Fior di Sardegna/Capitolo XI
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XI.
Otto giorni dopo, don Salvatore, Lara, Pasqua e una grossa domestica portata da X***, essendo donna Margherita rimasta per custodire la casa, si trovavano ai bagni scoperti da Marco, in due belle stanze dello stabilimento in riva al mare.
Sino al momento dell’arrivo i Mannu avevano creduto che quel luogo benedetto fosse stato davvero scoperto da Marco; figuratevi dunque la loro sorpresa allorchè vi trovarono un’altra famiglia di X*** che li aveva preceduti di due o tre giorni!
Anche i primi arrivati si meravigliarono assai nel veder arrivare i Mannu; ma passata la prima sorpresa, tutti furono contenti dell’incontro e benchè a X*** non avessero alcuna relazione, qui legarono subito amicizia cordiale ed affettuosa, e s’intesero assai bene, perchè si rassomigliavano; era la famiglia di un piccolo proprietario venuta ai bagni apposta per una ragazza dell’età di Lara, malata della stessa malattia. Don Salvatore si accordò col padre, Pasqua con le tre bambine piccole, e Lara con la grande chiamata Mariarosa, con la quale diventò subito intima amica.
Si disse che gli estremi si toccano, ed è vero. Mariarosa e Lara non avevano alcun gusto, alcuna idea, alcuna indole comune; eppure sin dal primo giorno si amarono come sorelle. Mariarosa, anch’essa gran leggitrice di romanzi, benchè non perfettamente istruita, non si rattristava mai e mai nascondeva i suoi sentimenti di ragazza allegra, non sognava cose stravaganti e impossibili come Lara, pigliava sul serio la sua piccola vita e non correva colla fantasia al di là dell’orizzonte della esistenza concessagli da Dio, contenta del suo stato e della sua bellezza di rossa. Sì, aveva rossi i capelli, la carnagione, gli occhi, le labbra e, per uno strano gusto, anche il vestito che si adattava benissimo al suo personale sviluppato, alto e naturalmente elegante. Sana, Mariarosa doveva avere una forza erculea, e Lara la amava di più perciò, sembrandole di essere protetta e difesa da lei in caso di bisogno. E Mariarosa, godendo della fiducia di Lara, prese subito verso di lei, un’aria di protettrice, chiamandola «mia piccola amica», il che divertiva assai la pallida fanciulla.
Come Marco aveva detto, il sito era stranamente bello; davanti il mare azzurro, confuso in lontananza col cielo d’oro in un bacio soave, bianco, vellutato; dietro una pianura incolta, verdeggiante d’eriche, di lentischi, di felci, qua e là seminata da gruppi di massi muscosi, coperti di liane e di rovi pittoreschi, che al chiaro di luna parevano avanzi di altari druidici; poi in lontananza montagne azzurre, bianche, violacee, e altre montagne ancora nereggianti sullo sfondo smeraldino del cielo, le creste frastagliate, le cime in forma di castelli rovinati, chiazzati di boschi, che cambiavano di tinta ad ogni riflesso di luce, ad ogni effetto d’ombra, azzurre la mattina, grigie al meriggio, color di rosa e viola al crepuscolo, bianche nelle notti di luna, nere nelle sere oscure.
In riva al mare s’ergeva il piccolo stabilimento, tanto vicino alla costa, che in inverno le onde sbattevano ai suoi piedi; vecchio stabilimento annerito dal tempo, eretto da un originale signore di Gallura e da allora appartenente ad un proprietario di Sassari, che ne traeva bel guadagno affittando ai bagnanti le camere ad una lira il dì.
Sicchè non erano più due o tre famiglie quelle che lo abitavano, ma sei o sette, due od una stanza per famiglia, tutta gente del nord dell’isola, benestante, tranquilla e poco rumorosa.
Nello stabilimento non v’era sala comune con pianoforte, ecc., come nei luoghi cristiani; quindi nè balli, nè divertimenti; la sala comune era la spiaggia, ove i bagnanti si radunavano nelle ore fresche del giorno; del resto, ognuno faceva i suoi affari, ognuno si bagnava a suo piacere nel libero mare.
Lara, che aveva letto ben altre descrizioni di bagni, che credeva trovare le signore con apposite telette da spiaggia, provò sulle prime un po’ di disgusto, poi... si strinse nelle spalle e sorrise col suo solito sorriso scettico, di ragazza malata, che non prova alcuna profonda impressione, e si abbandonò alla voluttà dell’azzurro, del bagno tiepido preso fra due scogli, a fior d’acqua, nelle onde chiazzate d’oro e di zaffiro dal sole.
