Capitolo XXXV

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XXXIV XXXVI
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CAPITOLO XXXV.

Della castità appropriata alla tortora.

Castità, secondo che dice Tullio, si è una virtù per la quale ragionevolmente si rifrena lo stimolo della carne e della lussuria. E puossi assimigliare la virtù della castità alla tortora, la quale non fa mai fallo al suo compagno; e se addivenisse che l’uno di loro morisse, l’altra si serva castità, nè truova mai altra compagna, e sempre fa solitaria vita, e mai non bee d’acqua chiara, e non si pon mai in su albero o ramo verde. Santo Girolamo dice della virtù della castità: Sovrana virtù è la castità, la quale leggermente si guasta chi non raffrena la gola, gli occhi e ’l cuore. Nella Somma de’ vizj si legge: Chi perfettamente vuole avere castità in sè, conviene ch’egli si guardi da sei principali cose: La prima, da mangiare e da bere soperchio. Nella Vita de’ Santi Padri si legge: Com’è impossibile a ritenere la fiamma, s’ella sta nella paglia; così è a rifrenare l’ardente volontà della lussuria, essendo lo corpo bene satollo. La seconda si è a schifare l’oziosità. Ovidio dice: Schifa l’oziositade, se vuoi schifare lussuria. La terza si è, che l’uomo si guardi della troppa familiaritade delle femmine. Santo Bernardo dice: A conversare l’uomo e la femmina insieme, e guardarsi di peccare, maggiore cosa è che risuscitare morti. La quarta è a guardarsi da persona [p. 95 modifica]che conforti e ragioni della lussuria. Santo Gregorio dice che non è nessuno vizio che sia bisognoso di tanta guardia, quanto è la lussuria, perocchè è vizio naturale; e però le sue cagioni si vogliono fuggire. La quinta si è di non stare là ove di lussuria si ragioni. Santo Silvestro dice: Il vizio della lussuria è fatto come la bertuccia, che vuole fare ciò che vede fare altrui. La sesta si è di non andare là ove si cantino cose mondane, o a balli, o a suoni d’amore. Pittagora dice: L’erba verde nasce appresso all’acque, e il vizio della lussuria nasce appresso dove è ’l cantare e ballare e sonare. Della virtù della castità si conta nella Vita de’ Santi Padri d’una monaca, della quale si era innamorato il signore della terra là dov’era questa monaca nel monastero: e avendola fatta richiedere più volte d’amore, ed ella sempre negando, il signore si levò uno dì a furore, e si andò a questo monastero, e trassela fuori per forza per volerla menare a casa sua. Veggendo la monaca che niente le valeva il chiedere misericordia, domandò lo signore il perchè faceva tanta forza più a lei che a nessuna dell’altre, essendovene più belle di lei nel monastero. Rispose lo signore: Io lo faccio per gli occhi tuoi, che sono cotanto belli. Allora disse la monaca: Da che io veggio pure che questo vi piace, io ve ne lascerò saziare a vostro senno; lasciatemi tornare nella mia cella per mie cose, e poi verrò là dove voi vorrete. Allora il signore la lasciò andare, ed essa andò nella sua cella, e cavossi [p. 96 modifica]gli occhi, e poi fece chiamare il signore, e a lui disse: Poichè voi siete si vago de’ miei occhi, toglieteveli, e fatene ciò che voi volete. Allora si partì lo signore tutto quanto smarrito e forte turbato; e la monaca salvò la sua castità volendo innanzi perdere gli occhi, secondo che dice il Vangelio.