Fiore di virtù/XXXVII
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CAPITOLO XXXVII.
Della moderanza appropriata all' ermellino.
Moderanza, ovvero misura, secondo che dice Andronico, si è ad avere modo in tutte le cose, ischifando il soperchio e il poco; la quale moderanza si guida e formasi per due altre virtù, cioè vergogna e onestade, secondo che dice Damasceno. Vergogna è a temere alcuna sozza cosa fatta, o che l’uomo facesse. Onestà si è bella e onorevole cosa, secondo che dice Macrobio; sicchè la virtù della moderanza è come il nocchiero che governa la nave, e la ordina e si la mena; così la moderanza è guida e maestra di tutte le virtù; e per questa cagione l’ho posta di dietro a tutte l’altre virtudi, siccome il nocchiero sta indietro, cioè in poppa, e guida la nave. E la vergogna si è come il timone che guida la nave ch’ella non percuota in luogo pericoloso; così non lascia la vergogna alla moderanza alcuna laida e sozza cosa, salvandola di ciascuna bruttura. Onestà si è a simiglianza de’ remi della nave, che conducono la nave per buona e diritta via; e così onestà guida la moderanza in tutte le cose oneste e onorevoli. Della virtù della moderanza discende la cortesia. Prisciano dice: La cortesia è solamente in tre cose: la prima si è a essere libero della persona; la seconda si è ad avere be’ costumi; la terza in onorevole parlare. Della cortesia ebbe incominciamento la gentilezza; e, secondo che dice Alessandro, la gentilezza si è belli costumi e virtuosi con antica ricchezza, cioè costumi di laudabili virtudi, e ricchezza bene acquistata. E puossi appropriare la virtù della moderanza allo ermellino, ch’è uno animale il quale è più moderato, gentile e cortese, che sia al mondo; ch’egli non mangia mai alcuna cosa lorda, nè mangia mai più d’una volta il dì, e quando piove, non esce mai fuori della sua tana per non imbrattarsi nel fango; e però non istà mai se non in luogo asciutto. E quando gli cacciatori lo vogliono pigliare, si circondano tutta la sua tana di fango, e poi l’aspettano insino ch’egli esce fuori della tana, e com’egli esce di fuori si lo serrano, che egli non vi possa tornare: e l’ermellino comincia a fuggire, e com’egli giugne al fango, innanzi si lascia pigliare, ch’egli voglia imbrattare gli piedi, tanta è la sua nettezza e temperanza e gentilezza. Varro dice: Siccome a tutte le cose bisogna misura, niuna cosa può durare senza misura; e tutte le cose che non hanno moderanza in loro, pèrdono loro virtù. Socrate dice: Siccome il cavallo si rifrena per lo freno, così si rifrenano tutti i vizj per la moderanza. Il Decreto dice: Chi troppo succia, trae lo sangue. Giovenale dice: Di tutte le cose il mezzo è lo migliore. Galieno dice: Per lo soperchio e per lo poco, si corrompono tutte l’arti e tutte le virtù. Seneca dice: Chi troppo corre, ispesso scappuccia. Aristotile dice: Ogni troppo torna in fastidio, e ogni soperchio rompe il coperchio. Gualfredi dice: Poco fiele fa amaro assai mèle, e un piccolo vizio guasta molte virtudi. Plato dice: Niuna cosa sarebbe ria, chi l’usasse con modo; ma antico peccato fa nuova vergogna. Avicenna dice: Chi vuole che tutte le cose gli pajano buone e dolci, usile rade volte. Seneca dice della virtù della vergogna: Alcuna cosa non può essere nè bella, nè buona, nè dritta, nè onesta, senza vergogna. Salomone dice: Là ove è vergogna, quivi è fede. Ancora dice: Chi teme vergogna in gioventude rade volte riceverà vergogna. Seneca dice: La vergogna è sempre dinanzi al volto; e ne’ giovani è buono segno. Santo Isidoro dice: Porta vergogna dinanzi al tuo volto sempre. Cassiodoro dice: Chi non teme vergogna, sarà seppellito