppo involuto e diffuso perchè si
possa comprendere da un orecchio che sia
poco educato all’arte; perciò più d’uno al
primo udirla non 1" intende. Verso la fine
poi le note non pigerebbero perfettamente {
il carattere delle parole. Con tutto ciò *
piace pel merito dell’invenzione, e per f
l’abilità con che è cantata dalla Frezzolini. ( [p. 34modifica]Le donne si ritirano nelle loro camere;
J sorvengono Pagano e Pirro ed il primo. jntra nelle stanze d’Arvino. Indi a poco
| vedesi un chiaror di fiamme; Giselda ripassa
precipitosa la scena; e Pagano vien
traendo Viciinda con in mano un pugnale
insanguinato. Sopraggiungono ben presto
Arvino, Giselda, Pirro, armigeri e servi
con torcie: e Pagano, che si pensava aver
trafitto il fratello, vedendolo presente, grida:
Pur di sangue è intriso il ferro!...
Ch ’il versava?
Il padre!...
esclamano Viciinda e Giselda. - Il canto
che segue sulle parole Mostro d’averno
orribile, che è drammatico per eccellenza,
è veramente la pittura dell’orrore che inspirar
deve un parricidio. Il maestro Verdi
ha qui spiegato molto sentimento estetico,
e molta conoscenza d’arte. - Tulli sono
inorriditi. Arvino vorrebbe vendicare l’eccidio
del padre trucidando l’empio Pagano,
ma Giselda ne lo trattiene. Pagano
allora vuol trafiggersi da sé; ma ei pure
è trattenuto dagli armigeri. Irrompono allora
tutti in un’imprecazione, e termina
l’atto primo. Anche quest’ultimo tempo
che è un prestissimo in do minore, il
quale dopo alcune note armoniche ritardate
passa in maggiore, è assai bene immaginato;
ma riescirebbe forse meglio e
più sentito se il motivo, che da principio
giustamente è preso molto animato, non
venisse poi allentandosi e perdendo del
suo foco senza che dal carattere della poesia
ne appaia la cagione.*Malgrado tutto, l’atto
come incomincia termina con bell’effetto
drammatico e con grandi applausi dell’uditorio.
(Sarà continuato) G. Vitali
NOTIZIE MUSICALI ITALIANE
— Milano. Al Diavolo condannalo a prendtr moglie
{li abituati del teatro Ite giustamente hanno imposto di
ritornar a’ regni buj di un perpetuo obblìo. Simili
guazzabugli bulTo-drammatici ora mai non ponno più
tollerarsi. La musica è la più infelice che qui siasi udita
di Luigi Ricci, il quale di alcuni brani del suo Diavolo
aveva giù ornato la Chiara di Rosembera.
— Nuove pubblicazioni - Il successo delle tanto appassionate
c profonde Melodie di Schubcrt, alle
le quali
i tributare qualche omaggio di
ammirazione da’ ben veggenti in musica, al di là delle
a cominciasi a
Alpi hanno fatto scoprire a Liszl un nuovo genere di
trascrizioni per pianoforte che non tardò ad esser praticato
da molli lodati scrittori. Fra questi si distinsero
in ispecie WolIT, Heller e più recentemente Czerny, il
compositore lo cui facili braccia sembrano voler stendersi
sopra tutto l’emisfero pianistico. Quest’ultimo
nelle sue riduzioni pervenne quasi all’imponenza di
quelle del despota del pianoforte, c con rara intelligenza
seppe ben anco far in modo ch’esse riuscissero alla portata
della maggioranza degli cspcrimcntati suonatori, conservando
ncll’istcsso tempo intatta l’integrità delle cantilene
c degli accompagnamenti originali. Fra le otto
Melodie trascritte da Czerny teste edite presso Ricordi,
non ne trovasi alcuna di quelle già qui pubblicate
da Liszt, perciò questa nuova raccolta può ser,..-.ciò qui
viro di completamento alle già esistenti. In
il Pesciolino, il Desiderio di viaggiai
Panciullo cieco, il Normanno, il Cacci:
igiars, il Tartaro, il
di sì energico concepimento, il Lamento del Pastore,
c la Serenata del Cacciatore, degno riscontro dell’altra
generalmente conosciuta.
— Napoli. Il pianista Golinclli diede il primo suo concerto
nella gran sala del Conservatorio, al quale concorsero
numerosi spettatori quand’anche il viglietlo d’ingresso
importasse un ducalo. I ragguagli in appresso.
— Il Ministro annui alla proposta de membri dell’Accademia delle Belle Arti d’innalzare nel sepolcreto
della città nostra un monumento al celebre compositore
di musica Nicola Zingarelli. L’esecuzione del
lavoro venne affidala al giovane scultore GiustinoLconi.
— Roma. Ad onta di una vacillante esecuzione i sommi
pregi del Nabucco, il capolavoro del maestro Verdi, vennero
fra noi assai apprezzati. Balzar si meritò i maggiori
applausi.
