Fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi/Lezione XI

Lezione XI

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LEZIONE XI.

Azione fisiologica della forza di gravità, della luce, del calorico.


Abbiamo parlato fin qui della produzione del calore, dell’elettricità, della luce nel seno dei corpi organizzati viventi; dobbiamo ora occuparci dello studio dell’azione di queste forze su questi corpi.

Credo inutile di dirvi che per azione della gravità su i corpi viventi non intendo qui quella che dessa esercita sopra tutti i corpi in generale, e per cui questi abbandonati a sè stessi cadono alla superficie della terra, premono sugli appoggi, si reggono in equilibrio quando il loro centro di gravità è sostenuto. È questa l’azione generale della gravità cui obbediscono gli animali e i vegetabili, siano vivi o morti, come le pietre e i metalli.

Nella seconda parte di questo Corso vedremo più particolarmente, parlando della meccanica e dell’idraulica animale, qual sia l’influenza che ha la gravità nei movimenti dei solidi e dei liquidi animali.

È di un solo caso speciale che presentano i vegetabili che io voglio parlarvi in questa Lezione, nel quale è impossibile di non scorgere l’effetto della gravità. [p. 145 modifica]

In generale tutti i germi dei vegetabili si sviluppano, mostrando nelle radici la tendenza a discendere, nel caule la tendenza a salire. L’esperienza ha provato che non è l’umidità del terreno, non l’azione della luce o dell’aria atmosferica sul caule e sulle foglie, che cagionano questa opposta tendenza nello sviluppo della radice e del caule. La radice di una pianta continua a scendere, e il caule a salire, benchè l’umidità e il contatto del terreno siano portati artificialmente più tosto sul caule, che sulla radice, e benchè la luce agisca più su questa che sul caule. Dobbiamo a Knight alcune ingegnose esperienze le quali, se non hanno intieramente svelato questo mistero, hanno di certo provato resistenza d’una delle cagioni cui è dovuto un tal fenomeno. Hunter il primo facendo ruotare intorno ad un asse orizzontale un barile pieno di terra nel cui centro erano alcune fave, vidde, continuando per molti giorni la rotazione, che la radice si dirigeva sempre parallelamente all'asse di rotazione. Knight fissando convenientemente fagioli o fave sulla periferia d’una ruota, tenendo questi semi costantemente bagnati, e facendo girare rapidamente la ruota per molto tempo, ha veduto che, essendo la ruota verticale, le radici delle pianticelle si dirigevano verso la circonferenza, mentre i cauli si volgevano verso il centro; se la ruota era orizzontale, la radice ed i cauli si dirigevano obliquamente, fuggendo sempre le prime verso la circonferenza della ruota. Dal che ne viene, combinando questo secondo fatto di Knight col primo, che l’ordinaria direzione delle radici e dei cauli delle piante è influenzata dalla gravità, che la radice ed il caule si dirigono obliquamente nella seconda esperienza, per collocarsi fra la posizione orizzontale che tende a dar loro la forza centrifuga e la posizione verticale che prenderebbero naturalmente.

Evidentemente i fatti di Hunter e di Knight non possono spiegarsi senza ammettere: 1.° uno stato più o meno liquido delle nuove parti della giovine pianta; 2.° una densità [p. 146 modifica] diversa nelle diverse parti di questa stessa pianta; 3.° che nelle radici si portano, almeno da principio, le parti più dense del nuovo vegetabile. Viene da ciò che nel caso della ruota verticale le parti della giovine pianta, risentendo la sola azione della forza centrifuga, si sviluppano avendo le loro parti più dense, ossia la radice, alla circonferenza, e che nella ruota orizzontale prendono una posizione intermedia fra quella dovuta alla forza centrifuga e quella che prenderebbero obbedendo alla sola gravità.

Dutrochet, senza niegare l’influenza della gravità sulla direzione ordinaria della radice e del caule, ammette ancora una seconda cagione di questo fenomeno, dipendente dal disuguale sviluppo del sistema cellulare del caule e della radice, e dalla diversa turgescenza che l’endosmosi produce nelle cellule di questo sistema. Avremo occasione più opportuna di ritornare sopra questo soggetto.

Diciamo ora della luce.

Poco quasi nulla sappiamo dell’azione della luce sugli animali. Edwards ha provato che le uova delle rane si sviluppano meglio esposte alla luce che nell’oscurità, e che la conversione dei girini in rane si fa più presto e più completamente nella stessa circostanza.