vivo. Plato dice: Meglio è la morte, che non temere vergogna, imperocchè nella persona non può essere maggior vizio. Assaron dice: Il vergognoso non può essere vituperato, nè lo umile odiato, nè il liberale vivere male. Della virtù della onestà dice Plato: Chi non ha in sè onestà, d’alcuna altra virtù non si dee inframettere. Andronico dice: L’onestà è guardia di tutte le virtù. Santo Agostino dice: L’onestà delle persone sta molto nel guardare degli occhi. Plato dice della virtù della cortesia: Siccome l’acqua ammorza il fuoco, così la cortesia si ammorza i difetti delle persone. Omero dice: Chi vuoi scampare de’ pericoli del mondo, accompagnisi con la cortesia. Socrate dice: Nessuna cosa può essere amata più che la cortesia. Sallustio dice: L’erba cuopre il prato, e la cortesia cuopre i difetti. Plato dice della gentilezza, ch’ella non è altro che virtù d’animo. Seneca dice: Solo la virtù fa gli uomini gentili. Socrate dice: La nobiltà delle persone si è solamente nel valoroso animo. Ancora: La gentilezza ch’è prestata, è siccome lo specchio che mostra di fuori quello che non è dentro. Aristotile dice: Il sole sta in su lo fango, e non se gliene appicca; e della gentilezza che è presta, non se n’ha se non lo nome. Questi sono gli segni della nobiltà: essere pro’, temere disonore, essere libero, conoscere gli servigj, ed avere valoroso animo. Della virtù della moderanza si legge nella Bibbia: Al cominciamento Iddio fece il cielo e la terra, e mise ordine in tutte le cose, e partì il dì dalla notte; e ciò fece dalla dimane al vespro in un dì. Il secondo dì partì il cielo dall’acque, e si le divise per la terra. Il terzo dì dispuose il mare là dove tutte l’acque discorrono; e che la terra producesse álbori e erbe con semenza d’ogni maniera. Il quarto dì fece il sole, che luce il dì; e fece la luna e le stelle, che lucono la notte. Il quinto dì fece le bestie, gli uccelli e tutti gli altri animali del mondo. Il sesto dì formò Adamo alla sua similitudine, e poi formò Eva da una costa, la quale egli trasse da Adamo quando egli dormia, e disse ad amendue: Crescete e moltiplicate, e riempiete la terra, e signoreggiate gli uccelli dell’aria, e i pesci del mare, e tutti gli altri animali che sono in sulla terra. Il settimo dì si riposò del lavorio ch’egli avea fatto.
1Se tu vuoi avere buona vita in questo mondo, e’ convienti partire da’ dolorosi pensieri, e stare coll’animo allegro; perchè lo stato dell’uomo secondo l’animo si è giudicato. E non ti varrebbe niente essere in buono istato, se l’animo tuo non si contentasse; e però sì n’ammonisce Seneca, che dice: Discaccia dall’animo tuo ogni tristizia e dolore, e delle tue avversità tosto te ne sappi consolare. Panfilio dice: A nessuno savio si conviene addolorarsi fortemente, ma di stare fermo e non mutarsi: ma poni che la ventura si muti, non si dee mutare nè mostrare dolore di cosa che gli avvenga, perch’e’ sa certamente che ne segue gran danno. Seneca dice: Non per morte di figliuoli nè d’amico s’attrista il savio uomo, imperocchè secondo quella aspetta la sua. Gli Savi dicono: Delle avversitadi ti dèi tosto consolare, e non porre mai lo tuo pensamento, se non in quanto le credessi discacciare, perchè gli miseri pensieri fanno la vita misera; e tanto ha ogni persona in sè di miseria, quanto pensando se ne fa. Chi sopra tutte le avversità che gli incontrano vorrà sempre pensare, non sentirà mai che bene si sia, perchè questo mondo non è altro che miserie; e da Dio fu dato all’uomo, perch’egli dovesse tribolare e tormentare e portare pena de’ suoi peccati; e imperò questo mondo è chiamato valle tenebrosa, perch’ell’è come la