mante od un pezzo di metallo destinato
ai lavori dell’arte. L’oro dee servir per
oro, l’argento per argento. Voler portare
z&ji tutte le voci ad una equabile elevatezza
© di suono è come voler fare di tutto il genere
umano una schiatta di Ciclopi e di
Briarei. Le cose fatte dalla natura son
tali che non si possono cangiare senza distruggerle;
ed ancorché la pena della distruzione
ricada spesse volte sopra chi non
dovrebbe portarla, la colpa è tutta di coloro
che pretendono di mutar le sue leggi:
per ciò su di essi soli pesa la responsabilità
dei mali che ne conseguono.
Nel caso che noi parliamo i guai che’scaturiscono
sono più d uno: primo quello della
rovina della salute de’poveri individui che
non solo perdono la voce, ma logorano la
robustezza del petto e quindi il vigore necessario
alla buona conservazione della macchina:
un altro il danno della perdita di
tutte le spese impiegate nella musicale educazione,
la quale, come ognun sa, è tale
che non può riescile indifferente se non a
chi sia largamente ricco: un altro è quello
di privare gli allievi di quella fortuna che
avrebbero sicuramente raggiunta percorrendo
una carriera ove divengon doviziosi
anche coloro che mancano del senso comune:
un altro ancora è il togliere al tea|
tro e fraudare al pubblico tanti individui
che per avventura avrebbero col loro talento
recato splendore e sostenuta la periclitante
arte melodrammatica.
| Di tutti cotesti guai non s’aggrava il; carico sopra alcuno come sui maestri, i
quali non solamente dovrebbero ammae!
strare a conoscere le note, ma anche a
J ben regolare e conservare la voce. Sia però
| detto con pace di tutti: tra noi i maestri
I di canto si curano delle crome, si curano
del tempo, si curano di molte altre cose
che sono d’assai minore importanza, ma
della voce del povero scolare poco se ne
infastidiscono. Parecchi facendo il maestro,
solo per avere studiato il pianoforte,
non conoscono nè possono concepire di
quanta importanza sia la conservazione
dell’organo vocale, e si mettono quindi
in capo come dogmi inoppugnabili le più
strane idee possibili. Mi ricordo aver udito
un certo tale a cui sembrava di far insegnamenti
di morale procurando di persuadere a
tutti che prima d’ogni cosa nello studio del
canto bisogna al principiante formare il centro
del registro, vale a dire bisogna avvezzarlo
ad estendere la voce a quante corde sono nel
corpo d’un clavicembalo; e con siffatti principj
dava lezioni eli canto. Che frutti raccogliesse
dalle sue istruzioni è facile immaginarlo.
Procurai di persuaderlo del suo
inganno dicendogli che il centro della voce
10 forma la natura, e che niuno la può
violentare senza sentirne pregiudizio, adducendo
a conforto delle mie parole l’esempio
recentissimo di una giovane, la quale
dotata di voce bellissima, di leggiadrissima
persona, di particolare sentimento
musicale, avea dovuto abbandonare il teatro
solo dopo un anno di prova, perchè
i suoi Chironi l’avevano forzata a cantare
11 soprano quando il suo organo vocale era
di contralto, e mentre io mi lusingava che
j ei fosse per lasciarsi convincere, mi voltò
le spalle fuggendo come da un eretico,
j Credo eli’ ei viva ancora nella sua persuada
sione.
ijfj Ma lasciando che i fautori delle torte opinioni
se ne compiacciano tra loro, io vorrei
W&È ricordare a tutti il fatto di quella giovane,
Wfijm acciocché possa far ravvedere dell’error suo
quelli che non sono ostinati. È un argomento
questo troppo delicato e di troppo
grave importanza perchè si trascuri di recarvi
quella luce che può scemare gl’inconvenienti.
Per me, proponendomi di ritornare
sopra una materia che può fornire
e fornirà elemento per molti altri articoli,
credo per ora d’aver fatto il mio migliore
rivelando intanto il male, ed esortando gli
altri a porvi riparo. Se non ne verrà gran
bene ne verrà forse quello di rendere minore
il numero dei disordini che hanno
già molto danneggiala la gloria musicale
italiana.
G. V.
POLEMICA
Al ma’. Tertulliano Celoni autore ali un
COMPENSI» STORICO
DELLA VlSn.V ANTICA K VIODEIINA
Si suol gridare dai moralisti che gli uomini
sono cattivi, che trovano troppo gusto
a far il male, che il mettere a nudo
i difetti l’un dell’altro è una delle voluttà
più care all’umana natura... Se codeste
belle cose si predicano degli uomini in genere,
figuratevi poi quel che si dicedei critici
o giornalisti che sono, nell’opiniongenerale,
la specie più maligna della razza implume e
bipede! Eppure noi oseremmo quasi sostener
il contrario sol che avessimo voglia
e tempo di pigliarci questa briga. I fatti
non ci mancherebbero certamente a provarvi
che, almeno per nostro conto speciale,
anziché trovar gusto a dir male del
prossimo, siamo tutta gioja quando ci riesce
di palliarne i torti, di gettare il pietoso
velo del silenzio sui molti falli in che
spesso ci occorre veder incappato più d’uno
dei nostri fratelli in Adamo. E uno di codesti
nostri fratelli in Adamo fu appunto
un tal signor Tertulliano Celoni di Firenze,
il quale tempo fa ebbe a pubblicare
un Compendio storico della musica
antica e moderna, opera anzichenò difettosa
come più avanti mostreremo, e bisognevole
oltre ogni dire che a suo favore
noi praticassimo la bella virtù di cui ci
siamo or ora vantali, vale a dire la pietosa
indulgènza del silenzio e della dissimulazione.
