Fior di Sardegna/Capitolo XXXVI

Capitolo XXXVI

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Capitolo XXXV Capitolo XXXVII
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XXXVI.


Oramai ogni finzione riusciva inutile e impossibile, nè Lara potè proseguirla. L’ultima sfumatura di forza l’abbandonò, e quando rinvenne sul suo letto, non cercò neppure di dire: Non sono ammalata! — decisa però di rifiutare ogni aiuto che la scienza poteva offrirle. Il vecchio medico di casa, Lara lo conosceva, era un tantino imbecille, e per lui non temeva; ma don Salvatore, ma Marco non sarebbero rimasti con le mani in mano e certo avrebbero fatto venire al suo capezzale i medici distinti di X*** o magari di Cagliari e Sassari, se la malattia si aggravava. Sicchè Lara, prevalendosi della lucidità di mente, che le restava, mentre tutto il suo corpo era affranto e addolorato, la febbre, essendo venuta, cominciò col deviare il vecchio dottore, accusandogli un forte dolore allo stomaco, dolore che in realtà essa non sentiva. Il medico scrisse una ricetta, e se ne andò, dopo aver pienamente rassicurato donna Margherita, ordinando di dare alla malata solo cibi liquidi e leggeri.

— Oh, perchè non mi lasciano morire tranquilla?.... [p. 177 modifica]mormorò Lara, rinchiudendo le palpebre che le pesavano come se di piombo.

Rimase lungh’ore immobile, respirando a stento, mentre Rosa, la serva, ritta avanti al suo letto, le faceva vento con un ventaglio per rinfrescarle alquanto l’arsura della febbre e della temperatura infuocata. Certo, nella mente di Lara ferveva un misterioso e continuo lavorìo, perchè tratto tratto un sussulto le agitava il seno, e le sue labbra si arricciavano sotto le punture di uno spasimo atroce più morale che fisico; certo, ora il suo sopore voluttuoso di persona che riposa dopo lunghe e tormentose fatiche, veniva tormentato dagli affanni della febbre e dal ricordo di Nunzio, dal rimorso del suo suicidio, perchè Lara non dubitava punto su ciò come il corrispondente dell’«Avvenire». Non si accorse neppure di Marco, che entrò verso sera nella sua camera con donna Margherita.

Il giovine era più pallido del solito e molto triste; ma donna Margherita si meravigliava perchè era venuto così tardi, mentre conosceva la malattia di Lara sin dalla mattina.

Guardò a lungo, profondamente, la fanciulla e scosse la testa, dicendo fra sè: Ci siamo! e doveva finire così! Cha stolto che sono! Che stolto! Ah, se arrivassi tardi!

— Dorme? — chiese lievemente alla serva, che faceva sempre vento a Lara col ventaglio.

— Non saprei! E’ così tutto il giorno.

— Lara, mia cara Lara!... — mormorò chinandosi sulla ragazza. Lei aprì gli occhi e, visto il volto di Marco vicino al suo, fece un leggero movimento di disgusto; egli se ne avvide e si morsicò le labbra. — Come ti senti? — domandò, tastandole il polso.

— Così! Non è nulla... non so perchè hanno chiamato il medico... non so... Domani mi leverò... E’ nulla! Solo ho caldo, molto caldo... Rosa, aprì la finestra... via questo ventaglio, via! Siete veramente noiosi! Ma non ho nulla! non voglio medicine... — Rosa aprì la finestra, e Lara sorrise al lembo di cielo color rosa sfumato in oro che scorse attraverso le imposte spalancate.

— E’ una bella sera! — proseguì. — Peccato che [p. 178 modifica]abbia un po’ di febbre... altrimenti usciremmo a passeggiare nell’orto... —

E sorrideva, ma non sorrideva Marco che la guardava con tristezza e sentiva il suo polso ardente di febbre fra le di lui mani. Subito dopo venne il medico. Trovò che Lara aveva molto migliorato, e, nell’andarsene, quando Marco lo accompagnò fino alla porta, gli disse: — Avvocato, vorrei dirle due parole.

