Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 41

N. 41 - 8 ottobre 1843

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[p. 173 modifica]- -173 GAZZETTA MUSICALE ANNO II. domenica N. 41. 8 Ottobre 4 845. Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica c moderna, destinati a comporre un volume in 4." di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà AnDI MILANO • La musique, par des inflexions vives. • pour ainsi dire, parlantes, c.vprim. ‘ sions, peint tous les tableaux, rend tes les pas: les objets, IU nui lire ennerea ses savantes imitations, ainsi jusqu’au coeur de l’homme des senpropres à l’émouvoir. • J. J. Koussejv. Il prezzo dell’associazione alla Gazzetta c nVdittologia classica musicale è di ctTett. Ausi. I,. 12 per semestre, ed elici!. Ausi. L.t4 affrancata di porlo lino ai contini della Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione annuale. — l.a spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio /1 icori!i, nel modo indicalo nel Manifesto. Le associazioni si ricevono in Milano presso rilfllcio della Gazzetta in casa fìicordi. contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero pressò i principali negozianti di musica c presso gli Unici postali. — Le lettere, i gruppi, cc. vorranno essere mandati franchi di porto. I. Biografia. Domenico Cimarosa. - II. Notizie Storiche Della musica de’Greci. - III. Carteggi. - IV. Teatro Hi:. Cronaca drammatica. - V. Ai signori Lettori. BIOGRAFIA IMHII VHO CIMAROSA (Continuazione, vedi l’ultimo foglio) ^g/rave ottalmia e più la smania di “^rivedere la patria spinse il Cima";rosa ad abbandonar la Corte viennese, lasciando in tutti il dispiacere di sua partita. Dopo sei anni circa d assenza, nel 1793, egli ritornò al patrio suolo, ed ebbe tosto incarico di dirigere in Napoli le prove del Matrimonio segreto, a cui aggiunse qualche pezzo, e fra gli altri il duétto «l)ehl Signore«.Nessuna composizione melodrammatica musicale aveva giammai prodotto in quella città un effetto più clamoroso, nè era stata mai salutata con maggiore entusiasmo. 11 Biografo napoletano asserisce, forse con qualche esagerazione, che per cinquantasette sere successive Cimarosa stette al gravicernbalo e e’ intervenne la Corte, e che il Matrimonio segreto fu revlicato per centotrè volle. Altri scrittori però limitano il numero delle rappresentazioni non interrotte a sessantasette, e dichiarano che il celebre maestro (cosa inusitata in quell’epoca ) fu costretto sedere al cembalo nelle prime sette recile per accogliere le testimonianze dell’ammirazione universale. Quindi nella stessa città fu applaudito ne’ Traci amanti, nelle Astuzie femminili, nella Penelope e nell’Impegno superato. Pose di poi in musica per la capitale del mondo cattolico i Nemici generosi, e per la Regina dell’Adriatico i famosi Orazj e Curiazj, la più belfopera seria italiana di quei tempi, malgrado alcune improprietà a espressioni, e tale, al dire del Perotti, che ha il merito esclusivo di parer sempre nuova. Nel carnovale del 1798 fece eseguire in Roma l’Achille all assedio di Troja e fImprudente fortunato, e nel medesimo anno scrisse pel teatro deFiorentini di Napoli l’Apprensivo raggirato, co1 me pure la grande cantata intitolata la > Felicità compita, che risuonò nell-1 amena ) Chiaja. Nelfistessa estate, giusta La biografia |l di Napoli, grave infermità lo condusse alle porte della tomba; e secondo Castil-Blaze, Rotta, ed altri per essersi imprudeute| mente compromesso, venne posto prigioi ne, dove stette ben quattro mesi. Appena | ristabilito in salute, o come altri vuole, liberato dalle carceri, parti alla volta di Venezia, ivi già da qualche tempo scrit! turato per la stagione di carnovale. Afflitto d animo ed abbattuto nel corpo,! diessi al lavoro AeViArtemisia, melodrami ma in tre atti, a compiere il quale non! mancava altro che l’aria della prima donna i ed un coro, quando infermatosi passò agli j eterni riposi a di 11 genuajo 1801. - Beitini, Gervasoni ed altri stamparono che egli all’età di 47 anni cessasse di vivere a Venezia; nella Biografia più volte citata ed altrove, invece si dice ch’ei morisse a Padova, onde che noi lasciando liberi i lettori di attenersi piuttosto a quelli che a questi, ci contenteremo di osservar solo, che Cimarosa ebbe comune con Mozart, morto a Vienna nel 4791, la sorte delle ceneri, essendo opinione generale che nessuno al giorno d’oggi possa con certezza insegnare sotto qual terra riposino le ossa di questi due uomini immortali, pietra non essendovi che additi ai posteri il loro nome!! 1 giornali d’allora, fantasticando sulla fine di Cimarosa, annunziarono eli egli avea dovuto morire in conseguenza de inali trattamenti sofferti in carcere; alcuni assicurarono ch’era stato strangolato, e altri morto di veleno. Per distruggere tali dicerie si pensò di far pubblicare la dichiarazione seguente: Il fu signor Domenico Cimarosa, maestro di cappella, è passato qui in Venezia agli eterni riposi, il giorno 14 di gennaio dell’anno corrente, in conseguenza di un tumore che aveva al basso ventre, il quale dallo stato scirroso è passato allo stato cancrenoso. ’Tanto attesto sul mio onore e per la pura verità ed in; fede, ecc. Venezia, il 5 aprile -1801. Fi/ malo: Giovanni Piccioli, lieg. Deleg. e | medico onorario di Sua Santità di N. S. i Pio VII. I