Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 50

N. 50 - 11 dicembre 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 50

DOMENICA
11 Dicembre 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


SOMMARIO.

I. dei varj caratteri delle voci. Pensieri ad uso dei signori maestri di canto. - II. Polemica al sig. tertulliano celoni. Autore di un Compendio Storico della musica antica e moderna. - III. Carteggio. Milano, Parigi, Londra. - IV. Notizie musicali italiane. Milano, Torino. - V. Notizie estere. Parigi, ecc.



DEI VARJ CARATTERI DELLE VOCI

Pensieri ad uso de’ signori maestri di canto.

Come tra gli uomini possano mettter radice e propagarsi certe strane opinioni che sono precisamente agli antipodi del buon senso e della verità è una cosa incomprensibile. Davvero che ove per alcun tratto la ragione si riposi sulle aberrazioni dell’umano intelletto, non può trattenersi dal chiedere a sé stessa: e che è cotesta facoltà che dicesi quasi celestiale, e per cui l’uomo si stima tanto superiore agli altri esseri creati, se quando si crede aver discoperta la verità, correndo per il sentiero dalla sua luce illuminato, è allora appunto che si va smarriti in un laberinto di tenebre e d’errori? Forse che l’uman genere nasca predestinato ai buoni ed ai sinistri pensamenti, come si nasce con buona o cattiva voce, con buona o meschina vista, con fino o sordo orecchio, e così d’ogni altro senso? Queste idee serio-filosofiche mi passavano per il capo un di questi giorni nel ricorrermi che fece al pensiero l’opinione di certuni, i quali s’avvisano di poter sostenere che la voce umana, anziché dalla natura predisposta a svilupparsi e mantenersi in un certo determinato tenore, sia all’incontro d’indole eguale ad un impasto, vale a dire arrendevole per lungo e per largo come una palla di cera od un pugno di creta mollificata. È già qualche tempo che una siffatta sentenza mi veniva udita in un circolo di persone, tra le quali più d'una facea sembianza ed ostentava d’essere stata studiosa di penetrare nei segreti dell’arte musicale; se non che mi parve allora si stravagante e per sé stessa così patentemente in opposizione col vero, che il porsi a chiarirne l’erroneità sarìa stato, come dice il proverbio, un perdere la fatica ed il sapone. Ma io ebbi una prova più chiara della fallacità di certe menti quando la medesima cosa udii non è molto ripetere da chi possedeva, a non dubitarne, una specie di intelligenza musicale, ed ancor più quando da un maestro amico seppi che non solo i favellatori di conversazione, i ragionatori dilettanti inciampano in simili sbagli, ma altri molti che con discreta prosopopea fan professione di educatori nella dolcissima arte del canto. Pur troppo, mi disse l’amico, pur troppo ciò che a te sembra così irragionevole ed assurdo è una verità evangelica per certe qualità di cervelli, che tutto dì vanno per le case facendo spaccio della loro fittizia qualità di maestri. Ve ne sono parecchi di coloro che insegnano il do-re-mi senza aver mai saputo melodiare una cabaletta, i quali pensano e tengono per sicuro che coll’uso e coll’esercizio si possa estendere il registro di una voce dalle corde di contralto a quelle di soprano, da quelle di basso a quelle di tenore. Sostengono costoro che l’esercizio è onnipossente: provatevi, vanno replicando, provatevi dopo il fa a spingere la voce fino al sol; dopo qualche tempo il sol l’avrete naturalissimo, e lo farete senza fatica. Quando avrete naturale il sol, con eguale facilità potrete tentare il la: e così via discorrendo di grado in grado, di tuono in tuono insegnano e pretendono che una voce, la quale per natura non doveva giungere al di là dei confini del contralto o del baritono, possa arrivare fino alle note del soprano e del tenore, ed in tal modo rendersi atta a cantare una parte scritta per tutt’altro carattere di voce. A quanto mi suggerisce la memoria, una simile massima è sempre passata per il mondo come un errore madornale; ma dacché quelle meraviglie del canto della Malibran e della Pasta fecero intendere come una stessa voce si possa far ascendere alle corde più alte del soprano e discendere alle più basse del contralto, d’allora in moltissimi invalse l’opinione che ogni voce poteva dilatarsi ad una pari estensione, dimenticando ciò che non dovevano dimenticare, cioè che quelle cose che accadono in alcuni per singolarità ed eccezione non è di regola nè logico che debbano universalmente in tutti accadere. È vero che ogni giorno, giusta ricompensa al loro merito, veggono costoro svanirsi dalle mani il frutto dell’opera loro, perchè per lo più gli apprenditori o si rimangono quelli che furon dalla natura formati, o finiscono col perdere la voce e la vigoria del petto; ma non per questo si ravvedono mai dell’inganno in cui vivono; e perseverando con mirabile tenacità nel loro modo di vedere, a chi loro ragiona delle male riuscite che tutto dì capitan sott’occhio, rispondono ed affermano non essere già questa un’inevitabile conseguenza degli sforzi contronaturali a cui continuamente sottomettono gli scolari, ma sibbene l’effetto d'una semplicissima legge di natura che non a tutti ha voluto elargire la stessa forza di fibre: chi non resiste dà segno che non aveva lena bastante per resistere. In tal guisa dopo un guasto ne incominciano un altro; dopo un altro un altro ancora; e la storia si perpetua tra vittime e vittimarj, tra sagrificati e sagrificatori con una buona fede ed una costanza che fa insieme impallidire e trasecolare. Ed io ho realmente trasecolato udendo la fine di queste parole che, come dissi, mi diedero una prova inaudita della debolezza dell’umana ragione; e vidi allora che nessuna cosa si deve a questo mondo lasciar recondita e negletta, perciocché le più ovvie verità che sembrano a taluni risplendere di tutta la chiarezza, sono per altri involte della più cupa oscurità e caligine. Allora vidi come sia indispensabile che la stampa s’adoperi a porre in attività ogni suo mezzo ond’estirpare dalle menti degli