— Volentieri! — Marco rispose. Si accomiatò dalla malata e raggiunse il medico, che, quando furono per via, gli disse:

— Lei è senza dubbio il fidanzato della mia malata. Dunque dovrebbe sapere i di lei segreti... —

— Sicuro, dottore, — disse Marco allarmandosi, mentre l’altro proseguiva:

— E’ un caso strano, veda; ma mi pare che la malattia di Lara provenga per due terzi da qualche forte dispiacere. Non mi son preso la libertà di interrogarla su ciò, nè di farne parola a donna Margherita, ma avevo deciso di rivolgermi a Lei, avvocato, e giacchè mi si è presentata l’occasione... scusi, sa, ma il medico deve toccare al vivo le piaghe, se è medico coscienzioso... Eppoi a me, così vecchio, si perdona tutto... Dunque dicevo... qualche dispiacere... forse lei non lo ignora. Non le chiedo cosa sia, ma, e come a promesso sposo e come a parente di donna Lara, le indico la ricetta unica. Far sparire questo dispiacere; con esso svanirà la malattia che le assicuro può condurre a serie conseguenze, tanto più che... mi pare, ma forse mi inganno ancora, la malata non ha intenzione di guarire...

— Che?... — gridò Marco fermandosi su due piedi.

— E’ così! Veda, mi ha dato false indicazioni, accusando dolori che non prova e nascondendo quelli che realmente prova!

Come si vede, il vecchio medico non era così cretino quanto Lara lo credeva. Marco diventò sempre più pensieroso; assicurò il dottore che non sapeva nulla, ma gli promise di fare il possibile. — Vedremo! — rispose il medico, convinto invece che la malattia strana di Lara proveniva tutta da quel bizzarro matrimonio fra cognati, di cui uno vinceva quasi venti anni all’altra. Marco non pensava a divertirsi quella sera; sicchè rincasò subito, [p. 179 modifica]immerso in profonde meditazioni. La sua vecchia fantesca gli chiese come stava Lara.

— E’ nulla! — rispos’egli. — Un po’ di febbre che passerà subito.

— Ah, la febbre! Non bisogna poi fidarsi con la febbre! L’anno scorso, giusto in quest’epoca, il mio povero fratello ha preso le febbri ed è morto dopo un mese: povero Costantino! — La fantesca si asciugò una lagrima. Marco si fermò in mezzo alla camera e i suoi occhi luccicarono misteriosamente nella penombra cilestrina dell’imbrunire che si avanzava — Dove ha colto le febbri? — chiese con un bizzarro interessamento.

— Là, nella valle di «Muschias,» sa, dietro il monte. Lei anzi ci ha un possesso laggiù, e sa meglio di me, che in estate causa le acque stagnanti, vi domina la malaria. Costantino lavorava nella vigna di don Pasquale; dormiva sempre all’aria aperta, in riva al fiume immoto, stagnante. Glielo dicevano pure i compagni: — Costantino, non dormire all’aperto, chè coglierai un malanno. — Ma lui se ne rideva e preferiva il fresco fatale della riva del fiumicello alla capanna dove dormivano gli altri... Ma un giorno lo colse, lo colse la terribile nemica, lo colse in tal modo che lo uccise. Povero fratello, poveretto! Ha lasciato dieci figli nella miseria... —

Marco parve commosso da questa storia: se la fece anzi ripetere minutamente e alla fine consigliò la fantesca di aiutare un po’ i poveri nipoti con gli avanzi della sua lauta mensa.

Ritornò in casa Mannu, ma non disse a Lara le osservazioni del medico. Quando la lasciò, la febbre l’aveva del tutto abbandonata. — Chissà! — si ripeteva Marco. — Chissà che il medico s’inganni! — Ad ogni modo quella notte dormì assai poco, ma Lara dormì molto meno di lui. Verso le nove disse a donna Margherita: — Come vedete, sto meglio e non ho più la febbre. Quindi è inutile che nessuno vegli qui stanotte. Se avrò bisogno di qualche cosa, chiamerò.

— Ebbene, — rispose la madre. — Rosa dormirà lì, nella camera di Pasqua.

— Come volete.