valle in luogo sottano, alla quale discorrono tutte le sozzure del mondo; così è il mondo in luogo sottano, che sopra alla gente ch’è al mondo discorrono tutte le tribulazioni, angosce, pene; e stiamo sempre in lutto e pianto; e però chi arde stando in fuoco, non è maraviglia. E se delle tue avversitadi prenderai consolazione, pensa sopra la misera vita dell’uomo, e vedi quello che n’è detto dagli savi. Dapoi che le tribolazioni altrui averai conosciute, sopra le tue ti potrai consolare. E però dice la Bibbia, laddove Iddio favella all’uomo: Ricorditi che cenere se’, e in cenere tornerai. Pare dunque l’uomo, considerando la cosa ond’egli è fatto, in grandissima cagione d’umiliarsi, perchè la terra si è più vile elemento, ch’è quello ch’è più lungi dal Paradiso degli altri; ma le altre cose sono fatte di elemento più nobile; chè le stelle e le pianete sono fatte di fuoco, e i venti sono fatti d’aria, e gli pesci e gli uccelli sono fatti d’acqua, gli uomini e le bestie sono fatte di terra. E imperò dice Salomone, che gli uomini e le bestie sono d’una condizione e fine. Onde dice uno Profeta: Tante sono le tribolazioni del mondo, che non fu mai alcuno che una ora sola avesse riposo, che per qualche modo non avesse qualche doglia; e l’ultimo dolore che l’uomo sente, si è la vecchiezza, ch’è sopra tutti gli mali; perch’ella infiebolisce il cuore, e fa languire lo spirito, e fa crollare la testa, e la faccia crespa, e gli denti marci, e ’l dosso inchinato, e menoma lo vedere e l’udire e l’odorare e ’l saporare e ’l toccare, e mutare lo ’ntendimento. L’uomo vecchio tosto crede e tardi discrede; volontoso è a favellare e tardo a udire, ed è cupido e lamentoso; e sempre loda le cose antiche, e le nuove dispregia. E per tutto questo ch’io ho detto del vecchio, non superbire contr’a lui, e lo non avere in dispetto: ma pensa come dice il Savio: Io sarò come lui. Se tu vuoi sapere, sappi questo, che tu non sai niente; e chi più sa, più dubita. E pogniamo che tu conoscessi le cose segrete del cielo, e le profondità del mare, e le maraviglie della terra, e sapessi ammaestrare e ’ntendere e rendere ragioni di tutte queste cose; però non ti troveresti se non fatica e dolore. Seneca dice: La cupidità si è una pistolenza crudele, la quale fa povero colui che la piglia, perch’egli non mette fine al suo volere; ma siccome è finito uno pensiero, l’altro si comincia. E però dice il Savio: L’avaro non fa mai bene dritto alcuna cosa, se non quando egli muore; perchè la sua vita è ria a sè stesso, e la sua morte è buona ad altrui. E si voglio dire che al ricco è malagevole a entrare nel regno del cielo. Dimmi di Giacob, di David e di Giob, che furono così ricchi, e poi furono giusti appo Dio: come può essere questo? Sirac rispuose: Avvegnachè al ricco sia malagevole entrare nel regno del cielo, questo non avviene per la malvagità delle ricchezze; anzi, quanto è in elle, sono molto buone. E però dicono i Savi ch’elle non sono ree, reggendo la vita degli uomini. Siccome il corpo non può vivere senza l’anima, così senza le pecunie l’anima col corpo lungamente non può durare; ma interviene di loro, siccome si dice del vino, il quale, avvegnachè sia buono e utile, ma egli fa molto male nella persona di colui che ne bee troppo. E però dice Salomone: Tutto ciò che l’uomo ha di sopra ciò che gli fa bisogno a buona usanza, si è incarico e fatica da portare. Boezio dice: Chi secondo natura vuole vivere, non sarà mai povero, imperocchè di poche cose si contenta la natura; chi vorrà vivere secondo volontà, non sarà mai ricco, benchè tutto il mondo fosse suo. E però dice un Savio: Quel guadagno del quale l’uomo è