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Anna Comnena (Alessiade). Ma i passi di costoro ― testimonii d’udita, non di veduta ― si vogliono intendere con Massimo Tirio della leggiadria poetica, o, al più, della giocondità e amabilità delle maniere; dell’agréable francese. «Graeci revera hoc vocabulum (pulchritudo) viris etiam propter librorum venustatem non raro largiuntur (Neue).» Nè il frammento sopraccitato d’Alceo fornisce argomento di bellezza: sibbene e solamente di piacevolezza, di grazioso e aggradevole aspetto. La volgare opinione contraria allega Ovidio (Eroid., xv, 31 e seg.) e Massimo Tirio (Dissert.xxiv), che vogliono la poetessa più traente al brutto che al bello; piccina e scuretta; sentenza forse la più probabile. Credibilissimo in questo Ovidio poeta, più che uno storico: poichè i poeti spesso cantando le brutte abbellano, mai le belle non deformano a scapito della poesia; e, nel caso d’Ovidio, a scapito del suo proposito d’intenerir Faone. Ovidio dunque la dipinse bruttina per non si contrapporre, senza buon effetto, alla più vera e diffusa fama. Nè troppo diversamente ne tratteggia le forme Damocari nell’epigramma altrove citato, descrivendo una pittura che la