inesperti e de’ male impressionati una simile falsa credenza, la quale riesce tanto più dannosa in quanto che è d’irrimediabile conseguenza per chi una volta viene a sentirne il pregiudizio. Sì, quella stampa, a cui non mancano mai le espressioni per illustrare le più oscure meschinità del teatro, è colei che dovrebbe rendere un cosiffatto servigio al popolo de’ suoi protetti ed a coloro che aspirano a mettersi sotto la sua protezione. È grandissimo inganno il ritenere che l’uso e l’abitudine possano riescire ad alzare od abbassare la voce d’un cantante a segno di cangiarne il carattere: è come pretendere che la ripetuta tensione o contrazione dei nervi possa ingrandire od impiccolire la naturale statura d’un uomo. Non v’è cosa a mio parere che più si confaccia e s’assomigli alla storia del letto di Procuste che una tale tortura. Dipendendo, come tutti sanno, la qualità della voce da una data conformazione degli organi, è chiaro che gli uomini nascono con voce gradevole od ingrata, cupa o sonora, profonda od acuta, secondo che gli organi sono dalla natura formati. L’educatore dee prendere la voce com’ella è; ed istruire lo scolaro a domarla, forbirla, svolgerla, addolcirla senza tentar mai di cangiarla. La voce deve essere nelle mani del maestro come in quelle dell’artefice un dia[p. 216 modifica]mante od un pezzo di metallo destinato ai lavori dell’arte. L’oro dee servir per oro, l’argento per argento. Voler portare z&ji tutte le voci ad una equabile elevatezza © di suono è come voler fare di tutto il genere umano una schiatta di Ciclopi e di Briarei. Le cose fatte dalla natura son tali che non si possono cangiare senza distruggerle; ed ancorché la pena della distruzione ricada spesse volte sopra chi non dovrebbe portarla, la colpa è tutta di coloro che pretendono di mutar le sue leggi: per ciò su di essi soli pesa la responsabilità dei mali che ne conseguono. Nel caso che noi parliamo i guai che’scaturiscono sono più d uno: primo quello della rovina della salute de’poveri individui che non solo perdono la voce, ma logorano la robustezza del petto e quindi il vigore necessario alla buona conservazione della macchina: un altro il danno della perdita di tutte le spese impiegate nella musicale educazione, la quale, come ognun sa, è tale che non può riescile indifferente se non a chi sia largamente ricco: un altro è quello di privare gli allievi di quella fortuna che avrebbero sicuramente raggiunta percorrendo una carriera ove divengon doviziosi anche coloro che mancano del senso comune: un altro ancora è il togliere al tea| tro e fraudare al pubblico tanti individui che per avventura avrebbero col loro talento recato splendore e sostenuta la periclitante arte melodrammatica. | Di tutti cotesti guai non s’aggrava il; carico sopra alcuno come sui maestri, i quali non solamente dovrebbero ammae! strare a conoscere le note, ma anche a J ben regolare e conservare la voce. Sia però | detto con pace di tutti: tra noi i maestri I di canto si curano delle crome, si curano del tempo, si curano di molte altre cose che sono d’assai minore importanza, ma della voce del povero scolare poco se ne infastidiscono. Parecchi facendo il maestro, solo per avere studiato il pianoforte, non conoscono nè possono concepire di quanta importanza sia la conservazione dell’organo vocale, e si mettono quindi in capo come dogmi inoppugnabili le più strane idee possibili. Mi ricordo aver udito un certo tale a cui sembrava di far insegnamenti di morale procurando di persuadere a tutti che prima d’ogni cosa nello studio del canto bisogna al principiante formare il centro del registro, vale a dire bisogna avvezzarlo ad estendere la voce a quante corde sono nel corpo d’un clavicembalo; e con siffatti principj dava lezioni eli canto. Che frutti raccogliesse dalle sue istruzioni è facile immaginarlo. Procurai di persuaderlo del suo inganno dicendogli che il centro della voce 10 forma la natura, e che niuno la può violentare senza sentirne pregiudizio, adducendo a conforto delle mie parole l’esempio recentissimo di una giovane, la quale dotata di voce bellissima, di leggiadrissima persona, di particolare sentimento musicale, avea dovuto abbandonare il teatro solo dopo un anno di prova, perchè i suoi Chironi l’avevano forzata a cantare 11 soprano quando il suo organo vocale era di contralto, e mentre io mi lusingava che j ei fosse per lasciarsi convincere, mi voltò le spalle fuggendo come da un eretico, j Credo eli’ ei viva ancora nella sua persuada sione. ijfj Ma lasciando che i fautori delle torte opinioni se ne compiacciano tra loro, io vorrei W&È ricordare a tutti il fatto di quella giovane, Wfijm acciocché possa far ravvedere dell’error suo quelli che non sono ostinati. È un argomento questo troppo delicato e di troppo grave importanza perchè si trascuri di recarvi quella luce che può scemare gl’inconvenienti. Per me, proponendomi di ritornare sopra una materia che può fornire e fornirà elemento per molti altri articoli, credo per ora d’aver fatto il mio migliore rivelando intanto il male, ed esortando gli altri a porvi riparo. Se non ne verrà gran bene ne verrà forse quello di rendere minore il numero dei disordini che hanno già molto danneggiala la gloria musicale italiana. G. V. POLEMICA Al ma’. Tertulliano Celoni autore ali un COMPENSI» STORICO DELLA VlSn.V ANTICA K VIODEIINA Si suol gridare dai moralisti che gli uomini sono cattivi, che trovano troppo gusto a far il male, che il mettere a nudo i difetti l’un dell’altro è una delle voluttà più care all’umana natura... Se codeste belle cose si predicano degli uomini in genere, figuratevi poi quel che si dicedei critici o giornalisti che sono, nell’opiniongenerale, la specie più maligna della razza implume e bipede! Eppure noi oseremmo quasi sostener il contrario sol che avessimo voglia e tempo di pigliarci questa briga. I fatti non ci mancherebbero certamente a provarvi che, almeno per nostro conto speciale, anziché trovar gusto a dir male del prossimo, siamo tutta gioja quando ci