Rimaneva lunghe ore così; immobile, muta, gli occhi semichiusi, nuotanti nell’orizzonte cerulo, tranquillo, le narici spalancate ai profumi delle alghe e delle felci marine olezzanti, fra gli scogli violacei, immersa in una arcana voluttà di riposo, di sonnolenza e di visioni. Oh, care visioni!.... Isole belle, fiorenti, coperte di passiflore e di giunchiglie, le coste d’oro e gli alberi di smeraldo vagano nelle lontananze infinite del mare, e fra il verde e l’azzurro, piccole case di porcellana lattea dai veroni di corallo, dai terrazzi con le balaustrate di filigrana d’argento, e dentro lei, Lara, fatta piccina piccina dalla malattia, bianca, rosea, bionda, e lui, ancora indistinto, ancora vago e tremolante come quelle isole fantastiche. Là indietro, invece, sulle montagne rocciose, Lara vedeva castelli neri, forti manieri dagli spaldi tappezzati d’ellera, i merli corrosi dal tempo, le sale piene d’arazzi e di trovadori dai mantelli di velluto e il castellano biondo, alto, gentile che si pigliava sulle ginocchia la piccola castellana, bruna, vestita di broccato (un costume che Lara aveva visto in dosso ad Agnese Sorel, non ricordava bene se dipinto o in realtà), e baciandola forte forte sulle labbra rosse, dall’alto dei ballatoi di marmo le narrava la storia romanzesca del Cid spagnuolo, mentre il crepuscolo moriva nel mare di rosa, scivolando giù per le montagne azzurre, e il liuto vibrava nell’interno del castello. Nella piccola castellana, Lara riconosceva se stessa, ma non riusciva mai ad afferrare la fisionomia di lui: lo vedeva biondo, alto, gentile, ma il resto sfuggiva alla sua fantasia, si velava fra le tinte azzurrine del crepuscolo di montagna. Uscita dal bagno, Lara non sognava più, no, Dio mio; ella vedeva bene che nel mare non v’erano isole, nè castelli sui monti, e scoteva la testa; poi, prendendo il braccio di Mariarosa, vagavano insieme per la riva, battendo la pianura in cerca di fiori rossi, attraverso le eriche e i massi, ridendo come pazze e sparlando orribilmente degli altri bagnanti. Mariarosa fu la prima a ristabilirsi compiutamente in salute: Lara pure guarì, ma le rimase una sfumatura di convalescenza nella personcina stanca delicata e nel viso bianco dimagrito.
L’aria marina le faceva bene, ma ciò che veramente la aiutava a ristabilirsi, era Mariarosa. Sì, signori miei, Lara aveva trovato un’amica finalmente; — l’ideale che sognava prima di sognare l’altro ideale.... maschile; — l’aveva trovata conforme ai suoi desideri, forte, bionda, allegra, leggitrice di romanzi, gran chiacchierone, gran birichina.... e si sentiva talmente felice presso Mariarosa, che con lei ritornava bambina, spensierata, umana, — ritornava sana fisicamente e moralmente. Dopo una settimana divennero indivisibili; le si vedeva da mattina a sera sempre insieme, sole, lontane da tutti, ridendo a bocca spalancata nel sole della pianura, o sedute sugli scogli, chiacchierando tranquille nel vespero tranquillo e soave come loro.
Un giorno, Lara sentendosi abbastanza forte, decisero di fare una lunga escursione al nord della pianura, inoltrandosi sino al piede dei monti.
— Ci figureremo d’essere in Africa, — disse Mariarosa, — in cerca del Nilo...
— No, — disse Lara sorridendo, — il Nilo è bello e trovato; sono le sue sorgenti che si cercano ancora, il che è troppo per noi. Se dài retta a me, staremo invece attraversando le lande russe....
— Attraversiamo le lande russe! — rispose Mariarosa. — Per me è lo stesso....
— Ci sono i lupi... — proseguì Lara, — ma poco importa, i lupi non si muoveranno punto. Io mi chiamerò Vanda, e tu Sergia. Va bene così?
— Benissimo!
— Quei monti là, — riprese Lara, additando con serietà le montagne, — sono gli Urali: la steppa si stende innanzi a noi, i lupi urlano nella notte oscura... Avanti avanti! Sferzeremo i lupi con il “knut” come vili assassini se ci assalteranno, sfideremo il “kamasin”.
— Che cosa, che cosa? — fece l’altra, tendendo le orecchie.
— Il "kamasin", il vento della steppa...
— Facciamo una cosa, — esclamò Mariarosa sbalordita, — restiamo piuttosto in Sardegna, tanto più se saremo di ritorno fra un’ora...
— Ah, è vero! Restiamo in Sardegna!