dilettanti ed artisti di musica di Venezia, compiangendo la perdita d’un tanto uomo gli fecero alzare un magnifico cala-; falco ed eseguirono a’suoi funerali una! messa solenne. A Roma poi i musici vollero onorar la memoria del Cigno d’Aversa, cantando un Requiem composto da lui me-; desimo in età giovanile, pezzo, come quasi tutta la di lui musica sacra, assai commendevole per lo stile appropriato alla veneranda maestà della chiesa. Cimarosa fu maestro della regai Cap-; pella Palatina al servizio di S. M. Ferdinando e della prima sposa di S. A. il duca di Calabria. Aveva una corporatura che trasmodava nel grosso e nel fatticcio, ed una fisonomia molto gioviale e simpatica. Fra d’un carattere aperto, franco ed affettuoso; non era meno cercalo e amato per la dolcezza ed integrità de’suoi costumi, che pe’suoi talenti; e lo spirito e la vivacità che risplendono ne’ suoi componimenti apparivano eziandio ne’suoi modi festevoli e nelle arguzie sue. Molti sono i tratti che si conoscono della sua modestia: a noi basterà citar questo solo. Un pittore, credendo dargli piacere, gli disse che lo tenea superiore a Mozart: Io, oibò, rispose con serietà, che direste voi ad un nomo che venisse ad assicura/vi che voi sorpassate Raffaello? Fu ancora iniziato in poesia, cosa che non poco contribuì alla perfezione ed alla leggiadria delle sue musiche. Eccone un saggio in alcune strofe di una sua Ode intitolata il Tradimento: Qui tcco Panfilo Discòfilo e. libero Sedeva: io vidi Da’ lacci tui Baciarli tenero Vivrò più ilare Su’ labbri infidi! In braccio altrui. Quegli ocelli accusano Sol siami stimolo Il tuo delitto, Nel nuovo stalo Quel volto pallido La vi! memoria Ad arte, aflìitto. D’averti amato. Deh fuggi, involati Deli fuggi, involati Da’ sguardi miei, Che per me vindici È (ardi, o Lidia, Saranno i Dei! Il pentimento! Quando componeva non vedea nè udiva alcuno di quanti gli stavano intorno, ed anzi amava essere circondato dagli amici e dallo strepito. Accompagnava a maraviglia, e, come più sopra s é già detto, cantava perfettamente, tanto che era impossibile sentir da altri eseguiti i suoi pezzi buffi con altrettanta anima e giocondità con quanta ei li eseguiva. Divisa a que’giorni l’opinione del mondo sul primato nella musica fra Mozart e Cimarosa, si racconta che Napoleone domandò un giorno all’illustre Gretry qual differenza passasse tra questi due maestri: Sire, rispose l’autore della Carovana, Cimarosa mette la statua sul teatro ed il piedestallo nell’orchestra, Mozart invece mette hi statua nell orchestra ed il piedestallo sul teatro. Quantunque si possano del Cimarosa < citare molli connnendevoli spartiti scrii o P tragici, ed alcune plausibili sacre pagine, c tuttavia la sua maggior gloria fu nell o- | pera buffa (un di vanto esclusivo d ita- | [p. 174 modifica]lia), nella quale superò non solo tutti i maestri che lo precedettero, ma anco gli altri suoi contemporanei, per naturalezza e venustà di condotta, per giustezza di ritmo, per originalità, freschezza, fuoco e chiarezza delle immagini, per sicurezza degli e fletti scenici, per ricchezza e brio negli accompagnamenti, specialmente nelP ultime sue produzioni. Nessun compositore creò un maggior numero di quei motivi elettrizzanti che.appellarci di primo getto od intenzione, nè fu più di lui variato ne’ vezzi melodici. La fecondità della fervida sua immaginazione faceva comunemente dire che un’Opera di Cimarosa poteva somministrar materia per farne quattro; e per merito del nostro compositore, e insiem del Guglielmi e del Paisiello, la pura musica giocosa pervenne al più alto grado di perfezione. Volendosi instituire un paragone fra le qualità pròprie a ciascuno de’tre grandi maestri, che il loro secolo illustrarono in Italia, si potrebbe dire che Cimarosa vuole specialmente ammirarsi per l’inessiccabil vena d’estro comico-, per un colorito vivace, e per la piccante e gaja originalità sua, mentre Paisiello meno di lui immaginoso e brillante, commove colla semplicità e soavità de’suoi canti e colle appassionate cantilene, le più proprie all’espressione del concetto poetico. La maniera più notevole dell’Orfeo di Taranto è quella di ripetere più volte le stesse frasi senza variare nè l’armonia nè gli ornamenti, ottenendo da queste repliche un effetto tale che l’animo degli uditori sempre più ne rimane trasportato. Al contrario Cimarosa, appena fa sentire un pensiero, che tosto l’abbandona per farne succedere di nuovi con un lusso prodigioso e con una felicità senza pari. La parte strumentale di Paisiello è di una quiete, regolarità e temperanza non di rado eccessiva; quella del creatore del Matrimonio segreto, tenerissimo com’egli era delle grandi innovazioni di Havdn e Mozart, è concepita più largamente ed in un modo di maggior vivacità ed effetto. Questi, più tardi, non ripugnò dall’usare modulazioni ed armonie che traevano forse della loro origine alemanna;quegli mantenne costantemente inalterabile la purezza della scuola napoletana. Guglielmi poi alla scorrevolezza ed amabilità, ed alla convenienza e ragionevolezza dell’espressione, accoppiava un’armonia per la sua epoca, piena, uno stile fiorito e corretto, ed una fantasia sempre pronta: egli sparse tesori di gusto, di sentimento e d’immaginativa in ogni genere. 