riesce di palliarne i torti, di gettare il pietoso velo del silenzio sui molti falli in che spesso ci occorre veder incappato più d’uno dei nostri fratelli in Adamo. E uno di codesti nostri fratelli in Adamo fu appunto un tal signor Tertulliano Celoni di Firenze, il quale tempo fa ebbe a pubblicare un Compendio storico della musica antica e moderna, opera anzichenò difettosa come più avanti mostreremo, e bisognevole oltre ogni dire che a suo favore noi praticassimo la bella virtù di cui ci siamo or ora vantali, vale a dire la pietosa indulgènza del silenzio e della dissimulazione. Ed eccovi come avvenne il fatto. L’obbligo nostro ci recava a dover far cenno della pubblicazione del sig. Tertulliano Geloni di Firenze. Data una rapida occhiata al libro collo spirito tutto predisposto a trovarlo una bella e utile cosa che ci desse argomento a sfogare la istintiva nostra tendenza alla lode, ci trovammo non poco mortificati al vedere che la era tutt’altro, e che anzi sarebbe bisognato... Mi capite!.. Posti così nella affliggente congiuntura o di far torto al nostro buon naturale, ovvero di mancare troppo spiattellatamente ai nostri obblighi di critico, sapete voi a qual partito ci appigliammo?... al partito di mezzo, il solito che sogliono prendere gli animi di buona e timida pasta come siamo appunto noi. Ci siamo attaccati, come ad àncora di salvezza, ad un giorual musicale di Firenze, che pieno di carità più che fraterna, aveva trovalo modo di spargere il balsamo della lode sulla infelice pubblicazione del signor Celoni; abbiamo citate le proprie parole di quel giornale ove era detto A Ben meritò’ appresso gli amatori dell’arte musicale il signor Tertulliano Celoni, col suo Campendio storico della musica antica e moderna, esponendo in brevi tratti l’origine della musica in generale, ecc., ecc., e dandoci con rapidi cenni un’idea della scuola italiana, tedesca e francese...» (ri Dopo aver riprodotto questo favorevole giudizio della Rivista musicale di Firenze, noi ci tenevamo al tutto contenti e soddisfatti come chi senza mancare in qualche modo al dover proprio, ha recato al prossimo un vero servigio... Solo che quel benedetto prepotente stimolo della verità non potè star tanto soffocato in noi che, dopo le righe citate della Rivista di Firenze, non ci cadesse giù dalla penna, quasi senza accorgercene questa sciagurat a riga «L opuscolo del signor Celoni è pubblicalo presso Giovanni Mazzoni in un modo assai scorwetto e pregiudizievole al debole lavoro... 11 lettore accorto ha già nota’ta la pietosa astuzia da noi usata in questa breve frase, di gettare cioè sulle povere spalle del tipogx’afo la colpa dei difetti del libro, e ciò nella intenzione più che umana di non recar danno all’autore e di non suscitare la sua santa bile... E quanto a quel motto di debole lavoro ficcatosi in fin del periodo, ognun vede che dovette esser messo là come una salvaguardia al nostro onore di critici e alle nostre convenienze di giornalisti; che, ove mai fosse poi saltato fuora taluno a rimbrottarci d’aver lodato, sebbene con parole altrui, una povera e difettosa produzione, avessimo in serbo una piccola difesa... Ma per venir alle corte vuol egli sapere il lettore quale specie di buon viso piacque al signor Celoni di fare alla nostra astuta indulgenza?.. Niente meno che una lettera fulminataci di punto in bianco ove, con tuono suflicentemente caustico, e come in maniera di sfida, siamo invitati a provare col fatto ove sieno gli errori tipografici di che abbiamo dato colpa al suo stampatore, e come mai ci è bastato l’animo di chiamar debole lavoro il suo libro storico, il cjuale per essere stalo da lui dato come Compendio, vuol essere tenuto al tutto indenne da simil taccia. E la letterina impertinente anzichenò del signor Celoni si chiude con queste proprie parole «Attendo per ciò replica alla presente con detta rettificazione, diversamente terrò per calunnioso il suo articolo, giacché ella (la lettera è diretta personalmente al nostro Ricordi ) deve sapere quanto qualunque, che le impertinenze non sono ragioni e che quest’ultime soltanto formano la critica!» Ah signor Celoni crudele! (siam qui costretti ad esclamare) volete voi proprio costringerci a rinunziare con voi alla nostra mansueta natura d’agnello? Volete proprio che deponiamo la spazzola di pelo d’armellino che credemmo pietoso consiglio adoperare con voi, e costringerci a farvi odorare la punta dello staffile di Aristarco? Ebbene tanto sia del fatto vostro: da un lato ogni riguardo, e cominciamo dal convincere il signor Celoni, con una dose sufficenle di prove, che il suo Compendio storico è pieno zeppo di errori che noi, per essere coerenti alla nostra buona natura, continueremo ad attribuire a quel buon uomo di tipografo... Si tratta nientemeno che dei nomi i più noti nella storia musicale, alterati e sconciati in guisa da far veramente sorridere per non dir peggio; e per esempio: Zaclin invece di Zarlino; (!) Vedi i! N.° iCf delia nostra Gazzetta. [p. 217 modifica]Pistucchi invece di Pistocchi; invece di Pergolesi - Pergoles: invece di Jomelli Tomelli e in altro luogo Giomelli! Invece di Mozart - Mozat, e in altro luogo Morzat: Weigt invece di Weigl - Troeta invece di Trajetta; Melul invece di Mehul: Glnch invece di Gluch: Sauchini invece di Sacchini: Tetit invece di Fétis. La lista potrebbe essere allungata di quattro volte tanto, ma crediamo che i pochi or citati errori (tipografici! s’intende) bastino a far persuaso ogni lettore che è al tutto inutile produrne altri. E qui ci si permetta che, abbandonato un momento il tuono della mite ironia finora usato, diciamo chiaro e tondo al signor Celoni: Se non debbe essere lecito a chi si fa autore di un Compendio storico della musica lasciar stampare in barbara guisa falsificati i nomi della maggior parte delle più grandi celebrità, non meno acerba taccia gli è dovuta se ommette far cenno di quegli insigni che si resero al sommo benemeriti alla bell’arte; e questo maggiormente ove costoro sieno italiani.