I colori degli animali sono in generale tanto più vivi, quanto più l’azione della luce è intensa. Si è detto anche che la quantità d’acido carbonico esalato dalla cute d’un animale cresceva sotto l’influenza dei raggi solari. Ma intanto s’ignora quale spece di raggi, fra quelli che ci vengono dal sole, è cagione di questi effetti e non può dirsi per conseguenza se i medesimi siano dovuti all’azione chimica di alcuni di quei raggi.

L’azione della luce su i vegetabili è della massima importanza per la vita di questi esseri, ma tuttavia ancora oscura. È un fatto che la respirazione della pianta, cioè la scomposizione dell’acido carbonico operata dalle sue parti verdi, la fissazione dei carbonio e resalazioue dell’ossigene non [p. 147 modifica] avvengono che sotto l’influenza della luce solare: invece nell’oscurità la pianta assorbe l’ossigene, svolge acido carbonico. Alla luce i vegetabili si colorano, si induriscono i loro tessuti, mentre nell’oscurità si scolorano, s’allungano, si fanno flosci. Una luce artificiale molto viva agisce, benchè più debolmente, come la luce solare. Non abbiamo che un solo fatto che possa rischiarare in qualche modo questa singolare azione della luce su i vegetabili. Si è visto in questi ultimi tempi, facendo imagini col daguerrotipo, che le parti verdi dei vegetabili, come in generale tutti i corpi verdi, non si ottengono, lo che non avviene degli altri oggetti che hanno altri colori. E poichè è ben provato che la cagione della formazione delle imagini col noto processo di Daguerre risiede nell’azione dei raggi chimici della luce solare, conviene ammettere, che le parti verdi del vegetabile assorbono questi raggi completamente, È quindi naturale il supporre che la produzione della materia verde nei vegetabili e la straordinaria proprietà di questa sostanza a scomporre sotto l’azione della luce l’acido carbonico, fissando il carbonio ed esalando l’ossigene, sia dovuta all’azione chimica di alcuni dei raggi solari. Quanto all’ossigene assorbito e all’acido carbonico esalato nell’oscurità dobbiamo credere, che questi effetti sieno indipendenti dallo stato di vita. Vedete però dal poco che ho potuto dirvi sopra un soggetto così importante, quanto ancora rimane a sapersi. Qual è realmente il principio chimico immediato che così agisce nelle piante, che è capace di un’azione chimica, la di cui intensità non ha esempio nelle affinità chimiche ordinarie le più forti? Qual parte ha l’organismo in questa azione? Ho provato ad esporre alla luce in un pallone pieno d’acqua acidulata con acido carbonico alcune foglie assai triturate, e non ho ottenuto traccia alcuna d’ossigene, mentre in altro simil apparecchio, in cui le foglie erano intatte, l’ossigene non tardò a mostrarsi. Vorrei però veder variate ed estese queste ricerche per ben stabilire l’influenza [p. 148 modifica] dell’organizzazione sulla respirazione vegetabile. Converrebbe anche sapere in quale stato si riduce il carbonio che rimane dalla scomposizione dell’acido carbonico, e se l’ossigene che rimane da questa scomposizione è immediatamente esalato del tutto, o se non lo è che in parte. Sono queste alcune fra le molte questioni delle quali i Chimici ed i Fisiologi dovrebbero seriamente occuparsi.

Si è parlato in questi ultimi tempi dell’influenza dei diversi raggi dello spettro solare sulla germogliazione. Si è detto da alcuni osservatori che i raggi violetti e chimici la favorivano, da altri si è detto il contrario. Questa contradizione ci mostra la necessità di nuove e più esatte ricerche.

Non avendo agito coi raggi semplici dello spettro solare, ma invece con raggi colorati ottenuti dal passaggio della luce solare attraverso a vetri di diverso colore, non è difficile lo scorgere la cagione delle differenze trovate dai diversi sperimentatori. In generale un raggio che traversa un vetro colorato ordinario è lungi dall’esser privo da raggi di altro colore, diverso da quello che mostra.

Vi parlerò infine dell’influenza del calore sui corpi organizzati viventi.