1 quali elogi potranno senza dubbio parer soverchi a coloro che in musica non hanno che le sensazioni permesse dalla moda, e pensano non potersi rinvenire bello nella musica drammatica altro che nelle composizioni dell’incomparabile Pesarese, del patetico Bellini, del facile Donizelti, del profondo Mercadante e dell’armonico Meye.rbeer; nè i sensi da noi espressi nel corso di questi cenni appagheranno menomamente que’ molti, in cui è invalsa l’opinione che l’Opere de’classici maestri dei secolo passato, dell’epoca cioè del purismo della musica italiana, come troppo semplici nell’armonia e nell’istrumentazione, non possano piacere al gusto di oggidì. di modo che, se rimettOusi ili teatro partiture di Cimarosa, Paisiello, Fioravanti, Zingarelli, ecc., (ciò che ora accade ben j di rado, massime in Italia ) non pochi ì ascoltatori vi si recano svogliati, e-non sanno trovare in quelle d’assai belle e peregrine cose. Non è questo il luogo da provare, nè forse noi basteremmo a farlo, quanto una tale noncuranza degli antichi capolavori sia funesta all’arte; ma almen ci permetteremo di aggiungere che un vero e spregiudicato conoscitore di qualunque siasi epoca di progresso e di variazione dell arte, allorché si ponga ad esaminar gli sparliti di Cimarosa, non potrà far di non convenire che nessuno più di lui fu dotato dalla natura delle qualità che costituiscono un grande maestro, e che nessuno anche ne fece mai miglior uso in (specie nel genere buffo. oramai da più recenti maestri pressoché sconosciuto a sommo disdoro dell’arle italiana. Is. C. NOTIZIE STORICHE DELLA MUSICA BE’ GRECI Articolo III (I). In Grecia s’aveano canti speciali appropriati a ciascuna professione. Ateneo parla del canto degli schiavi destinati a macinare il grano, di quello de’ mietitori, delle nudrici, de’ lavoratori, di quelli che hanno cura del bestiame, degli impiegati de’ pubblici bagni, dei pastori, degli spigolatoci, de’mugnai, de’tessitori, degli scardassieri. de’fanciulli, ecc., ecc. Essi avevano del pari canti destinati ad esprimere i diversi affetti dell’animo, ed altri consecrati alle cerimonie della vita civile, come quelli dei promessi sposi, delle nozze, de’funerali, ecc. Si vedevano ancora in Grecia certi mendicanti ciechi che andavano attorno cantando e limosinando. Ateneo ha conservala una delle canzoni di questi mendicanti, stata composta da Fenicio Colofonio, poeta giambico. Il cantore portava in mano un corbo (uccello che in Grecia si chiama corone). a profitto del quale egli s’infingeva di andare accattando. Questi mendicanti erano appellati Colonisti, e le loro canzoni Coronismata. In Rodi vi era un’altra specie di poveri chiamati Chelidonisti, i quali recavano una rondinella. Essi sono (secondo Ateneo) citali da Teogni nel suo secondo libro de’ Sacrificii di Rodi. In questo ’tempo, del quale è detto testé, furono inslituiti i giuochi olimpici, pilii, nemeesi e istillici. La più parte de’ ricordati poeti lirici riportarono aa questi giuochi premii che valsero a portar progresso alla musica insieme ed alla poesia. L’istituzione del premio dato ai giuochi pitii per la musica istrumentale deve certo aver molto conferito al perfezionamento di questa parte dell’arte musicale. Certo è che in questo tempo invalse in questi giuochi un genere di musica romorosa all’eccesso. Luciano parla d’un giovane suonatore di flauto nomato Armomde, il quale nel suo primo comparire a questo concorso, volendo eccitare sorpresa ed entusiasmo, soffiò sì fattamente a piene ’: e di tutta forza nel suo flauto nello guam imprendere il suo solo, che due vasi se gli squarciarono nel petto, e incontanente si morì. Luciano dice altresì che i suonatori di tromba si maravigliavano da sè come non avessero a scoppiare per cagione dei loro sforzi estremi. Eglino si servivano di un capistrum o fascia per poter più poli) Vedi Gazzetta Musicale Anno I, pag. 121-162. derosamente soffiare: e questa consisteva I in due. liste di tela, l’una delle quali cin- | geva la testa sopra le orecchie, e l’altra l passava attraverso alla sommità del capo t e ricopriva le gote: così si provvedeva allo i squarciarsi questa parte del viso. I tempi che scorsero da Pindaro sino al conquisto della Grecia fatto dai Romani può considerarsi come l’epoca più fiorente per la storia di questa regione. In questo mezzo tempo fiorirono Eschilo, Sofocle ed Euripide, poeti tragici; Erodoto, Tucidide,.Senofonte, Pitagora, Platone, Aristotele, Aristossene, Euclide, Teocrito, Callimaco, e molti altri filosofi, istorici e celebri poeti. E’u in questi tempi inventalo il dramma, e la unione di questo colla musica molto conferì ai progressi dell’uno e dell’altra. Tutte le tragedie dei Greci erano cantate, e pieno era il secolo di poeti che recitavano i lori versi al suono della lira. II dramma greco si componeva di monologhi, di dialoghi e di cori. I due primi si declamavano in una certa specie di recitativo, e solo il coro si cantava in ritmo misurato. Ai tempi d’Eschilo il numero dei coristi era sovente sino di cinquanta persone: ed in seguito furono per legge ridotti al numero di quindici. Il capo del coro era chiamato corifeo. Ciascuna delle principali odi era divisa in strofa, anlistrofa ed epodo. Demetrio e Triclinio ci insegnano che la strofa si cantava quando il coro marciava a destra, l’antistrofa quando si movea a sinistra, e l’epodo quando, dopo compiute