Anche sotto questo punto di vista il Compendio del signor Geloni è meritevole del maggior biasimo, perocché nella parte che riguarda la nostra Italia egli dimentica di nominare Marchetti, Spatario, Gabrieli, Nanini, Petrucci, Merula, Benevoli, Allegri, Vecchi, De Majo, Frescobaldi, Caccini, Carissimi, Vinci, Valotti, Fenaroli; ecc., e venendo a’ tempi a noi più vicini nientemeno che si lascia nella penna i nomi di Generali, di Morlacchi, di Coccia, di Mercadante, di Rubini, di Lablache, di Tamburini, ecc. ecc.!!!

Vorremmo per la più spiccia accontentarci di affermare all’ingrosso che il Compendio Storico del signor Celoni è seminato di altri simili ed anco peggiori sbagli, ma poiché a lui non bastano le semplici asserzioni e fanno bisogno le prove di fatto, siam costretti con vero nostro dolore ad osservare i seguenti altri errori, che in verità ci è impossibile segnare nella partita di debito di messer lo tipografo.

1.° Lo Stabat Mater di Rossini è annoverato dal signor Celoni tra le composizioni drammatiche del gran pesarese, e nell’Elenco di queste è poi ommesso il Sigismondo! 2.° La Mula di Portici di Auber, è attribuita a Meyerbeer! 3.° È attribuita a Cherubini una messa di Brinvilliers, e al tempo stesso si ommette di registrare fra le composizioni dell’illustre autore delle Deux Journées il famoso suo secondo Requiem. 4.° Alla pagina 38 si dice «A Napoli vi sono tre Conservatori per i maschi; ve n’erano quattro a Venezia per le femmine»!! 5.° Afferma il signor Celoni come pubblicate nel 1571 le Istituzioni Armoniche dello Zarlino, laddove il furono tredici anni prima, nel 1558. 6.° Si dice creato da Handel, da Bach, da Haydn ecc., l’Oratorio, mentre chi veramente diede il primo saggio di codesta grande forma di composizione musicale-sacra fu san Filippo Neri (come accenna in una nota il signor Celoni medesimo cadendo in contraddizione con sé stesso) e i grandi maestri or nominati non fecero che recarla a perfezione cogli splendidi loro lavori. 7.° Si afferma alla pagina 53 che le orchestre in Francia sono ripiene di musicanti mediocri, indi solo due righe più sotto si nota che ivi le orchestre rigurgitano di talenti e di virtuosi!

Ma a che tirar innanzi più a lungo in questo esperimento di pazienza noioso per noi e pe’ lettori? - Se mai i non pochi sconci qui registrati non bastassero a convincere il signor Celoni che se ommettemmo di notarli nel primo nostro articoletto ch’egli chiamò offensivo, fu per un senso di bontà e di indulgenza, basterà un suo cenno d’avviso, e non mancheremo di compir l’opera. Ci rimane materia da tessere altri due articoli non meno del presente ricchi di citazioni d’errori di ogni specie e natura.


CARTEGGIO


MILANO LI...


