[p. 40modifica]A stornarla dagli studii sopravvenne l’esiglio ch’ella prese da Mitilene, come abbiamo dai Marmi di Paro (Epoca 37, da raffrontare con Ovidio, Eroid., XV, 52): dove non rimane traccia dell’anno cancellato dal tempo; che i dotti conghietturando supplirono. Quell’anno, secondo il Müller, si vuol collocare tra l’Olimp. XLIV,1, e l’Olimp. XLVII,2: verso l’Olimp. XLVI, A.C. 596, par ch’esulasse la Nostra, nella più rigogliosa età sua. Nè anche accennano i Marmi il perchè dell’esiglio: bensì, ponendosi fuggita, non partita, Saffo, pensano il Barthélemy (Anacarsi, Suppl., III) e il Visconti, ch’ella evesse partecipato [p. 41modifica]alle contese civili d’allora. Più alla sicura il D’Ajano assevera ch’ella cospirasse col poeta Alceo contro Pittaco, uno de’ sette Sapienti, Signore di Mitilene; e che, sconfitti i congiurati, ricoverasse nella Sicilia; donde rimpatriasse per lo perdono generale di Pittaco. Non esce del probabile ch’ella s’impacciasse nelle gare civili con Alceo, riottoso spirito, nel quale parve rivivere il mordace e peggiore Archiloco; al quale Alceo s’era dapprima, per amor dell’arte, accostata e divenutagli amica. Ma quell’Alceo, che n’ottenne amicizia, la richiese anco d’amore: ella rifiutò. Sappiamo per Aristotile (Rettorica, I, 9) come chiedesse il poeta e come la poetessa rispondesse. Quegli dimanda a fior di labbra, peritoso per verecondia o per presentimento della repulsa: l’altra intende subito, come le donne sogliono; e se ne spaccia con un luogo topico della rettorica femminile, con una di quelle risposte che ogni femmina, letterata o no, pudica o impudica, tien pronte per amator discaro. Innanzi ad amatore discaro ogni Lucrezia Borgia si trasforma in Lucrezia Romana o Lucrezia Mazzanti. Nè mancò tuttavia chi credesse nato da momentaneo sdegno quel rifiuto amaro: perciocchè, [p. 42modifica]secondo Ermesianatte citato da Ateneo (XIII), Alceo soleva cantar sulla cetra questo amore. E d’Alceo ci pervenne un saluto a Saffo (nell’Arte di Attilio Fortunaziano): «Saffo, dalle chiome di viola, casta, dal dolce sorriso.» Comunque sia, di questi amori possiamo favellare e credere; e non rimandarli tra le favole, come quelli della Nostra con Anacreonte, immaginati da Ermesianatte e Camaleonte (Ateneo, XIII), per istorpiar la cronologia; cui più dottamente dislogò le ossa il Cramer, inventando il sincronismo d’Anacreonte e Saffo. Se non ripugna alla cronologia, come il Visconti (Ivi, I, 1, 6) osservò, che i due si conoscessero, ben ripugna che s’amassero, quella attempata, l’altro giovanissimo e voluttuosissimo. Ove mai quel da Teo avesse dimandato amore alla vergine dalla soave loquela (parole d’un frammento anacreontico per Saffo, nell’Arte di Attilio Fortunaziano), pronta risposta avrebbe ricevuto; Saffo medesima ce ne accerta:
Se amico inver mi sei,
Cerca più fresca amica:
Non io vorrei, men giovine, costante
Dimestichezza con più verde amante.
(Framm. XVIII) [p. 43modifica]Sugli amori suoi con Archiloco di Paro e Ipponace d’Efeso (poeti satirici, il primo anteriore, l’altro posteriore a lei), più liberamente fantasticati dal drammatico Difilo di Sinope, citato per Ateneo (XIII), non accade fermarsi.