infamato, veramente si dee chiamare perdita. Dice uno Savio: Cotale uomo senza amici è come il corpo senza l’anima; chè senza amici l’uomo non può avere allegrezza, nè buona vita; e imperò l’altrui vita dee essere a noi maestra. Ancora dice uno Savio: La parola che pare leggiera, ha in sè gran peso di sentenza: e però le cose certe non si deono lasciare per le non certe. Cato dice: Tu che hai gran possanza, non dispregiare chi poco può, perchè nuoce; e giovare ti può spesse volte. Un Savio dice: Se l’uomo dee temere alcuna cosa, tema la morte; e più dee temere Iddio; e imperò là dove l’uomo va, la morte gli tiene dietro: e perdona spesse volte ad altrui, a te non mai. Quand’hai deliberato nell’animo tuo, fa tosto, e dì sempre meno che tu non hai a fare. Alla grande volontà la fretta è tardamento. Del male d’altrui non ti allegrare, perchè il male non viene senza grande abbondanza di male, e avviene a chi non ne crede avere. A nessuna persona non comandare cosa ch’egli non possa sostenere. Dà quello ad altrui che tu disideri che sia dato a te. A quegli con chi tu stai sii sollazzevole. Non si conviene di lodare, nè di biasimare alcuno uomo in sua presenza. Nè malizia, nè povertà non tenere ascosa. Non avere speranza in amore altrui, perchè la tua speranza è dubbiosa. Da colui non domandare ajuto indarno, dal quale l’uomo è degno di ricevere pena. Aspetta di ricevere da altrui quello che ad altri farai. Quanto meno premerai l’ira, tanto meno sarai premuto dall’ira. La fine dell’ira si è il cominciamento della penitenza. Nessuna voglia non è che per lungamento di tempo non menomi. La ventura abbandona spesse volte, ma la buona speranza non ti abbandona mai, ma dàtti buon conforto infra gli amici. Non si truova alcuno legame che lo priego dello amico non lo disciolga. Gl’ingannatori non fanno se non come quando eglino soffiano nella polvere, che ne’ loro occhi ritorna; e per ragione si conosce che nessuno della sua malizia dee guadagnare. In disperato pericolo cade colui che saviamente agli cangiamenti che possono avvenire non provvede. Meglio è a rompere la fede nelle malvage promesse, che con peccato le rie cose menare a eseguizione. Nè condannare l’uomo che cade. Se ’l tempo richiede giuoco, fallo secondo che si convenga alla tua dignità e al tuo senno. Nessuna cosa è sì matta come la mattezza del villano, il quale pensa che lo gridare gli sia utile. Il biasimo de’ rei uomini togli per uno grande lodo. E’ non è alcuno sì malvagio uomo, che non volesse avere di dritto guadagno ciò ch’egli ha di rio. Salomone dice: Guárdati per tutte maniere; e se tu serri la porta innanzi agli tuoi nimici, guarda che l’uscio di dietro non rimanga aperto. Dice uno Savio della virtù della drittura, che gli traditori, scherani e ladri non possono durare insieme senza alcuna drittura; e quando alcuno di questi ingannasse l’altro, si converrebbe partire la compagnia. Di due cose e maniere sono i servigj, cioè l’uno di volontà, l’altro d’avere; ma quello dell’avere è più licito a fare a ricco uomo, avvegnachè l’uomo renda guiderdone dell’uno e dell’altro; l’uno si viene dalla borsa, l’altro dal cuore; ma quello della borsa può ben fallire, tanto se ne può trarre; ma quello del cuore, quanto più ne trai, più ne truovi. Vero è che quello della borsa fa l’uomo più presto e più apparecchiato e più allegro. Di molta gente offende chi a uno fa torto.
Note
- ↑ A questo punto, secondo la maggior parte de’ Codici, ha fine il Fiore di Virtù. Pochi sono quelli da me veduti che contengano ciò che segue. Nel Codicetto Riccardiano di N. 1702 si trova separato col titolo: «Ammaestramenti de’ Filosofi», ma imperfetto.