Se non mi sbaglio la vostra Gazzetta ha adottata la massima di non far parola nelle sue colonne che dei cantanti di primo cartello, o, come direste voi, con bella eleganza, delle sommità artistiche, e lasciar quindi abbandonata alla oscurità del silenzio la folla delle mediocrità e degli infimi, dei quali poi non mancano di occuparsi con premura più che cordiale taluni altri nostri fogli da teatro. Credetemi, signore, la vostra massima è sbagliata: in primo luogo perché se veramente state fermo a non occuparvi che dei veri artisti di primo cartello, avrete ben di rado occasione di adoperar la penna, per la ragione semplicissima che la razza dei veri artisti di primo cartello è ai giorni nostri poco men che perduta; poi perché ben di frequente accade che siano molto più da lodare e a molto maggior diritto i novelli e principianti che non i provetti cantanti già vecchi alle glorie della scena. Questa vi parrà a primo tratto una proposizione assurda o contraddittoria; ma a che non abbiate a tacciarmi di stranezza mi spiego. I cantanti novelli ed esordienti son per solito non ancora guastati dalle adulazioni del mecenatismo e del procolismo, dalla superbia e dalla vanità cieca e irragionevole che si beve a dosi più che omeopatiche col lungo respirar l’aria de’ camerini e de’ proscenii, dalle ammirazioni iperboliche del giornalismo; in una parola si presentano al pubblico ancora incorrotti e per conseguenza ricchi ancora di tulle le belle qualità di una natura artistica ancor vergine e fresca e più o meno felice; il sentimento, la passione dell’arte è in essi ancora intatta e piena di vita e non esaurita o stanca; tutto questo perciò che riguarda la parte morale e psicologica della professione.

Per quanto è della parte fisica e materiale, voglio dire l’indole e i pregi della voce, il metodo di canto, la maggiore o minor robustezza e agilità naturale della gola, vi assicuro io che i giovani cantanti di primo o di secondo teatro al più, sono a condizioni ben migliori de’ cantanti provetti, i quali ebbero tutto l’agio e il tempo di arricchirsi dei tanti vizii di canto e di declamazione a sforzi di petto e a gridi, cosi di moda al presente e tanto applauditi anche dalle primarie platee, ebbero tutto il tempo e l’agio di dimenticare i buoni precetti, di falsare il metodo appreso, di logorarsi la laringe e di cambiare un organo vocale spontaneo, fresco, simpatico in uno stromento di gola (perdonate l’espressione) aspro, rauco, spossato, e che per conseguenza non dà più i suoi suoni se non a furia di sforzi, di impeti e sussulti. Il poco che vi ho detto credo basterà a convincervi che non ho poi profferita la gran bestemmia se v’ho sostenuto che spesso alla buona e savia critica, com'è quella che professate voi, signori della Gazzetta Musicale, torna più conto occuparsi degli artisti principianti che non di coloro che già sudarono molte stagioni sceniche sotto il glorioso pondo dell’alloro, e ponno già vantare de’ volumi di articoli laudatorii, delle raccolte di sonetti, e dei ritratti litografici nelle Strenne Teatrali!

Dopo tutto questo esordio lunghetto anzichenò permettete che mi occupi di una giovine artista che, per non essere ancora uscita dalla prima delle due categorie di cantanti or accennate, ha tutto il diritto ad una mia onorevole menzione, voglio dire madamigella Cazzaniga, che in queste sere sostiene la difficile parte della inspirata e passionata poetessa di Mlitilene sulle tavole anguste di quel teatro Re, che se è fatto proprio a cappello per gli spiritosi nonnulla del Vaudeville o per i modesti esperimenti della povera Talia italiana, non si conviene per nulla alle superbe finzioni di madama Melpomene quando veste la grande uniforme di parata. Ma questo sia detto per incidenza, e di volo, e si torni alla giovinetta nostra esordiente. Intendo cioè di dirle col mezzo del vostro giornale, il quale ha voce di non volersi lordare di adulazioni e piacenterie, intendo di dirle, che sono sufficientemente contento del fatto suo, in particolar modo nella scena finale, in quella specie di canto del cigno con preludio e accompagnamento d’arpa e flauto ch’ella eseguisce con sentimento naturale e non isforzato, con accentazione discretamente bene appropriata. Certo che io non verrò a pretendere in lei tutte le ricercatezze, tutte le malizie di canto, tutto lo spolvero teatrale che crederei dover esigere da una artista provetta, tutte cose che il più delle volte degenerano in manierismo, in affettazione, in impostura. E nondimeno la giovine Cazzaniga non manca di accennare qui e là che molto ben addentro ella sente ciò che costituisce la vera e buona eleganza del canto, e che alcune frasi di cantabile, alcune terminazioni del periodo melodico ella sa disegnarle con una spontanea finitezza non facile a potersi lodare in cantanti già da un pezzo abituali alle ampollose maniere e al falso genere di declamazione drammatica a’ giorni nostri venuto in tanta voga sulle così dette primarie scene liriche.

