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136 | ercole luigi morselli |
I bruchi, questa volta, non credettero opportuno di parlare: seguitarono bensì a mangiare alla barba delle radici, ma senza nemmeno tirare il fiato.
In poco tempo la povera quercia ha dissetato le sue arse membra del buon nettare della concordia che le radici le han prodigato a gara, e rivive, e rigemma, e rinverdisce, e sotto la bufera è salda come un tempo. Le superbe vicine che avevano sperato di chiuderle presto il sole con le loro fredde ombre, impallidiscono d’invidia mentre ella si leva gagliarda e s’infronda e si carica di frutti e si riempie di canti, che sembra un miracolo!
Non crediate, buone radici, sui vostri frutti maturi si precipiteranno ancora gioiose schiere di porci. Che vi importa? Dopo, tutto fanno buon concio! Ma voi dovete lavorare al canto che vi vien dall’alto, per i nidi degli usignoli, per le soste delle aquile, per le merigge dei placidi armenti, per il sole, per il gran Sole che benedice le vostre fatiche.
E tu paziente compagno di cammino che m’ascolti, non maledire a quegli irrequieti rossi bruchi affamati: le nostre radici sono ingrandite e fortificate per loro. E di grandi e forti radici abbisogna la querce che deve crescere e maravigliare il mondo!
Oh! potessimo noi risalire questo poggio insieme tra cent’anni! Certo allora la riconosceremmo di lontano tra tutte, la più alta, la più grande, la più bella, la Regina del querceto, sotto il riso bianco delle nubi!