Favole per i Re d'oggi/Appendice/La Regina del Querceto
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LA REGINA DEL QUERCETO
Vedi laggiù quel breve querceto nero? Da secoli e secoli gli passano così sopra le nubi bianche, ridendo al sole.
So la storia di una di quelle querce. Mentre il suo vecchio tronco aveva combattuto contro mille uragani, sfrondato talora, mozzato de’ suoi rami, ma pur saldo sempre; le radici fedeli, pazienti, sobrie, infaticabili, avevano scelto i buoni succhi della terra per ispingerli su alto per entro le fibre secche fin su nei rami, fino all’ultime foglie, fino alle bacche cerule, fino alle tenere gemme.
Le cose camminavano così da molti secoli, quando tutto il querceto fu invaso da una curiosissima specie di bruchi rossi, pelosi, tutta bocca.
Appena arrivati, questi bruchi s’imbucarono sotto terra e incominciarono a gridare alle radici: — Sapete voi perchè state lavorando giorno e notte senza riposo? Sapete perchè vi si obbliga a sprofondarvi sin nelle viscere della terra, nè mai vi si concede di vedere la luce del sole? Sapete voi chi gode delle vostre oscure affannose fatiche? Non lo sapete? Ebbene ve lo diciamo noi: i porci! Sicuro! voi lavorate per nutrire quest’albero perchè si spanda e fruttifichi e dei frutti dei vostri sudori i porci s’ingrassano!
A questa straordinaria rivelazione rimasero tutte rintontite dalla maraviglia, le buone radici.
I bruchi rossi ne approfittarono subito per mettersi tranquillamente a mangiare alle loro barbe. Qualche radice volle sincerarsi: fece tanta forza di reni e tanto s’ingobbì che alla fine un bel giorno sbucò su tra l’erbe impaurite e vide.
Se ce n’eran di porci! e quanti! e come affondavano il grifo grugnendo!... e com’eran grassi. I bruchi rossi avevan detto la verità.
La nuova corse subito tra le radici della nostra bella querce, e ci fu subito gran subbuglio.
Allora i bruchi interruppero un momento il loro pasto per parlare con la conseuta facondia. E dissero: — Noi vi insegneremo che cosa avete da fare. Protendete le vostre rudi e oneste braccia sotto l’umida terra! Tutt’intorno voi troverete delle braccia sorelle che v’aspettano. Unitevi in patto con tutte le altre radici del querceto. Nè vi sembrino straniere se esse parlano una lingua che voi non capite: lo stesso servaggio, la stessa umiliante fatica, la stessa volontà di franchigia vi affratellano. Unite, voi sarete forti, invincibili! Se voi vorrete, il querceto intero non farà più una ghianda e i porci dovranno morir di fame o sloggiare.
Il trionfo oratorio fu enorme: le povere radici della nostra quercia si misero senz’altro per far quello che i bruchi avevan detto.
La felicità dei bruchi si potè misurare dal loro appetito diventato spaventevole. Dei buoni succhi della terra non salì più goccia per il tronco: le radici si ingrandivano si distendevano, intricandosi e districandosi in un tumultuoso groviglio serpentino, mentre i rami intristivano si nudavano e lasciavano cadere i loro frutti ancora acerbi, tra i lamenti di qualche vecchio usignolo fedele.
Le radici avevano ben altro da fare che veder questo scempio e udir questi pianti: incitate a parole e a morsi da quegli strani bruchi, brancolavano come ciechi briachi cercando invano sottoterra le promesse mani sorelle da stringere in un macabro patto di distruzione.
Ma ecco le prime bufere di settembre. Odor di battaglie nell’aria!
Quello che i pianti de’ rosignoli non avevan potuto fare, fecero bensì i primi sinistri schianti de’ rami seccati.
Le brancolanti disperse radici ebbero un brivido interminabile. Si ricordarono a un tratto di certe notti lontane passate tutte in un unico disperato sforzo di battaglia, aggrappate alla terra con mille mani, le membra tese dai disperati contorcimenti del tronco, tese fin quasi a lacerarsi.
Bastò: perchè tutte si dimenticassero a un tratto dei porci e dei bruchi, e s’accingessero, gonfie di furore, alla nuova pugna.
Le solite radici curiose s’affacciarono ancora una volta tra l’erbe per vedere, ma poco mancò non rimanessero secche dalla maraviglia e dal dispetto; mentre la povera quercia loro era ridotta da far pietà, l’altre nel frattempo eran cresciute in alto e in largo e facevano al vento un rumore minaccioso squassando i loro rami stracarichi di foglie e di frutti, superbe del loro rigoglio e della loro cresciura potenza.
— Per dio! Siamo state giocate! — dissero le buone radici, quando seppero di questo fatto. — Siamo state le sole di tutto il querceto a prendere sul serio le chiacchiere di quegli arrabbiati vermi!
I bruchi, questa volta, non credettero opportuno di parlare: seguitarono bensì a mangiare alla barba delle radici, ma senza nemmeno tirare il fiato.
In poco tempo la povera quercia ha dissetato le sue arse membra del buon nettare della concordia che le radici le han prodigato a gara, e rivive, e rigemma, e rinverdisce, e sotto la bufera è salda come un tempo. Le superbe vicine che avevano sperato di chiuderle presto il sole con le loro fredde ombre, impallidiscono d’invidia mentre ella si leva gagliarda e s’infronda e si carica di frutti e si riempie di canti, che sembra un miracolo!
Non crediate, buone radici, sui vostri frutti maturi si precipiteranno ancora gioiose schiere di porci. Che vi importa? Dopo, tutto fanno buon concio! Ma voi dovete lavorare al canto che vi vien dall’alto, per i nidi degli usignoli, per le soste delle aquile, per le merigge dei placidi armenti, per il sole, per il gran Sole che benedice le vostre fatiche.
E tu paziente compagno di cammino che m’ascolti, non maledire a quegli irrequieti rossi bruchi affamati: le nostre radici sono ingrandite e fortificate per loro. E di grandi e forti radici abbisogna la querce che deve crescere e maravigliare il mondo!
Oh! potessimo noi risalire questo poggio insieme tra cent’anni! Certo allora la riconosceremmo di lontano tra tutte, la più alta, la più grande, la più bella, la Regina del querceto, sotto il riso bianco delle nubi!