Solo che ho una giran paura che anche lei, madamigella Cazzaniga, in passando dai piccoli teatri ai grandi, dimettendo quella ingenua riserbatezza che rende sì caro e omogeneo il canto femminile, massimamente in alcune parti amorose e sentimentali, dimenticando i precetti d'una buona scuola, e contraendo tutte le funeste abitudini del cantar di mestiere, non devii dalla retta strada per gettarsi anche lei assieme alla turba al genere detto comunemente lirico-tragico, che meglio sarebbe chiamare con ben altro nome. E per essere franco e schietto dirò alla giovane artista, cui sono dedicate queste mie righe, che già qualche sintomo patologico di questa brutta malattia di moda... qualche indizio... certi slanci di voce un po’ sgarbatelli... Per ora non aggiungo altro, e solo le raccomando caldamente di porsi ben bene in mente questo aforisma dell’arte; se un cantante dramma- [p. 218 modifica]tico è naturalmente dotato dei doni di sentimento e dell’istinto dell’espression degli affetti, si affidi alla spontanea ispirazione del cuore e non tema di dare nelV esagerato e nelfalso’, se manca, per reproba indole, delle qualità psicologiche or accennate, non pretenda far violenza alla natura e spendere un denaro che non ha: egli crederà di potere, a furia d? artifizio e di sforzi, supplire alla ingenita sua povertà e darsi a credere ricco, ma non farà che mettere in circolazione della moneta falsa, la quale non avrà valore che per coloro che scambiano V orpello per oro, e confondono lo stagno coll9argento: intelligenti pauca! Perdonate, signor Estensore gentilissimo, questa lunga e forse nojosa cicalata ad un passionato amatore delVarte che da molti anni professa, e credetemi sempre il vostro devotissimo T. G. Maestro di Solfeggio. — Parigi. Mi affretto a soddisfare al vostro desiderio col trasmettervi «alcune notizie del mondo filarmonico parigino. Cominciamo dal nostro Donizelti. -È inutile che vi dica delle ire e dei dispetti che la sua fortuna musicale sveglia e attizza nel cuore dei tanti compositorucci francesi, i quali con occhio di gelosia e di invidia veggono l’insigne italiano. fatto centro di quel tanto favore che bramerebbero dividere tra essi foss’anche in dosi omeopatiche. Ma Donizetti con quel suo fare da cinico amabile e disinvolto finge di non accorgersi di questi non bene velati mali-umori, c quando si scontra nei Salons coi suoi rivali pigmei si vendica di essi con delle buone strette di mano a coloro che gli vengono vicino e con dei sonori adieu a que’ che si allontanano. È giusto però che vi dica che nò Aubcr, nè Halevy, nò Adam, nè Berlioz, nò altri pochi dei veri ingegni che può vantare la scuola francese partecipano di questi piccoli rancori. Essi tutt’al più, soddisfatti della propria loro gloria, (ed hanno di clic essere contenti) non pensano ad invidiare quella che a buon dritto raccoglie il fecondo autore della Linda. Approposito della Linda! Quest’Opera, come avrete veduto in pressoché tutti i giornali parigini, va guadagnando sempre più nel favore del pubblico schizzinoso del Teatro Italiano, e ciò grazie a molli tagli fatti nello spartito con generosa forbice. A questo medesimo Teatro Italiano si stanno ora facendo le prove della Lucrezia Borgia e del Tancredi. Vedete quindi che qui non si è dimenticato Rossini! I Parigini amano anzi essere di tanto in tanto ricreati dalla musica esilarante del gran maestro; c quando non possono godersi a loro modo delle stupende sue ispirazioni buffe, sono più che contenti che si ricorra a qualche vecchio spartito serio. I parigini hanno ragione; c nella loro inesauribile simpatia per la musica rossiniana mostrano maggior finezza di gusto e più sottile accorgimento che non voi altri Italiani i quali dopo avere fanatizzato alla pazzia per il genio di Pesaro, ora sembra Io abbiate poco mcn clic obbliato. Spetta a voi altri, signori redattori della Gazzetta musicale milanese, il sindacare le cagioni di questa ingrata dimenticanza che potrebbe forse esser presa come indizio di progresso e raffinamento nel gusto e nel criterio musicale degli Italiani, se non dovesse essere pigliata per sintomo opposto. Il vostro Banderali, che, come sapete,ò professore di canto e di declamazione presso questo reai Conservatorio, fu nominato membro della Lcgion d’onore in premio delle utili sue fatiche. Vedete che qui si hanno in qualche conto i buoni artisti italiani! Ma se si apprezza debitamente l’ingegno straniero non si onorano meno i talenti nazionali. Presso il Conservatorio si ò aperta una sottoscrizione per erigere un monumento alla memoria di Baillot. A voi a giudicare: decorazioni e nastri pei vivi, lapidi c cippi di marmo pei defunti; quali più lusinghevoli eccitamenti per l’ambizione artistica?... A proposito di sottoscrizioni. In uno dei passati fogli della vostra Gazzetta vidi accennata la speranza che avesse a fondarsi nella vostra bella Milano una società filarmonica destinata a far gli onori della musica classica! Sarebbe tempo che anche voi altri signori lombardi vi stancaste di limitare il vostro culto alle effimere creazioni dei componi torelli da dozzina che tengono lo scettro delle vostre scene, e pensaste una volta a ritemperare il vostro gusto un tantino corrotto, ricorrendo alle vere e buone fonti del hello musicale! A quest’uopo nulla di meglio di una società musicale fondata da valenti e disinteressali artisti ed amatori. Veggo però molte difficoltà a chè il bel progetto di cui fu fatto parola nel vostro giornale