queste evoluzioni, egli si fermava in riposo. Pindaro ha divise le sue odi in somigliante maniera, eziandio quelle che erano indirizzate agli dei. Queste ultime erano cantate dai sacerdoti che si ravvolgevano intorno all’altare, prima a sinistra recitando la strofa, poscia a dritta cantando l’antistrofa; l’epodo solamente si cantava quando i sacerdoti erano da capo, fermi innanzi l’altare. Si vuol notare che tutti i poeti greci erano musici e si accomodavano ognuno da sè la musica alle loro opere. In fra i musici di quest’epoca particolarmente è citato Timoteo (quegli che aggiunse tre corde alla lira, siccome abbiam detto), Frinì, Antigenide, Filossene, Arione, Derione, Ismenia, Teléfano e Lamia (suonatriee di flauto). Poiché molti di questi artisti godevano tutto il favore del popolo, a poco a poco la musica divenne una essenzial parte della educazione de’ Greci. Tale era lo stato in che questa scienza si trovava a’ tempi di Pericle e di Socrate. II flauto era lo stromento favorito dei Greci; essi lo stimavano atto ad eccitare al sommo grado le passioni. Gli Spartani avevano una certa aria che, eseguita da un eccellente flautista, dicevano essi, rendeva un uomo capace di andare incontro seouro ad ogni pericolo. Eglino un’altra ne avevano, detta adorion che essi suonavano col flauto, chiamato Tibia embateria (flauto di marcia) quando erano al punto di venire alle prese coll’inimico. Questi flauti costavano un gran prezzo; e si racconta che Ismenia, famoso musico tebano, ne pagò uno a Corinto tre talenti (che sono 14,5ò0 franchi), e che Teodoro, buono fabbricatore di flauti di Atene, tanto guadagnò nel mercato del suo mestiero, da poter dare una liberale educazione a tutti i suoi figliuoli, e da poter sopportare uno de’ più gravi | tributi a’ quali fossero sottomessi i citta- ’ dini di questa città; quello cioè di rifornire ( del coro le feste e le religiose cirimonie. [p. 175 modifica]I Senofonte ci fa sapere che i suonatori di | flauto viveano signorilmente, e che la loro l presenza alle feste od ai funerali s’avea per 5 grandemente necessaria. Pare perciò che gli esecutori guadagnassero ingenti somme, e si ha da Ateneo che l’arpista Amelio riceveva un talento (4,850 franchi) ogni volta che suonava al teatro (l). Dopo il flauto, la lira teneva il primo posto infra gli stromenti musicali de’Greci. Tutto ciò che risguarda l’origine di questo è già stato detto. Le Muse, Lino, Orfeo, Amfione, Terpandro, Pitagora e Timoteo sono stimati per aver perfezionato questo stromenlo aumentando la sua estensione e il numero delle corde. 1 diritti di ciascuno di costoro possono essere tutti validi e giusti, perchè la medesima modificazione o perfezionamento può essere stata fatta da uomini differenti od essere stala da loro adottata, senza che eglino sapessero che la medesima discoperta era stata precedentemente già fatta. Il grido delle nuove invenzioni non correva allora cosi sollecito per tutto, siccome è a’ nostri giorni, e le relazioni fra i diversi paesi non avevano quella regola e ce.lerità che si vede nei tempi moderni. Vi avevano lire di più maniere: il formica, la cetra, la chelys, la testudo, ecc. Difficile sarebbe il precisare le minime differenze che avevano questi stromenti l’uno dall’altro -, poiché Quintiliano dice che nel numero degli stromenti da corda si trovava la lira, la quale aveva un carattere analogo al genere mascolino per la profondità e gravità de’ suoi suoni; la sambuca, debole e dilicata, rassomigliava al genere femminino, e per cagione degli acuti suoi suoni e per la sottigliezza delle corde era atta ad affievolire lo spirito. Fra gli stromenti mezzani, il potyplhongon s’approssimava al genere femminino della sambuca, e la cetra non era guari differente dal maschio suono della lira. Vi era ancora, secondochè pare, una serie di stromenti da corda, de’ quali la lira e la sambuca formavano i due capi estremi, ed il polypthongou e la cetra l’ordine mezzano. Quintiliano nota poscia che vi erano fra Queste lire principali degli spazii intermeii: la cetra differiva forse dalla lira comune, Tarpa semplice dall’arpa doppia. Da un passo del poema degli Argonauti paiprovato che la cetra e il fornice èrano due stromenti diversi: ivi detto è che Chirone toccava qualche volta la cetra d’Apollo, e qualche volta la sonora conchiglia del formice di Mercurio (2). Nell’inno a Mercurio attribuito ad Omero, si dice, che questo dio ed Apollo suonassero colla lira alle braccia. Ciò indicherebbe uno stromento somigliante più alla chitarra che all’arpa;, ma gli antichi avevano lire, cetre e testudo di forme così fra loro differenti, come sono a’nostri dì Tarpa, la spinetta, il clavicembalo e il pianoforte. Questi stromenti variavano altresì quanto al numero delle corde, lo che ha fatto luogo a discussioni per sapere se la lira aveva in origine tre corde o sette o più ancora. (Sarà continuato) (1) Non è dunque solo a’ nostri tempi che i Paganini, i Tlialberg, ecc., ammassano tesori colla loro. virtù musicalo. (2) Nel volume nono della Ilevue Musicale di Parigi j può vedersi un’applicazione completa delle diverse spc- eie di lira e di cetra. CARTEGGIO I. Al sig. C. di Parigi Voi vi sarete accorto facilmente che nelle due lettere che v’ho scritte sull’esposizione, io non ho che fatto passare in celere rivista i nomi cd i