) più chiusa alla musica sentiva vivamente
| come egli avesse compresa la forza e la
ragion drammatica di quel soggetto. PaI
rea eli’ egli medesimo fosse inspirato da
una passione, ignota ai vulgari, simile a
quella di Arturo, che lo costringesse a sfogare
nelle melodie tutto il sentimento ineffabile
dell’anima sua. Ogni frase, ogni nota,
ogni accento, rivelava manifestamente che
un genio d’amore aveva presieduto a quella
creazione. Più patetiche, più sentimentali
inspirazioni non gli uscirono dalla mente
che per creare un altro capolavoro di sentimento,
la Sonnambula.
Siccome il secol nostro è il secolo dei
confronti e la più grande delle artisti moderne,
la Pasta, non ha potuto cantare
senz’essere confrontata alla Lalande, la Malibran
senz’essere confrontata alla Pasta,
cosi vi furon subitamente i begli spiriti che
posero in questione se il Pirata o la Straniera
fosse l’opera migliore. Yi fu perfino un
certo censore, il quale con animo assai diverso
e con ragionamenti tutti proprj, osò affermare
che, se poco era persuaso del primo,
meno lo era della seconda. Noi non diremo
s’egli avesse torto: il voto pubblico
ha già mostrato a scorno di quel censore
che Bellini voleva appunto essere lodato
per quelle ragioni eh ei lo riprendeva: direm
solamente che l’uno e l’altra hanno
pregi proprj, particolari che li distinguono:
l’uno maggiore originalità, l’altra condotta
ed arte migliore. Nell’uno fece il primo
passo che separò la scuola puramente lirica
dalla lirico-drammatica, portando con
sè del resto molto della scoria di quella
scuola, vai a dire ritenendo la solita forma
de’pezzi concertati, le solite grandi arie,
le solite ripetizioni: nell’altra, come più
ancora ne’ lavori susseguiti, venne modificando
e dissimulando di grado in grado
tutte queste cose che non avrebbero potuto
essere cangiate senza ferir troppo il
gusto pubblico, il quale d’ordinario non
supporla le innovazioni se non che insensibilmente
e quasi senz’avvedersene. Vi cantavano
la Lalande, Tamburini, Reina, la
Unger, e tutti furono degni interpreti
delle amorose fantasie dell’autore. Il signor
Fétis che dà quest’opera come rappresentata
nel 1828, e quindi un anno innanzi,
siccome fece del Pirata, non si dimentica
di far presente che la Lalande e Tamburini
contribuirono al suo buon esito:
noi non ritorneremo sopra discussioni già
fatte, e ci basterà in vece di ripetere con
lui che da questo punto Bellini fissò l’attenzione
generale dell’Italia; il perchè fu
egli tostamente richiesto ad esporre un suo
lavoro sul nuovo teatro di Parma nell’incontro
della sua apertura, e questo fu la
Zaira. Non mancava la nuova produzione
di contenere bellezze di prima specie che
assolutamente mostravano l’indole e l’energia
dell’ingegno del compositore; ma qual
se ne fosse la causa, che altri narra in un
modo, altri in un altro, essa naiifragò,
valendomi ancora delle parole dello stesso. autore, innanzi ad un pubblico amaramente
inclinato a sprezzarla. Chi afferma
che a Bellini avesse suscitato un
contrario partito la perseveranza eli’ egli
ebbe di non volersi dividere dal suo compagno
Romani contro il desiderio di molti
che in quella città amavano veder rappresentato
un dramma poetico d’un loro concittadino:
chi accusa altre mene, altre ostilità,
altre cerimonie di etichetta a cui Bellini
avrebbe mancato. Qualunque veramente
ne fosse il motivo, l’opera cadde, e pare
non senza~ragione, perciocché egli medesimo
conobbe che il complesso elei lavoro
non era degno di lui, perchè, noi alla nostra
volta soggiungiamo, non aveva avuto
nè tranquillità di mente, nè tempo sufficiente
ad elaborarlo. Bellini non era mente
da improvvisare, avea bisogno di studio
per rendere perfette le opere sue; egli
medesimo si conosceva ed egli medesimo
condannò quel suo parto all obblio riproducendo
poi nei Capuleti e nella Beatrice
tutti i brani di quella derelitta che erano
stati irradiati dalla luce del genio. I Capuleti
ed i ilionlecchi che successivamente
scrisse a Venezia per le scene della Fenice,
possono dirsi nati dalle spoglie della
Zaira.
La circostanza perchè apparve questo
componimento, dice il citalo biografo, merita
un’osservazione particolare. Trovavasi
Bellini a Venezia chiamatovi ad esporvi
colla propria direzione il Pirata, ed a meglio
adattarne la musica all’abilità ed alle
voci degli artisti. Il compositore a cui era
stata affidata la nuova opera solita a scriversi
ogni anno per quelle scene, occupato
altrove, rinunziò all’incarico dopo aver lasciato
trascorrere inoperosa quasi intera
la stagione. Il pubblico diritto e le leggi
del teatro esigevano il nuovo spartito: era
malagevole il rinvenire chi in tanta stretta
volesse assumersi un sì difficile impegno:
ne fu fatta proposta a Bellini; ma, considerate
le difficoltà ch’erano da superarsi,
si mostrò sulle prime renitente. Gli amici
di lui e gli estimatori del suo talento lo
sollecitarono con istanze vivissime acciocché
cogliesse quest’occasione per far palese
la propria valentia. Fra questi uno
de’più zelanti fu Giambattista rerucchini,
noto scrittore di graziosi musicali componimenti
di genere anacreontico. A tante
insistenti sollecitazioni non seppe resistere
e, riformando, come dicemmo, 1 tratti migliori
della Zaira, compose i Capuleti ed
i Montecchi sul vecchio dramma di Romani
la Giulietta e Romeo in alcune parti
per sua insinuazione emendato, allo scopo
di viemmeglio discostarsi da chi innanzi
aveva trattato quell’argomento.