possa avverarsi nei modi più opportuni a raggiugnere Io scopo proposto. Piacciavi sapermene dire qualche cosa al più presto (1). C. G. Ci scrivono da Londra «Le feste musicali si succedono nella nostra Inghilterra con molta frequenza. Prendono in questo paese molta voga i concerti a grandi masse vocali e slromentali; e per vero chi voglia formarsi una imponente idea della potenza della musica deve assistere ad uno di codesti così detti festival, nei quali dalle seicento alle ottocento parti tra canto e suono eseguiscono qualche grandioso capo-lavoro di genere sacro od eroico. Nella vostra Italia il gusto per codesta specie di musicali solennità ò ancora cosa al tutto nuova. Ne aveste qualche saggio nell’occasione dello Stabat Maler di Rossini, ma quanto siete ancora lontani dall’aver potuto apprezzare questa specie di colossali concerti sostenuti da un esercito di professori ed artisti tutti di primo valore! La Germania ò la vera patria dei concerts-monstres. Ultimamente il famoso pianista Thalberg passato da Liverpool, diede un’accademia ove colse clamorosi applausi e,quel che per lui più conia, (intascò parecchie centinaia di sterline. La gloria a suon di ghinee ha per molti artisti un’attrattiva singolare! (1) Non ci^ó possibile per ora soddisfare alla curiosità del nostro corrispondente. NOTIZIE VARIE — Milano. Siamo persuasi che tutti i nostri filarmonici udranno con piacere la notizia del prossimo arrivo del celebre Bochsa, maestro, come ognuno sa, resosi in sommo grado benemerito agli studj dell’arpa perla straordinaria sua esecuzione per gli utili suoi metodi, e per le altre molteplici sue opere che aumentarono assai le risorse di questo stromento. 11 grande arpista ò accompagnato da madama Bishop cantante di concerti che in Russia, Svezia, Inghilterra, Danimarca e Germania ottenne il più brillante successo, e che ebbe l’onore in qualche città di esser fatta soggetto di paragone nientemeno che colla Pasta, Malibran c Sontag. Bochsa e madama Bishop si produrranno fra noi pubblicamente, e così potremo col nostro voto confermare l’europea fama del primo, e verificare la decantata abilità dell’altra. — Nello (Stabilimento J Ricordi trovasi in lavoro lo Stabat Mater di Rossini ridotto in armonia per quattordici stromenli da Giovanni Andrò come fu eseguito alla presenza dell’incomparabile compositore nell’occasione che nel passato agosto si festeggiava in Bologna l’onomastico di lui, e quanto prima presso Ricordi si pubblicheranno pure sei duetti sopra motivi originali per pianoforte e violino di Wolff e de-Bòriot ed altri due pezzi per gli stessi slromenti del sud. Wolff con Vieuxtemps, violinista che ora a Vienna è tanto vivamente encomiato. — Saint-Leon violinista Jfra i primi per sicurezza e scioltezza nel maneggio dell’arco, per bella cavata, per capricciosa ed ardita bravura; e Cavallini, il Paganini del clarinetto, almeno in quanto a difficoltà sorprendentemente superale, si produssero mercoledì sera in un’accademia nell’1. R. teatro alla Scala. Vi ottennero moltissimi applausi e pochissimi spettatori; non più di dodici palchi si videro occupati! Oramai è uopo persuadersi che i Milanesi non hanno grande amore alle pubbliche accademie istromentali. Nò valga il rispondere, cogli esempii di Listz e di Thalberg, poiché in questi casi sarebbe a domandare quanta c qual parte ha la Moda e il Bon-ton nell’empire i palchetti di lionesse e di lioni; e se quei sommi verrebbero colmati dei medesimi meritati onori e favori di cassetta e di bacile ove non potessero raccomandarsi con un nome forestiero! Il maggiore o minor numero di consonanti nel nomedi un’artista contribuisce assai presso noi Milanesi aila maggiore o minor fortuna dei concertisti che si producono sui nostri teatri. — Torino. «Finalmente anche noi Torinesi potemmo udire l’ultimo lavoro del Pesarese, ed esser in grado di manifestare il nostro giudizio sulle singolari bellezze di arte e di concetto di cui lo Stabat Mater è ridondante. 10 che vi scrivo non pretendo nè voglio pormi in ischiera coi dotti per farmi a cercare, come si suol dire, ii pelo nell’uovo, e andare in traccia di mende di cui pur troppo non può essere immune veruna opera umana: mi tengo pago a dirvi che tutti noi da indefinibile estasi fummo trasportati, e nuove delizie ci vennero schiuse dalla sacra creazione rossiniana, la quale, come avvenne di quella dell’illustre Pergolesi, ora vien tacciata di profana, per esser poi in compenso dai più tardi posteri qualificata di divina. Ottanta islromentisti (primo fra questi Chebart), e cento cantanti (compresi gli alunni e le allieve deiraccademia filarmonica) di cui capo era il Buzzi, fecero vaga mostra di sè disposti con bell’ordine sui palco scenico del teatro Carignano. Con perizia e zelo il valente giovane maestro Fabbrica diresse la numerosa schiera; in un mirabile accordo le voci unironsi agli stromenti. L’imponente introduzione dispose a meraviglia ogni animo. CiafTci fu maggior di sè stesso nella prima aria tessuta di sì tenera cantilena e da sì vigorosa stromentazione colorita. L’elegante duetto fra le Boccabadati e Fouchèriuscì di sommo effetto. Colini mostrò la sua valentia nell’aria successiva. Venne replicato il meraviglioso recitativo e coro senz’accompagnamento in cui parve risorto 11 Palestrina. Dopo l’applaudito quartetto e la cavatina nella quale fecesi onore la Fouchè, fuvvi un momento di entusiasmo al versetto Inflammatus et accensus: la Bortolotli interpretò con anima e valore questa