— Alle dieci il più profondo silenzio regnava in casa Mannu. Tutti dormivano: ma Lara vegliava nel suo [p. 180 modifica]piccolo letto bianco, in fondo a quella camera ch’era stata testimonio del suo pianto e dei suoi sogni, illuminata debolmente da una lampada ad olio posta in terra nell’angolo più romito. La porta di comunicazione con la cameretta di Pasqua era spalancata e per essa si sentiva il placido russare di Rosa, che aveva preso posto nel letto della piccola bionda, e vegliava a suo modo sulla padroncina malata. — La febbre era cessata in Lara e con essa l’ardore e l’ansia che l’aveva soffocata per il corso della giornata; rimaneva l’immane stanchezza e la strana sonnolenza della mattina. Ma Lara sentiva nuovamente le idee lucide e la percezione vivissima di ciò che accadeva, e vegliava... I pensieri sfilavano l’uno dietro l’altro nella sua mente travagliata, quasi soldati in marcia, che non si arrestavano mai, le memorie incalzavano e Lara pensava a tutto il suo passato, a tutte le figure apparse nella sua vita solitaria, a tutti i suoi sogni, i suoi dolori e le sue gioie, quasi quella fosse l’ultima notte della sua vita.

Il ricordo del suicidio di Nunzio, tanto recente, ma che alla malata pareva assai lontano, ritornava spesso fra gli altri pensieri, come il ritornello in una poesia popolare, e allora il volto bianco di Lara si offuscava e il rimorso picchiava di nuovo alle porte della sua piccola coscienza, amareggiando il pensiero confortante di una prossima morte. Ma altre memorie venivano e Nunzio spariva, e tornava Massimo, Marco, Mariarosa, la montagna, il ballo, la notte del lungo convegno. Su di questa si fermava specialmente Lara, con un acre sorriso sulle labbra inaridite. Addio, addio, sogni d’amore sì a lungo vagheggiati, addio convegni notturni, addio baci, avvenire, vita. — Oramai tutto era rotto, tutto era finito; non le restavano che due vie: la vita con una continua infelicità; la morte con un infinito riposo. Ecco perchè Lara moriva a diciotto anni sorridendo alla morte, scegliendo il sonno eterno, la lunga notte senza aurora che si avvicinava a rapidi passi; — ecco perchè moriva senza ribellarsi, anzi scossa da un fremito di disperazione al pensiero di una fatale guarigione. — I quarti e le ore passavano: la lampada cominciava a impallidire nel suo angolo oscuro, allorchè Lara pensò ancora una volta al suicidio di Nunzio ed a Mariarosa.

La figura alta e bionda della fanciulla che aveva tanto [p. 181 modifica]amata si rizzò a un tratto nei ricordi di Lara, offuscando con la sua ombra tutti gli altri profili, e la guardò fissa coi suoi occhi limpidi con un raggio di rimprovero e di domanda. Lara sussultò: per un momento il suo cuore palpitò forte dinanzi alla larva di Mariarosa, ebbe la strana passione di un tempo, e un lieve rossore le colorò il volto pallido. E, come un giorno sui monti, pensò che, se la fanciulla le fosse stata accanto lei avrebbe ritrovato un sorriso di speranza e di conforto, e forse non avrebbe pensato così intensamente a morire. E intanto moriva, e la sua memoria doveva sopravvivere nella mente di Mariarosa come un ricordo sdegnoso, macchiata del sangue di un giovine che l’aveva immensamente amata! — Lentamente, senza far rumore, Lara scese dal letto e, appoggiandosi ai muri prese la lampada e la collocò sul tavolino. Poi alla luce fioca e morente che lambiva il tappeto verdastro con larghi riflessi sanguigni, Lara si mise a scrivere, animata dalla stessa energia che la notte avanti l’aveva sostenuta per giungere all’ultimo convegno con Massimo. Scrisse rapidamente per quasi due ore e avrebbe proseguito ancora, ancora se la febbre non fosse ritornata. Allora la testa di Lara ridiventò pesante, le idee ricominciarono a ballare una ridda fantastica nella sua mente e la sua mano tremò; pure resistè per qualche istante e proseguì, ma il tremito divenne così forte, che la penna le sfuggì dalle dita e macchiò la carta. La lampada moriva; la luce sfuggiva d’ogni verso. Resistè ancora fino a sigillare la lettera che aveva scritto e a mettervi l’indirizzo. Indi si alzò e trascinandosi nascose la lettera fra i guanciali e ricadde sul suo letto col sangue invaso nuovamente dalla febbre, emettendo un gemito.