La temperatura è forse la prima condizione dello stato di vita. Questo stato è difatti compreso fra certi limiti di temperatura al di là dei quali non vi è esempio di sviluppo e di conservazione di vegetabili o di animali. Possiamo ammettere, quanto a questo modo generale d’agire del calore, che la sua azione si spiega nella produzione dei fenomeni fisico-chimici che avvengono nel seno di tutti i corpi viventi.

Sappiamo oggi che tutte le azioni di contatto non avvengono che ad una data temperatura. Abbiamo visto in queste Lezioni in quanti fenomeni dei corpi viventi intervengono le azioni di contatto, ed il poco che sappiamo sopra questo soggetto ci fa intravedere tutto quello che ancora ci rimane a sapere. [p. 149 modifica]

La fecondazione dei vegetabili, la germogliazione non s’operano senza calore, e le azioni di contatto v’intervengono. Chi oserebbe negare che nella fecondazione degli animali, in cui la temperatura è pure un elemento essenziale, non v’intervenga un azione di contatto?

Lo sviluppo di uno e più spesso di un gran numero di esseri, operato dall’azione di un corpo ben distinto da quello che si sviluppa, che basta alla sua funzione con una piccolissima quantità della sua sostanza, è qualche cosa d’analogo alle fermentazioni.

Indipendentemente da questa maniera generale d’agire del calorico sui corpi viventi, e su cui vi ho accennato alcune viste ipotetiche, dobbiamo studiare più particolarmente la sua influenza sugli animali.

È dal classico libro De l’influence des agens physiques sur la vie che trarrò le cognizioni le più importanti sopra questo soggetto. Edwards ha provato a sommergere nell’acqua di fiume naturalmente aerata diverse rane ed ha veduto che se la temperatura dell’acqua era a 0° questi animali vivevano per lo spazio di otto ore 5 alla temperatura di +10° non vissero che sei ore; a +16° due ore 5 a +22° da 70 a 35 minuti; a +32° da 30 a 12 minuti; e a +42° la morte era subitanea.

La grande influenza che piccolissime differenze di temperatura presentano sulla vita della rana non possono attribuirsi alla diversa quantità d’aria che alle diverse temperature è sciolta nell’acqua. Si sa infatti che questa quantità varia pochissimo nelle diverse stagioni dell’anno, mentre abbiam visto che le differenze di temperatura delle diverse stagioni producono effetti distintissimi sulla vita delle rane sommerse nell’acqua.

Quanto più la temperatura del mezzo in cui questi animali vivono è elevata, tanto è più grande la quantità di aria che respirano; e quella che è disciolta ordinariamente nell’acqua, benchè rinnovata, non è sufficiente. [p. 150 modifica] Le rane non vivono sommerse nell’acqua che a temperature molto basse, altrimenti vengono alla superficie e respirano l’aria atmosferica. Anche i pesci presentano fenomeni simili a quelli che abbiamo notato nelle rane. Nei pesci sommersi in una quantità d’acqua aerata che non sia in contatto dell’atmosfera, la durata della vita si prolunga tanto più, quanto più è bassa la temperatura dell’acqua stessa.

Abbiamo veduto in un’altra Lezione verificarsi questa legge sulla torpedine, la quale immersa nell’acqua calda presto vi moriva, dando fortissime scariche, mentre viveva lungamente, dando poche e deboli scariche, nell’acqua fredda. La relazione trovata fra la respirazione e la temperatura del mezzo in cui vivono gli animali, di cui si è parlato, non è che una nuova prova della natura chimica di questa funzione.

L’uomo, ed i mammiferi in generale, possono sopportare temperature molto più elevate. È famosa l’osservazione di Tillet e Duhamel i quali videro una giovane rimanere per 12 minuti in un forno in cui la temperatura fu da essi trovata di 128° C. Delaroche e Berger hanno introdotto conigli, gatti e diversi altri animali vertebrati in una stufa riscaldata da +56° a +65°. Questi animali vi perirono dopo pochi minuti. I detti osservatori hanno conchiuso da un gran numero di esperienze, che i vertebrati esposti ad un’aria secca e calda a +45.° C. sono prossimi al limite di temperatura in cui è ad essi dato di poter vivere. Sembrerebbe dunque che per l’uomo solo questo limite sia più elevato; difatti, oltre al caso già citato, vi sono altre osservazioni, sull’esattezza delle quali non può cader dubbio. Dobson racconta d’un giovine che stette in una stufa a +98°,88 per 20 minuti, mentre il suo polso da 75 pulsazioni che dava ordinariamente per minuto, giunse a 164. Berger rimase per 7 minuti nell’aria a +109°, e Blagden in quella a +127°. [p. 151 modifica]

