Firenze artigiana nella storia e in Dante/Capitolo I

Capitolo I

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Capitolo II

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I

Maestà, Altezza Reale,

Eccellenza, Signore e Signori,

Un'accolta di uomini industriosi e forti, dalle alture di Fiesole etrusca, aveva, nei lontani secoli, derivata al piano un'etrusca borgata. I loro discendenti, dispersi dal flagello di Silla, trionfatore delle italiche resistenze al sormontare degli ottimati, lasciavano dietro sé come le tracce al formarsi poco dipoi una stazione qui sul « passo d'Arno»1, che fu colonia romana, col suo Campidoglio e l'Anfiteatro e le Terme, e [p. 14 modifica]«al Genio della colonia di Fiorenza» inti- tolò un marmo, Genio colonlae Florentiae, che le rovine barbariche sprofondarono ad essere custodito nel sacro terreno del nostro incunabolo, donde noi, vissuti del dicianno- vesimo secolo, l’abbiam veduto balzare 2 ). «Dal monte e dal macigno» proverbierà poi Dante, ne’ crucci dell’indegno esilio, quella derivazione fiesolana, quasi preistorica alla «gran villa» di continuate memorie: ma «sementa santa» chiamerà i Romani «che qui rimasero», distaccandosi dal seno della grande madre latina ad esser Firenze 3 ). Noi che, dopo tanto corso di storia fiorentina e italica, rimontiamo a quelle recondite origini, e da esse discendiamo i secoli di Firenze cristiana, di Firenze longobarda e carolingia, di Firenze matildica; possiamo, nel fermarci con legittimo orgoglio gentilizio ai primordi del nostro Comune glorioso, rivolger anche un pensiero non senza affetto a quella borgata a quella colonia [p. 15 modifica]di uomini mercatanti. Perocchè è orgoglio nostro gentilizio, che prima affermazion di Comune fosse ai Fiorentini, sin dal governo dei Consoli, il distendere le forze benefiche della novella società al contado mal sorteggiato fra lavoratori e dominatori; e coteste forze adoperare come arma di giusta guerra contro le castella di questi a tutela dei diritti di quelli; e nelle gare tra Chiesa e Impero, e nelle malaugurate contese di territorio con gli altri Comuni, aver fatto sin d’allora vessillo di popolo il giglio de’ nostri campi fiorente; e commerci popolari e industria d’arti utili e abbellitrici aver voluta l’azione che Firenze da quel suo primitivo nido di mercatura effondesse dintorno a sè, in cerchi sempre più vasti, che poi dovevano investire tutto il mondo civile.

La Firenze grande è artigiana, o Signori; e anche nelle più nobili e squisite manifestazioni dell’intelletto e del sentimento è artigiana. I suoi magistrati hanno [p. 16 modifica]titolo giuridico dall’arte che esercitano, e si chiamano i Priori delle Arti. Delle Arti e della Libertà; perchè il Popolo fiorentino T esercizio di questa e di quelle concepisce com’una cosa sola, nella quale è l’essenza della sua vita civile, l’energia de’ suoi atti, l’evoluzione della sua storia in quella della civiltà umana. E quando le ambizioni congiurate ai danni delle libertà popolari si aggravano sull’Italia, e dal varco che quelle ambizioni han dischiuso calano alla preda agognata gli stranieri, Firenze, che sente giunta l’ora fatale, impugna per l’ultima volta il gonfalone delle sue Arti; manda contro le masnade papali di Giulio de’ Medici e le imperiali di Carlo V un mercatante, il Ferruccio, a morire da valentuomo e da libero uomo; e tradita, deserta, affermando sino agli estremi il proprio diritto, che si schiaccia ma non si cancella né si prescrive, sparisce vinta dal mondo per entrare trionfatrice nella storia. Altre pur [p. 17 modifica]gloriose repubbliche nostre, che rispon- dono ad altri ideali di sapienza civile, e sono efficienti di altre energie alla vita ita- liana, potranno continuare, anche nei secoli che succedono di depressione nazionale, la loro storica funzione. Ma Firenze doveva cadere in quel momento della nostra sto- ria, perchè di là da quello, se potevano du- rare le sue tradizioni, non poteva la forma statuale nella quale essa era ciò che era. Tale l'avevano fatta tre secoli di libertà e di popolo. Popolo che il suo diritto allo stato coordinando e subordinando alla po- tenza del Comune, nello impedire agli altri elementi sociali la tirannide, conserva la vi- rile temperanza del vietarla anche a sé me- desimo: e se con Giano della Bella doma e soggioga i magnati superbi, con Michele di Landò sgomina e ricaccia ne' bassi fondi la inconsciente plebaglia venuta a galla da' Ciompi. Libertà di popolo guelfo, che dal patronato della Chiesa prende ciò che [p. 18 modifica]di buono questo offre per la resistenza alle violenze del diritto imperiale; ma respinge quello che le clericali ambizioni usurperebbero a impinguare il patrimonio nel quale è profanato il nome del povero Pescatore primo apostolo del Signore degli umili. La potenza di questo popolo, il fiorire di quella libertà guelfa, decorrono fra due date di storia imperiale italiana; 1250, 1530: dall’agonia di casa Sveva con la morte di Federigo II, al sormontare dell’Impero austroispanico con Carlo d’Asburgo. Dalla decadenza dell’Impero, rimpianta da Dante teorizzatore d’un potere civile supremo, unico, immediato, che da Dio emana e sovrasta alle genti, ne’ propri reggimenti libere ciascuna e pel magistero puramente sacerdotale del Papa cristiane, da quella benaugurata decadenza imperiale, Firenze attinge forza a’ suoi ordini di popolo e dà base allo stato. E lo stato popolare, durante la vacanza, pur da Dante invano de[p. 19 modifica]plorata, della sedia Cesarea, in tre pro- gressive democrazie si consolida; resiste ai pericoli e alle insidie della necessaria al- leanza col pontificato mondano; e quando Arrigo VII, finalmente imperatore novello, salutato siccome Messo di Dio all'Italia dal Poeta esule, si affaccia ad affermare anche sulla città ribelle questa sua divina mis- sione, la città chiude a Cesare, ed ahimè al suo Poeta!, le porte; gli solleva contro tutte le forze guelfe della penisola, che sarà la tomba di lui e del fantasma ro- mano medievale sonnambulante con lui; e rimane e si continua, essa Firenze, quello fra i Comuni d'Italia nel quale l'ideale de- mocratico è, più essenzialmente che in qualsiasi altro, la cosa. Democratica an- che coi Medici ; la cui civile supremazia fu di mercatanti, cioè di artefici : non di maggiorenti, come fu in altri Comuni al transito delle libertà repubblicane ; non di principi: tali non addivenendo essi, se non [p. 20 modifica]quando alle ambizioni domestiche non rifuggirono dal prostituire la dignità e la potenza conquistatesi del Pontificato; cosicché un Medici potesse stringer la mano, da pari a pari, Papa ad Imperatore, e vittima di quella stretta finisse soffocata la libertà fiorentina.

  1. [p. 83 modifica]