[p. 23modifica]Il biografo, che ad ogni passo della vita saffica scontra una quistione, è ridotto a dover disputare eziandio sulla costei bellezza o deformità, sulla impudicizia o castità. Ma della castità nel §.VII. Delle sembianze varia negli scrittori il giudizio. Angela Veronese, interrogata dal Foscolo giovine che pensasse di Saffo, da femmina accorta «penso, risposi, ch’ella fosse più brutta che brava, poichè Faone l’abbandonò... Oh! cosa dici, ragazza mia? esclamò Foscolo: questa è una bestemmia: Saffo era bellissima, grande, bruna, ben fatta, ed avea due occhi che pareano due stelle (Notizie sulla vita di Aglaja Anassillide, scritte da lei medesima, e preposte ai suoi Versi, Padova, Crescini, 1826).» Ma s’ella avesse raggiato di bellezza come di poesia raggiò, non se ne disputerebbe: indizio pessimo in cotal materia la disputa. Chi la presume bella, fondasi nelle testimonianze di Platone (Fedro), Plutarco (Amatorio), Giuliano (Epistola ad Ecebolo, 19), Eustazio (Sull’Iliade, xx), Temistio (Oraz., xx), [p. 24modifica]Anna Comnena (Alessiade). Ma i passi di costoro ― testimonii d’udita, non di veduta ― si vogliono intendere con Massimo Tirio della leggiadria poetica, o, al più, della giocondità e amabilità delle maniere; dell’agréable francese. «Graeci revera hoc vocabulum (pulchritudo) viris etiam propter librorum venustatem non raro largiuntur (Neue).» Nè il frammento sopraccitato d’Alceo fornisce argomento di bellezza: sibbene e solamente di piacevolezza, di grazioso e aggradevole aspetto. La volgare opinione contraria allega Ovidio (Eroid., xv, 31 e seg.) e Massimo Tirio (Dissert.xxiv), che vogliono la poetessa più traente al brutto che al bello; piccina e scuretta; sentenza forse la più probabile. Credibilissimo in questo Ovidio poeta, più che uno storico: poichè i poeti spesso cantando le brutte abbellano, mai le belle non deformano a scapito della poesia; e, nel caso d’Ovidio, a scapito del suo proposito d’intenerir Faone. Ovidio dunque la dipinse bruttina per non si contrapporre, senza buon effetto, alla più vera e diffusa fama. Nè troppo diversamente ne tratteggia le forme Damocari nell’epigramma altrove citato, descrivendo una pittura che la [p. 25modifica]ritraeva: — di sfavillanti occhi, raffiguranti la speditezza vivacissima della fantasia; di cute osservabile per ispontanea liscezza, non procacciata dall’arte; di mezzana grassezza; di volto la cui cera ilare ed umidetta accusava unita in lei la poesia con Venere. — Tutto cotesto, certo, non fa bellezza.