Non è più così se l’aria è allo stesso tempo riscaldata e umida. Lo stesso Berger, già citato, non resse più di 12 minuti in un bagno di vapore, la di cui temperatura erasi innalzata da 47°,25 a 53°,75. La temperatura che può sostenere un uomo immerso nell’acqua liquida e riscaldata è anche minore di quella che sopporta in un bagno di vapore. Vedremo fra breve le cagioni di queste differenze.

Era importante di ricercare le variazioni della temperatura propria degli animali esposti a diversi gradi di calore. Limitandosi alle ordinarie variazioni di temperatura proprie delle stagioni e dei climi, il calore del corpo umano è sensibilmente costante. Francklin osservò per il primo che la temperatura del suo corpo era 35°,55, mentre quella dell’aria era 37°,77. Se ne concluse da ciò, che gli animali a sangue caldo hanno la facoltà di mantenersi a un grado di temperatura inferiore a quella del mezzo in cui si trovano. Conveniva però vederle se in mezzo a temperature molto più elevate di quella dell’uomo, la temperatura del corpo subiva variazioni. Delaroche e Berger viddero accrescersi di 5° la temperatura in uno di essi per esser stato otto minuti in una stufa calda a 80°. Ripeterono essi tali sperienze sopra mammiferi ed uccelli, e si assicurarono che l’esposizione di tali animali in un aria secca e riscaldata grandemente produceva una elevazione nella loro temperatura, la quale però non poteva oltrepassare, senza produrre la morte, i 7° o 8° C.

Bastano le cognizioni elementari della Fisica a spiegarci gli effetti della temperatura esteriore sul calore degli animali. La formazione del vapore acqueo, il quale esce costantemente per la cute d’un animale, è una continua cagione di raffreddamento dell’animale stesso. Ecco perchè nell’aria molto calda e secca la temperatura dell’animale non s’innalza tanto, come quando [p. 152 modifica] quest’aria è carica di vapore. V’è in ogni animale una produzione continua di calore e una cagione costante di raffreddamento, e la sua temperatura si conserva, non risente gli effetti delle temperature esteriori molto elevate al disopra della propria, perchè la cagione del suo raffreddamento è tanto più energica, quanto è più alta la temperatura esteriore, e inversamente.

Edwards ha fatto un grandissimo numero di esperienze affine di stabilire se v’era differenza nel raffreddamento indotto in un animale immerso nell’aria più fredda di esso, secondo che era umida o secca, e ne ha conchiuso che il raffreddamento era lo stesso nei due casi. Se si considera che l’aria umida conduce il calore meglio dell’aria secca può spiegarsi questo resultato di Edwards dicendo, che il raffreddamento prodotto dalla più grande evaporazione nell’aria secca ha potuto esser compensato dal freddo dovuto al contatto dell’aria umida. V’è invece una differenza considerevole nel raffreddamento d’un animale, secondo che l’aria è agitata o calma. Nell’aria tranquilla e a una temperatura inferiore a quella del nostro corpo, noi perdiamo calore, per l’evaporazione, per il contatto dell’aria e per l’irraggiamento. La perdita per irraggiamento non è influenzata dalla natura e dalla presenza del gas, per cui l’agitazione del gas istesso non modifica questa perdita. Non è così della perdita che si fa per l’evaporazione e per il contatto dell’aria, la quale aumenta colla velocità del vento. Questi risultati sono evidentemente una conseguenza delle leggi fisiche del raffreddamento dei corpi per l’evaporazione. Parry racconta d’avere spesso sostenuta senza incomodo una temperatura di 17°,77 C. sotto lo zero ad aria calma, mentre una brezza di -6°,66 gli era molestissima. Il chirurgo della celebre spedizione del capitano Parry racconta che ad aria calma la sensazione prodotta [p. 153 modifica] da una temperatura di -46°,11 non era diversa da quella di -17°,77 nel tempo di brezza. Ne viene da questa osservazione che l’agitazione dell’aria produce una sensazione di freddo equivalente all’effetto d’un raffreddamento dell’aria di 29 gradi.