lavori, che mi parvero più eminenti; cd adopro pensatamente la parola parvero perchè, nè voglio presentare l’opinione mia individuale come un giudicio, nè amo di ferire le facili c facilmente iraconde suscettività degli artisti, che si credessero in diritto di appartenere alla schiera dei sommi, dei grandi, degli inarrivabili. Per me non voglio farmi il portinojo del tempio dell’immortalità, c lascio libero l’ingresso a chi lo desidera. lìcn io avrei potuto citarvi ancora un numero discreto d’opere e di artisti, clic meritano sicuramente degli elogi, c che certo non fanno torlo al paese, nel quale se non nacquero, risorsero almeno le arti belle; ma mi condannerete se invece d’una inutile c nojosa enumerazione io cercherò ili epilogare sotto la forma di alcune idee generali la parziale impressione prodottami da questo assembramento di tele c di marmi, che porla il titolo (l’esposizione? Che se ogni valore fosse per mancare alle mie idee, avranno almeno quello inapprezzabile di essere sviluppate assai brevemente. lo non soiio di quelli che veggono tutto sotto un aspetto sinistro, che amano le declamazioni sentimentali contro la decadenza del secolo, clic diffidano dei loro contemporanei, c clic sono disposti ad adottare la critica insofferente, che di tutto si lamenta, clic non si appaga di nulla e clic tutto condanna. Ma pure ad onta d’una certa tendenza all’ottimismo, ad onta ch’io mi senta più disposto all’elogio che al biasimo, io non posso negare a me stesso clic talora si vegga negli uomini de’ nostri tempi una propensione troppo dichiarata a prediligere la forma al pensiero, le apparenze al concetto, cd a fare quindi un troppo granile consumo di pura c semplice vernice. E questa confessione sarebbe tanto più necessaria c spontanea, qualora volessi svelare quale impressione collettiva abbia su me prodotta l’esposizione di quest’anno. Davvero clic esaminando tulle queste opere artistiche, le quali rappresentano il prodotto d’ini ccnlinajo di intelligenze, si trova complessivamente che l’esecuzione, il macchinismo, la parte materiale dell’arte, è coltivata con amore, con coscienza e con successo. Tranne qualche lavoro, la cui esposizione sembra destinata a provare sino a quali conseguenze possa giungere l’innesto dell’amor proprio e della nullità, lutlo il resto offre de’ notabili pregi di esecuzione, clic non si possono sconoscere senza commettere una vera ingiustizia. Ma perchè dopo avere scorse le sale di Brera voi ne uscite coll’anima c col cuore freddi, perchè provate quel vuoto c quella stanchezza, che nascono allorché si assiste ad un dramma che sia plausibile letterariamente, ma che manchi d’interesse? La pittura c la scultura non posseggono forse mezzi suflicicnti per iscuotcrvi, per gettare nella vostra anima il seme d’un pensiero che germini colla riflessione, per parlare alla vostra imaginazione, per produrre i due grandi effetti di tùttc le poesie, la commozione cd il terrore? Queste due arti non saranno destinate a nulla più clic ad offrire degli aggradcvoli effetti ottici? Non troveranno la loro messe che nella natura fisica c si terranno isolate dai campi dell intelligenza? Io non credo che così stretti limiti siano assegnati a queste due arti, ma credo piuttosto che regni negli artisti una colpevole trascuratezza in ciò clic è chiamato la scella del soggetto. Generalmente gli artisti fanno questa scelta con una incredibile leggerezza, cd accettano a preferenza i soggetti, che meriterebbero il titolo di mestiere, e clic sono già passati cento volte attraverso alla tavolozza di cento pittori. Credono di ricscirc abbastanza originali cambiando la posizione di qualche figura, aggiungendone di nuove, togliendone alcune, presentando degli effetti di luce diversi, riponendo insomma l’originalità nella modificazione. Con questo metodo essi costringono il pubblico a subire una serie di impressioni che si assomigliano c che finiscono quindi per divenire eccessivamente noiose. Inoltre l’artista nella scelta del soggetto, adotta un processo intellettuale, che sarebbe bizzarro se alla fine 11011 fosse fatale. Io non posso spiegare chiaramente il mio pensiero che citando l’.esempio d’un compositore, che fatta la musica cercasse un libretto per ndatlarvcla, o meglio quello d’uno scrittore clic raccogliesse un certo numero di frasi e di parole per adoperarle nella confezione di un libro di cui non conosce ancora l’argomento. 11 pittore cosi c lo scultore non cercano già un soggetto che possa ferire colla novità, colla grandezza del pensiero, ma un soggetto che permetta di dipingere un bel busto di donna e di scolpire il braccio muscoloso di un sicario; chi cerca, in una parola, un soggetto per farvi entrare del nudo, chi per poter impiegar quel tal partito di pieghe, chi per far lampeggiare un raggio di sole sovra una brunita corazza. Ideano il taglio della veste c poi vanno alla scoperta della persona a cui possano applicarla. Inoltre, per impedire clic le due arti mietano liberamente nei vasti campi del passalo c del presente, si innalzano formidabili le classiche idee, clic fanno giudicar come parte importante di un lavoro artistico, ciò che non dovrebbe esserne che l’accessorio. Si grida che un quadro sarebbe perduto, che una statua riescirebbe detestabile adottando le tali vesti, i tali costumi; quasiccliè