I — Bologna. Ottocento fanciulli in questa Cattedrale
I in una delle passate feste eseguirono all’unisono la più
1 severa musica a canto fermo, indi due sublimi pezzi,
j l’uno di Marcello c l’altro di Palcstrina, producendovi
una profonda sensazione.
I — Nella prossima quaresima nell’aula di questo Liceo
musicale si daranno cinque Accademie Vocali ed
Istrumentali, le quali verranno eseguile sotto gli auspicj
di Rossini. L’ultimo di que’ trattenimenti sarà a
benefizio della cassa de’Filarmonici impotenti, istituita
per le cure dello stesso gran maestro.
— Il chiarissimo professore Baruzzi venne scelto
per eseguire il grandioso monumento clic leste l’illustrissimo
Consiglio Comunale ha decretato doversi erigere
a Rossini. S’inoltrò pure preghiera all’illustre Giordani
onde volesse onorare il detto monumento di qualche
sua inscrizione. (Da lettera)
— Firenze. Freyschillz, il capolavoro della scuola
drammatica alemanna, la romantica creazione musicale
di Weber con tutti i fantastici suoi accessori apparve
al.Teatro alla Pergola, e se in pieno recò più sorpresa
che piacere, in alcuni pezzi però non mancò di riuscire
acclamatissimo e di persuadere che il vero bello trova
ammiratori in qualunque paese. Il brillante concorso al
Freyschillz serva a far dimenticare al lussureggiante
Lanari la cattiva riuscita della Regina di Cipro, e ad
avvertirlo che per voler trapiantar con successo opere
straniere sopra teatri italiani e indispensabile scegliere
i pochi spartiti di un merito superiore al gracchiar de’
critici o degli incontentabili. Questo Frcyschutz (il Bersagliere)
ed il Roberto |ii Diavolo ponno convalidare
l’opinione nostra, per non dire dell’insuperalo Guglielmo
Teli e dell’imponente Mosi nuovo.
— Tacchinardi, il famoso tenore, quasi al quattordicesimo
suo lustro volle animoso ritentare le sorti teatrali.
I due Prigionieri di Pucitla servirono di nuovo
agone a lui che consacrò l’intera sua vita alla bcll’arlc.
— Il pianista Angeli allievo del maestro Camploy, zelante
direttore dell’Istituto musicale di Venezia, e che a
Vienna perfezionò la sua educazione, si è fatto udire al
privato teatro Standisch e venne assai encomiato.
— Il Dies irae dell’egregio Giorgctli, la cui pubblicazione
da tutti i filarmonici con impazienza altcndevasi,
vide or ora la luce presso l’editore Lorenzi.
— Novara. L’Osservatore teatrale, nuovo foglio che
ogni venerdì pubblicasi a Torino riferisce quanto segue:
Nel giorno 29 dell’ora scorso gcnnajo, le volte del magnifico
tempio di S. Gaudenzio echeggiarono delle armonie
del maestro Nicolò Vaccaj. La musica in generale
piacque assaissimo ed in ogni pezzo eminentemente si
ammirò il carattere religioso; se non clic dcsidcrossi
maggior brevità e chiaro-scuro. Fra i pezzi migliori si
annoverò il duetto a due tenori Laudamus nel Gloria,
il finale del medesimo a fuga, come pure il finale del
Credo. Di grandissimo etfello riuscì il versetto Judicabil
nel Dixit, ed aggraditi furono il mottetto ed il
Tantum ergo eseguito dal valente Dovila; ecc.
NOTIZIE MUSICALI STRANIERE
— Al Teatro dell’Opéra-Comique a Parigi fu rappresentalo
un nuovo melodramma iu un atto con parole di
M. Planard, musicate da Ernesto Boulangcr, intitolato
Les Deux Bèrgeres. La breve composizione che ha un
nodo facile, chiaro, uno stile naturale e senza pretese,
è piaciuta ed ebbe assai buon esito, malgrado la sua
simiglianza colla bella commedia di madama di Bawr:
La suite d’un bai masqué. il giovine compositore lascia
pur desiderare un po’ più di freschezza e novità
nelle sue idee, vale adire nelle melodie; e qualche canto
inspiralo gioverebbe non poco a’ suoi lavori il cui fare
del resto è grazioso e facile: la sua islromcntazionc è
elegante e non ricopre il canto.