Ed eccovi come avvenne il fatto.
L’obbligo nostro ci recava a dover far cenno
della pubblicazione del sig. Tertulliano
Geloni di Firenze. Data una rapida occhiata
al libro collo spirito tutto predisposto
a trovarlo una bella e utile cosa che
ci desse argomento a sfogare la istintiva
nostra tendenza alla lode, ci trovammo
non poco mortificati al vedere che la era
tutt’altro, e che anzi sarebbe bisognato...
Mi capite!.. Posti così nella affliggente congiuntura
o di far torto al nostro buon naturale,
ovvero di mancare troppo spiattellatamente
ai nostri obblighi di critico, sapete
voi a qual partito ci appigliammo?... al
partito di mezzo, il solito che sogliono prendere
gli animi di buona e timida pasta
come siamo appunto noi. Ci siamo attaccati,
come ad àncora di salvezza, ad un
giorual musicale di Firenze, che pieno di
carità più che fraterna, aveva trovalo modo
di spargere il balsamo della lode sulla infelice
pubblicazione del signor Celoni; abbiamo
citate le proprie parole di quel giornale
ove era detto A Ben meritò’ appresso
gli amatori dell’arte musicale il
signor Tertulliano Celoni, col suo Campendio
storico della musica antica e moderna,
esponendo in brevi tratti l’origine
della musica in generale, ecc., ecc.,
e dandoci con rapidi cenni un’idea della
scuola italiana, tedesca e francese...» (ri
Dopo aver riprodotto questo favorevole giudizio
della Rivista musicale di Firenze, noi
ci tenevamo al tutto contenti e soddisfatti
come chi senza mancare in qualche modo
al dover proprio, ha recato al prossimo
un vero servigio... Solo che quel benedetto
prepotente stimolo della verità
non potè star tanto soffocato in noi che,
dopo le righe citate della Rivista di Firenze,
non ci cadesse giù dalla penna,
quasi senza accorgercene questa sciagurat a
riga «L opuscolo del signor Celoni è pubblicalo
presso Giovanni Mazzoni in un
modo assai scorwetto e pregiudizievole al
debole lavoro... 11 lettore accorto ha già
nota’ta la pietosa astuzia da noi usata in
questa breve frase, di gettare cioè sulle
povere spalle del tipogx’afo la colpa dei difetti
del libro, e ciò nella intenzione più
che umana di non recar danno all’autore
e di non suscitare la sua santa bile... E
quanto a quel motto di debole lavoro ficcatosi
in fin del periodo, ognun vede che
dovette esser messo là come una salvaguardia
al nostro onore di critici e alle nostre
convenienze di giornalisti; che, ove mai
fosse poi saltato fuora taluno a rimbrottarci
d’aver lodato, sebbene con parole altrui,
una povera e difettosa produzione,
avessimo in serbo una piccola difesa... Ma
per venir alle corte vuol egli sapere il lettore
quale specie di buon viso piacque al
signor Celoni di fare alla nostra astuta indulgenza?..
Niente meno che una lettera
fulminataci di punto in bianco ove, con
tuono suflicentemente caustico, e come in
maniera di sfida, siamo invitati a provare
col fatto ove sieno gli errori tipografici di
che abbiamo dato colpa al suo stampatore, e
come mai ci è bastato l’animo di chiamar
debole lavoro il suo libro storico, il cjuale
per essere stalo da lui dato come Compendio,
vuol essere tenuto al tutto indenne
da simil taccia.
E la letterina impertinente anzichenò
del signor Celoni si chiude con queste proprie
parole «Attendo per ciò replica alla
presente con detta rettificazione, diversamente
terrò per calunnioso il suo articolo,
giacché ella (la lettera è diretta personalmente
al nostro Ricordi ) deve sapere
quanto qualunque, che le impertinenze
non sono ragioni e che quest’ultime soltanto
formano la critica!»
Ah signor Celoni crudele! (siam qui costretti
ad esclamare) volete voi proprio costringerci
a rinunziare con voi alla nostra
mansueta natura d’agnello? Volete proprio
che deponiamo la spazzola di pelo d’armellino
che credemmo pietoso consiglio
adoperare con voi, e costringerci a farvi
odorare la punta dello staffile di Aristarco?
Ebbene tanto sia del fatto vostro: da un
lato ogni riguardo, e cominciamo dal convincere
il signor Celoni, con una dose sufficenle
di prove, che il suo Compendio storico
è pieno zeppo di errori che noi, per
essere coerenti alla nostra buona natura,
continueremo ad attribuire a quel buon
uomo di tipografo... Si tratta nientemeno
che dei nomi i più noti nella storia musicale,
alterati e sconciati in guisa da far
veramente sorridere per non dir peggio;
e per esempio: Zaclin invece di Zarlino;
(!) Vedi i! N.° iCf delia nostra Gazzetta.