il pennello polente che presentasse nella sua verità qualche scena del gran dramma in cui s’agitano individui e nazioni, avesse bisogno di toghe romane; di tuniche greche c di nudità, che possono riuscire alla fine nauseanti, per far accettare dal pubblico un lavoro, in cui alla grandezza deH’argomcnto s’associasse una sublime interpretazione. Eino a che gli artisti non si persuaderanno clic il pubblico può esigere qualche cosa al di là della pura perfezione materiale nelle loro opere, sino a clic non saranno convinti clic l’arte può avere una missione ben preferibile allo piccola vanagloria di colpire gli sguardi con effetti più o meno brillanti, fino a che non sentiranno che vi può essere un’ispirazione pcll’artista come ve ne è una pel poeta, pel drammaturgo, pel romanzicro, fino a dicessi non aspireranno a parlare al cuore, alle anime, alle intelligenze c non agli sguardi soltanto, l’indifferenza accoglierà sempre queste annuali esposizioni, giacché alla fine queste tinte più o meno ardite, questo disegno più o meno esatto, questo lusso di sfondi, questa saggia distribuzione di piani, qucsl’abilc condotta di lince, tutto questo sfarzo nel meccanismo dell’arte,’ non è alla fine che uno scherzo ingegnoso c nulla più, qualora non sia applicato a rivestire qualche concepimento o utile, o grande, o commovente. Il pittore ha la tavolozza, Io scultore lo scalpello, come il poeta ha la parola; clic ciascuno adunque adopri il suo linguaggio, ma per esprimere un pensiero, c non per gettare un suono vano clic vagoli lievemente pcll’almosfera accarezzando le orecchie, per isperdersi dopo come la nube clic non lascia dietro a sè alcuna traccia. Nè io esigerei corto clic tutti gli artisti creassero soltanto delle opere clic portassero questa aureola scintillante dcU’inlclligcnza; oh no! conosco anch’io a quali circostanze debba l’artista sottomettersi, e come la parola commissione possa frenare gli slanci arditi cd avventurosi dell’artista di genio. Io accetto tutte le gradazioni nell’arte c nella poesia; il sonetto cd il ritratto, il paesaggio c l’idillio, il quadro di genere e l’epigramma; ma vorrei che al di sopra di tutta questa massa, che servirebbe opportunamente All’ufficio d’ombra, dominassero alcuni di quei grandi lavori, innanzi a cui arrestandosi il pubblico maraviglialo e commosso, dovesse esclamare - Ecco l’artista! - Vorrei che quando un generoso committente domanda all’artista un quadro od un gruppo, confidandogli la scelta del soggetto, non si si fermasse a quegli eterni argomenti delle Diane, delle Bcrsabcc, delle Susannc, delle Lucrczie c a tutte quelle vecchie pagine di storia già corrose da tanti artisti, già diluite su tante tavolozze, c clic hanno già stancale tutte le pazienze dei pubblici. Nè io ammetterci come onorevole c come giusta la formola generale con cui gli artisti cercano di sottrarsi alle conseguenze di questo grido, che evoca alla fine un’arte contemporanca, la quale dimettendo le classiche sue restrizioni, possa ispirarsi alle idee, alle speranze, alle credenze dei nostri giorni; formula clic si riassume nella frase, ebbene datemi dei soggetti. Darvi dei soggetti? Risparmiarvi adunque l’officio più nobile [p. 176 modifica]i, risparmiarvi lo sforzo, il lavoro, la mcdii (azione dell’intelligenza? Ma,ciò è incredibile, signori,

  • giacché clic direste del poeta, del drammaturgo, il quale

l facesse questa strana domanda, datemi un soggetto? > Quale ispirazione, quale originalità recherete voi ncll’interpretarc un pensiero clic non 6 vostro, che non vi è sorriso in uno di quei concitamenti dell’imaginazione, che brillano improvvisamente dopo lunghe ore di meditazione, e che soli valgono a produrre i grandi lavori? Istruitevi, signori, leggete, penetrate colla mente negli arcani del passato e del presente, e quando l’idea vi scintilla dinanzi splendida e potente, deponete il vostro libro e prendete il pennello. Non isccgliclc il vostro soggetto in un momento di distrazione, riserbandovi poi a leggere i libri clic possano darvi sovr’csso degli schiarimenti, ma leggete, e leggete mollo e poi fate la vostra scelta. È strana, credetelo, l’abitudine di adottare così alla cicca un argomento di cui non conoscete l’importanza, di cui avete un’idea astratta, confusa, e per interpretare il quale vi affidale spesso alle pagine di qualche romanzicro, o alla rapida lettura d’un brano di storia, clic vi fu additato da qualche conoscente. Le vostre idee riesciranno per forza incomplete, e il vostro quadro sarà nulla più di un quadro di mestiere, meraviglioso, se volete, artisticamente, ma clic fascera dei grandi desiderii esaminato dai lato che non è certo il meno importante, vale a dire dal lato estetico. Ma io porrò fine a queste mie parole, iion procedenti certo dalla pretesa di farmi il pedagogo degli artisti, ma nate dalla profonda convinzione, che le belle arti in Italia sarebbero ancora senza confronti e senza rivali in Europa, qualora si volesse concedere clic l’istruzione e l’erudizione fecondano le idee, clic le idee generano l’ispirazione, e che l’ispirazione è la prima condizione d’ogni opera d’arte, clic non ami di finire la sua esistenza fra la polvere e le macerie dei solai. Potrei dirvi ancora clic sarebbe da desiderarsi in molti artisti una finitezza maggiore, ma vi taccio di questo e di altro perché credo di avervi annoialo abbastanza, e perché sono realmente ansioso di finirla una volta colla esposizione, per tornare ad offrirvi le notizie musicali e teatrali più importanti della stagione. Il che farò in una prossima lettera. Credetemi intanto peli’ a/fez. vostro B-r-i. Iiettera ilei SI. Pietro Raimondi al Cav. Giovanni Parlili. Carissimo Amico, Ilo letto nel Giornale Privilegiato di Lucca al N.