Pare che anche gli oltremontani si vadano persuadendo
clie quando trattasi di musica scenica il canto’dcvc essere
la parte principale predominante. E innegàbile clic
la grandezza e la ricchezza delle armonie sono cose pregevolissime; ma non bisogna dimenticare clic l’armonia
vive il più delle volte a danno della melodia. Fatalmente
si direbbe clic queste due sorelle sian gelose Luna dell’altra
perchè non permettono ai loro ammiratori di dividere
le loro affezioni. Chi coltiva l una volge le spalle
all’altra. Da questa intolleranza di culto nacquero le
prime due scuole musicali I italiana e la tedesca. L’una
tenne l’ispirazione eia melodia, l’altra la scienza, ossia
l’armonia. L’arte della musica salirà alla sua gran
meta quando l’una e l’altra saran confuse in un solo
elemento, in un solo individuo, siccome l’anima e il
— La Franco musicale contiene un lungo articolo
sul genovese violinista Camillo Sivori. Dicendo clic la
scuola di violino francese, sì florida ai tempi di Rodes,
di Krcutzer, di Lafont, di Baillot, vide cader sino all’ultimo
i nobili sostenitori del suo antico splendore,
come que’ gloriosi veterani dell’impero, che la morte
viene ogni di a colpire ad uno ad uno; per cui l’archetto
reale è ora vedovo d’un braccio abbastanza valente
per sostenerne il peso: accennando che la scuola
belgica condotta da Bériot, sostenuta da Vicuxtemps,
Aridi, Hauinan, prescntavasi nell’aringo sotto i vessilli
di formidabili campioni in guisa clic la vittoria pareva
volersi posare sul campo fiammingo, ecco, dice
ella, un figlio della madre patria de’ violini, un successore
dei Gorelli, dei Pagnani, de’ Viotti, de’ Paganini,
il quale con una subita apparizione si inette incontro
ai vincitori per valorosamente disputar loro il trofeo
della pugna.
Questo fortunato trionfatore è Camillo Sivori, giovane
iugegno, d’origine genovese. Riferendo com’egli, simile i
a tutti i talenti straordmarj, mostrò le sue fortunate di-!
sposizioni nell’età più teucra, cosicché fin da’ quattro ]
anni la passione del violino era in lui fortissima, rac- ■
conta come Paganini, uditolo nell’età di sei anni, lo
prese in tale affetto che con una premura e pazienza
ammirabili, incominciò ad insegnargli i principi della |
musica. La sua protezione lo accompagnò in tutta la j
sua carriera e pare, dice lo scrittore francese, ctie ab- I
hia sopravvissuto al nulla della tomba, perchè quando I
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lo si sente eseguire il Carnevale di Venezia, e la preghiera
del Mosi e tutti que’ passi fantastici che presero
vita sotto l’archetto magico di Paganini, si crederebbe
veder l’ombra del gran maestro aleggiar sul
capo del giovane artista, ed infondergli le inspirazioni
del suo genio originale.
Si fece udire in un’adunanza a! Conservatorio di
Parigi, ed ancorché niun grido giornalistico avesse annunzialo
al pubblico il nuovo suonatore, ancorché un
silenzio glaciale accogliesse il suo apparire, bastarono
otto battute perchè un mormorio di stupore e di piacere
circolasse per tutte le parli dell’uditorio: terminò
col destare un entusiasmo che il giornale dice indescrivibile.
Darà quanto prima un concerto che si ritiene gli
porterà profitto e celebrità.
— Si racconta, cosi il ridetto giornale, clic i resti di
Paganini non furono ancora inumati in luogo sacro per
opposizione del Vescovo di Nizza. Essendo perciò stata
promossa una causa innanzi alla Corte di -Roma per
opera dei compatriotti del gran suonalor di violino, in
attesa d una decisione, il corpo del defunto riposa sopra
un letto pomposo in una casa clic fu destinata a ricovrarlo.
Fu imbalsamato in modo clic si possa attenderò
la fine del processo.
— Arrivato a Vienna Donizetti, fu benignamente ricevuto
dalie LL. MM. l’Imperatore e l’Imperatrice, clic con
effusione lo complimentarono della buona riescila che il
Don Pasquale ebbe a Parigi. L’opera sarà posta iu
isccna a Vienna sotto la direzione dell’autore, e verrà
pure rappresentato un nuovo melodramma in Ire atti,
clic egli ha nuovamente posto in musica per il teatro
di quella capitale.
-- Al teatro di Iìriissellcs fu cantato, ridotto in francese,
il Belisario dello slcsso maestro, e v’ebbe una fortuna
segnalata. Lo si sta preparando a Lione ed i giornali
ne preconizzano in Francia tutta quella fortuna che
lo spartito ebbe tra noi ed in Germania. Pare che la
questione del vero primato delle scuole musicali si vada
a poco a poco per sè stessa risolvendo col suffragio del
gusto universale.
— Nella Chiesa di S. Euslacchio, a Parigi, dice lo
stesso foglio, si sta costruendo un grand’organo sopra
siffatte proporzioni clic al suo compimento ricscirà il più
grande strumento che esista in Europa. Conterrà sei
tastiere complete, setlant’otto registri e circa seimila
canne. Avrà dieiotlo giuochi solamente per le due tastiere
dei pedali. De’soffiatori di nuovo metodo, l’applicazione
del celebre meccanismo diBackcr e parecchi
altri perfezionamenti finiranno di rendere quest’organo
una delle meraviglie della capitale.
— Il il di gcnnajo ora scorso, sempre lo stesso foglio,
il (catro di Montpellier fu illuminato a spirito di
vino. Le lampade, continuarono a dare una luce chiarissima,
senza odore nè fumo. Se il governo favorisse una
tale invenzione, essa non potrebbe ricscir che vantag