Si misero in cammino, ridendo delle loro fantasticherie, e avevano fatto un bel pezzo di strada, allorchè si accorsero di non esser sole. Pasqua e le tre sorelline di Mariarosa che avevano assistito al loro discorso geografico, invasate esse pure dalla mania dei viaggi, le avevano seguite, in lontananza, tutte e quattro in fila, a braccetto, ridendo fra loro del tiro che facevano alle due "grandi" che non volevano mai essere accompagnate, le streghe solitarie!.... Infatti, quando Lara e Mariarosa si accorsero del seguito, cessarono di ridere, si irritarono, volevano tornare indietro, anzi Mariarosa diede un solenne scapaccione a Genia, la più grande delle sue sorelline, che pareva fosse quella che aveva organizzato la spedizione segreta. Per un momento la pianura risonò di grida e di alti guai, ma a poco a poco, l’incidente parve esaurito e si riprese il viaggio con tanto di muso da una parte e dall’altra. Lara e Mariarosa andavano innanzi sparlando del seguito, e il seguito veniva dietro, sempre in fila, sempre a braccetto, ma muto, quasi pentito dell’escursione.
I monti Urali erano del tutto scomparsi dalla mente della carovana, pure si andava avanti, sempre avanti, verso l’ignoto, di macchia in macchia, di masso in masso, i capelli alla forte brezza del mare e i piedi già stanchi di camminare sui sassolini e la rena pungente.
Il sole era tramontato; le montagne parevano raffreddarsi, sfumandosi le loro tinte di fuoco, le cime velate dalle nebbie fulgide del tramonto, mentre il mare fremeva sugli scogli con onde di latte e di sangue a venature d’oro; ma la nostra compagnia viaggiava ancora, nè un lupo era apparso all’orizzonte, nè il vento sollevava la sabbia, allorchè accadde un fatto naturalissimo, che pure mise lo scompiglio come se si fosse visto il lupo o sentito il vento.
Benchè si cercasse di dare le spalle al mare e di andare verso i monti, la scogliera riappariva ogni tanto, e il mare non si allontanava mai. Ora Genia, chinandosi su uno scoglio per staccare una conchiglia, aveva fatto un magnifico capitombolo e s’era ferita alla fronte. Povera piccina! La disgrazia la perseguitava e lei certo non aveva la dote di rassegnazione, perchè si mise nuovamente a strillare e piangere.
Alla vista del sangue, il rancore sfumò. Lara e Mariarosa la aiutarono a rialzarsi e le fasciarono la fronte con un fazzoletto, dolendosi della cattiva fine della spedizione, quando un giovane, probabilmente attirato dalle grida della bambina, balzò fuori da una macchia poco distante e corse verso il nostro gruppo, chiedendo che cosa era mai accaduto.
Lara e l’amica si guardarono con un sorriso maligno: poco prima esse dicevano male di quel giovine: donde era sbucato? chissà che non le avesse intese! Ne parlavano male, perchè quello là era davvero uno strano tipo; non rimaneva mai in società con gli altri bagnanti, ma vagava sempre, chissà dove, con un libro sotto il braccio, e non lo si vedeva ritornare che a sera tarda, e se rimaneva qualche minuto con gli altri cristiani, sulla spiaggia, non parlava, non parlava che di politica o di questioni sociali, senza mai ridere, senza mai scomporsi. Aveva soprattutto uno strano lentissimo muover di capo, che dava proprio ai nervi alle due amiche; del resto, Lara lo ascoltava volentieri quando parlava di problemi sociali, di eguaglianza, di democrazia, lui che pareva un duca, tant’era aristocratico nel vestire e nei modi, e spesso le pareva di vederlo dietro di sè e di Mariarosa quando sole passeggiavano nella pianura. — Chissà se anche questa volta non stesse dietro di loro! Ma perchè le pedinava?
Era proprio noioso! Egli si credeva d’essere interessante, e invece era semplicemente antipatico... A Lara non piaceva punto; pallido in volto, i capelli neri, la barba mefistofelica, pure nera, corta, gli occhi anche neri, tutto nero, il vestito, il cappello, probabilmente anche l’anima, signore Iddio!...
E che nome brutto, che nome volgare, specialmente per Lara, che amava i nomi continentali, aristocratici e gentili come il suo, o piuttosto come quello con cui si faceva chiamare!
Nunzio!... Ah, ah! Nunzio! Quando ricorreva la sua festa? Forse all’Annunziata? — Ogni volta che lo vedeva, Lara si sentiva una voglia pazza di ridergli in viso; un giorno gli aveva chiuso la finestra in faccia, perchè lui dalla spiaggia stava a contemplarla mentre essa si pettinava vicino al davanzale, in camiciuola bianca e a braccia nude; e quella sera, quando egli sbucò fuori dalla macchia, chiedendo che cosa succedesse, fu per rispondergli:
— Dica un po’, signor Nunzio, faccia i fatti suoi e vada per la sua via invece di venirci sempre fra i piedi!...