° 62 del 1845, e nella Gazzetta Musicale di Milano, un vostro articolo, che risguarda la mia recente opera «Nuovo genere di scientifica composizione.» Col sano intendimento, e colla gentilezza che tanto vi distinguono, avete in esso mostralo prematuramente all’Italia qual sia il contenuto del mio lavoro, qual ne sia Io scopo, e quali vantaggi trar se ne possono. Quanto lusinghiero mi giunga il vostro schietto sentire, io non saprei dirvi abbastanza; non polca meno aspettarmi dalla vostra cortesia. A questo proposito mi confido che non vi tornerà discaro l’annunziarvi clic un’altra nuova opera occupa allesso la mia mente, la quale darò alle stampe, poiché la prima avrà veduto la luce. Mi é venuto il destro di combinare delle fughe in tulli i generi. Oltre a ciò panni, se ben m’avviso, avervi fatto l’esperimento di cosa non pria d’ora immaginata. Havvi in somma delle fughe, in cui le otto parli non cantano nel medesimo modo, ma bensì uria fuga in sol, e l’altra in re; ed intanto, mentre il primo coro fa la fuga in mi, l’altra si eseguisce in la; e cosi dal principio alla line queste due fughe progrediscono, cantando sempre in due modi diversi. l)i più eolio stesso procedere mi é riuscito di creare delle fughe, clic cantano contemporaneamente, una in modo minore l’altra in maggiore, e tante altre simili cose. Quest’opera porterà il titolo di» Due fughe in una, dissimili nel modo (1). A voi dunque, caldo seguace della nostra scuola i dotti maestri d’Iitaliana, mi ò sembrato non isconvcnevolc far e sccrc i mici lavori, nella certezza, clic non vi gì che carissimo tutto ciò che possa contribuire ai grossi di quest’arte sovrana. Palermo, a dì 26 agosto 1845. CRONACA DRAMMATICA DEE TEATRO RE. Quantunque abbia fatto cenno altra volta intorno alla rappresentazione della Clotilde di Soulié, vuo’ tornare a ricordarla ai lettori, siccome una di quelle, secondo me, che nel Repertorio fin qui esposto dal Modena serve a mettere in maggiore evidenza l’abilità de’singoli artisti che vi prendono parte, e presenta una miglior fusione nell’insieme. Poi, in riguardo al buon insieme, annovererò pure il Vagabondo e la sua famiglia di Bon. Giammai questa commedia o dramma che vogliale chiamarlo, aveva trovalo un attore prima del.Modena, clic veramente ne parlasse dalla prima all’ultima scena, e non ne schiamazzasse o predicasse la parte protagonista, giammai vi fu ( sempre secondo me, intendiamoci bene ) un’attrice più commovente e più vera della signora Angiola Botteghini nel personaggio di Faustina. Quest’attrice, non nuova alla scena, ebbe il talento di comprendere, stando col Modena, che cosa sia recitar beile e quantunque la forza dell’abitudine la trascini ancora talvolta un pochino a que’ modi convenzionali, e a certa cantilena o cadenza da prima donna, in generale grazie al ciclo! parla e non grida, piange e non bela, sicché non esito ad affermare clic in questa parie si lasciò proprio dietro di sè d’un bel tratto tulle quelle altre attrici di rinomanza, che la precedettero. Non ugualmente la loderò della maniera con cui concepì la parte di Duchessa nel Walienslein; ivi doveva al dignitoso contegno aggiungere maggior verità d’accento, come fece madamigella Adelia nella parte di Contessa, e chi l abbia vista in quella sola rappresentazione taccerà d’esagerate e peggio le lodi mie, ma le mie lodi reggono non per tanto, ed ho la coscienza che siano giuste; se non clic è d’uopo osservare, che quando gli attori non sono della forza di Modena, bisogna giudicarli in un complesso di rappresentazioni, 11011 in una sola sera, ed in una piccola parte. Nel Wallcslcin, azione come tutti sanno copiosissima di personaggi, presero parte tutti gli attori della compagnia, e taluni furono anche costretti a rappresentarne più d’uno, ma per la ragione appunto ch’essi non vogliono essere giudicati in una sol parte, io non prenderò occasione da questa rappresentazione per passarli in rassegna, perocché mi toccherebbe forse di giudicarli più severamente di quello clic il meritano. 11 giovane Salvini, a cagion d’esempio, parve alquanto immaturo per la difficile e poetica parte di Massimiliano Piccolomim. come immatura la signora Botteghini figlia in quella di Tecla, che le serve di meraviglioso riscontro; eppure ambiduc questi artisti furono da natura dotati di non comuni bellezze fisiche cui risponderanno fra 11011 molto, mi pare di poterlo scrivere senza audacia, le sviluppate doli dell’artistico ingegno. Con quella medesima sincerità poi colla quale faccio il presente vaticinio, mi trovo in debito di avvertire madamigella Botteghini di un difetto cui ella deve intendere ad evitare con studio particolare tantosto; quello cioè di cadere in certe contrazioni doccili e di bocca, che recano non piccolo nocumento al suo fresco e rugiadoso visino. Anche il signor Billi, altro fra i principali attori della Compagnia diretta dal Modena, chiarissi per