sublime evocazione. I! quartetto a voci sole3questa mirabile creazione di un genio severo e inspirato ad un tempo, venne interpretato in guisa che tutte ne emersero le bellezze di concetto e di lavoro. La fuga finale venne ripetuta come i due pezzi che la precedettero. La perfetta esecuzione dello Stabat a cui oltre i nominati principali cantanti presero parte Mei e lo Scalesc, ebbe già luogo due serequattro altre con impazienza si aspettano (1)». * Non abbiamo mutato sillaba a questa lettera favoritaci da un corrispondente della cui schiettezza e sincerità siamo più che sicuri. Trattandosi dello Stabat di Rossini volemmo anche far grazia ad alcune espressioni enfatiche che non debbono diventare abituali nel nostro frasario. Ci piacque conservare anche la nota del detto corrispondente ove accenna, all’articolo della Gazzetta piemontese, che noi non abbiamo letto. Agsimmiamo per nostro particolar conto che un giudizio critico dello Stabat rossiniano, dettato con molta dottrina e finezza di gusto estetico, abbiamo letto negli elefanti articoli dati dal professore Bigiiani al Messaggere Torinese Veggansi gli ultimi numeri di questo giornale. — La France Musical raccomanda con calore a’suoi lettori Les Soufenies de Beetiiofex, Grande fantaisie pour piano, par E. Fedde.t. A tutti i pianisti di Parigi, ella dice, era nolo questo pezzo prima che si pubblicasse. E in fatto la fama di Prudent a Parigi fu dovuta in gran parte all’avere saputo far gustare una sì distinta produzione che a primo tratto ottenne gli encoinii di Auber, di Halevy, di Adam, di Caraffa, ecc. - I Souvenirs di Beethoven sono degni della fortuna ottenuta dai migliori pezzi di Thalber». — Un’altra pubblicazione musicale raccomandata dall’anzidetto giornale parigino ò VAlbum du chaht de 4843, di Teodoro Labarre. Questa Album si compone di otto pezzi ad una voce e di un notturno; i Salons di Parigi lo hanno già accollo come una produzione del buon genere, e quando la moda ha profferito il suo voto, non c’è più remissione, o bisogna accetlario o passare per gente senza gusto e senza fashion. L’Album di Labarre si vedrà sulle toiletles delle nostre gentili dilettanti se pure il nostro Ricordi non avrà qualche cosa di meglio da offrir loro per strenna musicale del ihiS. — Leggiamo nel Menestrel: Il sig. Corredino Kreutzer, uno tra i buoni compositori tedeschi, l’autore delrapplaudita Opera, l’na Nolte a Granala, arrivò a Parigi. Presentalo al sig. Crosnier, Direttore del Favai-1, dall’illustre Meyerbecr, il sig. Kreutzer venne accolto molto favorevolmente, c non è difficile clic il teatro or nominato produca quanto prima una sua Opera comica. — L’amore alla musica di Beethoven va facendosi sempre più generale nel mondo filarmonico parigino. Mercè lo zelo instancabile della Società dei Concerti della Bue Vimenne si venne a poco a poco propagando il gusto e l’intelligenza delle elevale bellezze caratteristiche dello stile del grande compositore tedesco. Ùltimamente si eseguì con affollato concorso la famosa Sinfonia pastorale di Beethoven, e tutto il pubblico fu rapito dalla grandezza e originalità dei concetti di questa composizione-modello. — Leggiamo nella G. NI. de Paris: • Sotto il titolo di A endemìe de chant des amateurs de Paris i signori Bordogni e Panofha fondano una istituzione alla quale vorremmo presagire il più brillante avvenire. Essi hanno per iscopo di radunare gli amatori della buona musica vocale e di educarli a cantare la musica concertala dei migliori maestri di tutte le scuole, quella di Bach, Beethoven, Cherubini, Gluck, Handel, Haydn, Jomeili, Lesueur, Marcello, Mozart, Palestrina, Pergolese, e dei principali maestri viventi. Per essere ammessi a queste accademie istruttive basterà aver buona voce, saper solfeggiare, e possedere l’educazione musicale sufficiente a saper leggere una parte di corista. Il prospetto esporrà poi più ampiamente le basi di questa istituzione, fondata ad imitazione dell’accademia di canto di Berlino. — Un giornale francete reca le seguenti righe:» S. M. Carlo Alberto re di Sardegna, mandò, col mezzo del suo ambasciadore a Parigi, il marchese di Brignoles-de-Sales, al sig. Prospero di Saint-d’-Arod, compositore di musica sacra, un magnifico anello di pietre preziose di gran valore, in occasione di un Te Deum che l’artista compose quest’inverno passato pel matrimonio del principe reale il Duca di Savoja. Questa partitura venne ultimamente eseguila in una seduta accademica e giudicata lavoro commendevole. — Due Opere nuove furono rappresentale nello scorso mese di novembre a Vienna e a Praga. A giudicare dalla G. NI. di Piemia, la prima tragica, intitolata: Caterina Cornaro, del maestro di Cappella alla Corte di Baviera, sig. Laclmcr, avrebbe eminenti bellezze drammatiche, senza essere troppo vantaggiosa per la parte vocale; la seconda a Praga, intitolata Adele de Foix, del maestro di Cappella sassone Beissiger, presenterebbe una musica piacevole, senza nuove idee e nuove forme. L’esecuzione di ambe queste Opere fu in totale soddisfacente. (f) Infatti esse ebbero ‘luogo con sempre crescente successo. Leggasi il bellissimo articolo del sig. Romani nella Gazzetta Piemontese. - L’impresa, nelle sei esecuzioni dello Stabat, introitò non meno di frantili 35000. GIOVASSI RSl’OISaU EDITORE-PROPRIETARIO. s dan clas lum app TOL Sali’ I. SI. gtalìtlimciista Nazionale Privilegiato «li Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVASSI EtSCOISDI Contrada degli Omenmi Jf. 1720.