Come suol avvenire in simili incontri
non pochi furon coloro che lo tacciarono
di temerità per essersi egli posto in competenza
con Zingarelli e Vaccaj che già
erano usciti da quella prova con onoranze
di tutta l’Italia. Ma non si lasciò per questo
intimidire; e veduto che i suoi antecessori
non avevan raccolti tutti gli allori
che in quel campo si potevano mietere,
perocché non era impossibile esporre i
casi degli infelici amanti in aspetto, se non
migliore, certo più diletto all animo e più
interessante di quello cli’essi avevano fatto,
lasciò che i suoi accusatori si sfogassero
in ragionamenti, e compì come meglio
seppe l’opera sua, la quale nella sera del 12
di marzo -1850 s’ebbe l’onore di un vero
trionfo.
Reduce a Milano, ove può dirsi avesse
fissa la sua dimora, contrasse l’impegno
di dare un nuovo spartito per la primavera
del 1831 al teatro Carcano, ove una
impresa di sempre bella memoria aveva
radunate le prime celebrità musicali dell’epoca, Giuditta Pasta, Rubini, Filippo
Galli, ed altri ancora. Bramoso di far tacere
l’invidia, la quale non sapendo alfine
come deprimerlo andava susurrando che
tutte le sue opere avevano una sola uniformità
di stile, un solo colore, elesse di
scrivere la Sonnambula, il più leggiadro
dei fiori sortiti dalla sua mente, e convinse
i più ostinati che il suo talento era ben
altro che d’un solo carattere. Non vogliam
dire quale immensa fortuna avesse quest’opera
qui dove tutti si ricordano l’entusiasmo
destato fin dal suo comparire.
Fu una delle prime gemme della sua corona,
ed un campo cìi nuove palme per
la Pasta, Rubini, la Taccani e Mariani che
ne sostennero le parti principali.
Si occupò nel successivo estate e nell’autunno
a scrivere la Norma pel teatro della
Scala ove cantarono la Pasta ancora, Giulietta
Crisi, Donzelli e Negrini; ed a qual’auge
portasse il nome di Bellini questo capolavoro
rappresentato la sera eli S. Stefano
del -1851 è scrivere una storia che tutti
sanno. È l’opera di tre ingegni distinti:
di Soumet che immaginò la tragedia: di
Romani che la ridusse in italiano: di Bellini
che la vestì di note maravigliose. Il
suo nome vivrà famoso colla Norma.
A perpetua ricordanza però di coloro
che presumono giudicare del valore di un
musicale poema da una sola prima rappresentazione,
la quale riescir dee quasi
sempre immatura e per l’interiore agitazione
da cui son presi gli spiriti e per
l’imperfetta concordia delle parti costituenti
l’insieme, crediamo di dover memorare
che l’esito di questo lavoro fu sì
poco avventurato nelle prime sere, che un
giornale di Milano credette poter profetare
che la nuova musica, anzicchè sopravvivere
alla sua nascita, avrebbe avuta la
fine dell’infelice druidessa. Niuna predizione
fu mai più fallevole di questa. - Bellini,
il cui discernimento non si smarriva
nè per lieta nè per sinistra fortuna, era
sì persuaso della sua creatura, che a chi
volea pur consolarlo della sorte infausta
toccatale rispondea che avrebbe aggradite
le condoglianze quando dopo alcune sere
il pubblico l’avesse deliberatamente condannata
a morte. Il maestro fu miglior profeta
del giornalista.
Non vogliam finire quest’articolo senza
fare al signor Fétis un’altra osservazione
per aver egli stampato a proposito
di quest’opera che il mirabile talento
drammatico di madama Malibran non ha
poco contì ibuito alla celebrità di cui gode
attualmente in Italia. È un nuovo errore
sfuggito alla penna del dotto scrittore, che
amiam rettificare per la stima che gli professiamo,
e per l’amore che portiamo alla
verità. Chi rese in Italia famosa la Norma
non fu la Malibran, ma bensì l’italiana
Giuditta Pasta, la quale si mostrò sì grande
sotto le lane della sacerdotessa d’Irminsul,
che tutta la bravura dell’attrice francese
non bastò ad eguagliarla. Il nome
della Pasta è così congiunto a quello della
Norma, che non si può ricordar l’uua
senza parlare gloriosamente dell’altra.
(Sarà continuato.) G. Vitali.
CRITICA KELODRAKKATICA
i jiOmmAsmi
ALIA PRIMA CROCIATA
Dramma lirico di Temistocle Soleili
posto in musica da Gilsei*i»e Verdi.
I.
Qualunque sia per essere il grado di merito
che il giudizio dell’avvenire assegne- f
rà a questo nuovo lavoro del maestro (