avventura migliore nel Nemours del Luigi XI, ed eziandio 111 qualche punto della parte di David, di quello clic nel Butlcr del Walienslein; eppure quella parte non è di piccola importanza, e sono d’avviso eli’ egli avrebbe modo collo studio di cavarne un grande effetto. Il figlio di Vestri all’incontro, nella parte di conte Torselli fu più vivace del solito, perocché egli ha un’ottima pronuncia, una voce abbastanza teatrale, un contegno sufficientemente dignitoso e disinvolto, ma pecca generalmente di gran freddezza. Ma dove mi perdo io, dove lascio la stella polare, Modena? Modena, per chi giudica l’artista non solo quando recita le sentenze che un poeta drammatico sparge quasi sempre qua e la nelle sue sceniche azioni, Modena per chi giudica l’artista indipendentemente da quei certi punti a così dire saglicnti di una rappresentazione che egli dice sempre divinamente, ma che non sono al certo la parte più preziosa della grande sua abilità, Modena, dico io, riuscì meraviglioso di certo, per la profonda finezza con cui seppe colorire ogni atto ed ogni accento della concezione di Schiller tanto mirabile, massime in quel personaggio protagonista, per verità storica e psicologica. Chi meglio di lui valse a dipingere l’uomo ambizioso, superstizioso, irrequieto, debole, coraggioso,,cil irresoluto ad 1111 tempo? Chi a spargere quel earallerc di maggior poesia? Ma oggimai il valore del Modena non ha più | d’uopo d’apologisti, e quel suo merito è cosa clic più; facilmente si comprende vedendolo, di quello che si? possa riferirlo; egli sa còsi bene metterlo in evidenza; che divenne, comecché cosa d! ordine tutt’altro clic ci munc, moneta corrente cil alla portata di tutti. A malgrado poi di questo mio articolo frettoloso ed a spizzichi, pieno di cose dette per incidenza, non deporrò la penna senza lodare il Modena e ringraziarlo anco per la perseveranza clic mette nell’esporci i capolavori del Teatro straniero. Per nulla scoraggiatosi dell’Ofcllo di Shakspcarc, clic trovò l’anno scorso avversa la maggioranza del pubblico, egli or ci volle regalare il Wailcstcin clic non fu mollo più fortunato dell’Otello, ma che pure mi pare dovrebbe riuscire a persuadere ii pubblico del suo merito, quando ne fosse un po’più curata la recitazione delle parli che al Modena fanno corona. E questo potrà senza dubbio ottenersi col tempo e eolie lezioni di un tanto maestro che sa così bene riunire la teoria alla pratica. Intanto sebbene questi tentativi continuassero a non trovar eco nella maggioranza del pubblico, il quale fa piuttosto oggetto di sue ammirazioni quell’aspettazione materiale clic deriva da una congcgnosa successione di fatti discretamente concatenati fra di essi, anziché quella ben più profonda ed interessante che nasce dal veder come gradatamente si svolgano le passioni nel cuore umano, e quali singolari contrasti fra di esse presentino, a misura che agiscono sopra individui disparatamente preparati a riceverle, questi tentativi a chi ben guarda, non riesciranno perciò meno onorevoli al Modena, e quando saranno falli di ragione deifi istoria dell’arie, formeranno una delle più interessami pagine della di. lui biografia. fi. S. Alla seconda rappresentazione del Walienslein vi tu un miglioramento sensibile nella recitazióne e quindi nell’effetto del dramma. La giovinetta Botteghini non parve più quella della sera antecedente, ed anche il bello ed elegantissimo Massimiliano lasciò scorgere alquanto meno la propria immaturità artistica in quel personaggio; alla scena 111 cui un caporale dei corazzieri prende a parlare a nome dei propri compagni, caduta per l’imperizia di chi ne sosteneva la parte, si riparò col cambiamento di un attore; si fecero scomparire molli di quei nonnulla da cui l’esito più o meno felice di una rappresentazione dipende, e l’insieme guadagnò assai; sicché non dubito che Modena abbia conquistato al suo repertorio questo lavoro del Schiller, nel quale i critici si accordano in dire ch’egli accoppiò il genio robusto di Shakspcarc alla verità solenne di Euripide. G. I. AI SIGAORI LETTORI — Per la stagione teatrale dell’ora scorsa fiera di Cremona il coreografo Morosiui compose un nuovo ballo intitolato 11 genio deWaria, nel quale con ottimo divi— samento venne introdotto un coro a voci bianche di composizione del maestro Ruggero Manna. Il coro veniva cantato entro le scene, e riesciva di sì piacevole effetto, che ogni sera gli applausi del pubblico furono maggiori. Ma non si sa come, dice quella Gazzetta Provinciale, corse intorno opinione che il nuovo lavoro non fosse del maestro Manna, ma tolto dall’opera / lombardi alla prima crociata del maestro Verdi. Altri, meno indiscreti si erano accontentali di accusarlo, non di plagio, ma d’imitazione. Ora che gli estimatori ed amici suoi hanno potuto indurlo a rendere quel suo piccolo parto di pubblica ragione, noi siamo lieti di poterlo dare ai nostri associati, non già come una prova della bravura del compositore cremonese, che troppo ne sarebbe inferiore, ma acciocché ciascuno possa da sè giudicare se in esso siavi pur ombra della pretesa imitazione. GIOVATIVI RICORDI EDITORE-PROPRIETARIO. ATf. Si unisce a questo foglio un pezzo in dono ai signori Associati Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia musicale di GIOVAMI RICORDI Contrada digli Omineni If. 1720.