Favole (Fedro)/Libro secondo/IV - L'Aquila, la Gatta, e la Scrofa selvaggia

Libro secondo: IV - L'Aquila, la Gatta, e la Scrofa selvaggia

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Fedro - Favole (I secolo)
Traduzione dal latino di Giovanni Grisostomo Trombelli (1797)
Libro secondo: IV - L'Aquila, la Gatta, e la Scrofa selvaggia
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FAVOLA   IV.

L’Aquila, la Gatta, e la Scrofa selvaggia.

L’Aquila in cima d’una quercia annosa
     Fatto avea il nido. Una selvaggia Scrofa
     Depose i porcelletti a la radice:
     Nel cavo ch’è nel mezzo, partoriti
     5Avea una Gatta i pargoletti suoi,
     Che cotal camerata a caso unita
     Con arti scellerate, e rie disciolse.
     De l’Aquila s’aggrappa al nido, e oh quale
     Danno a te, dice, e forse a me sovrasta!
     10Col continuo scavar che fa la Scrofa
     La quercia atterrar vuol, sicchè cadendo
     I nostri figli uccida. A cotai detti
     De l’augel turba alto terrore i sensi.
     Allor l’astuta corre in ver la Scrofa;
     15E in gran periglio, dice, è la tua prole.
     Quando uscirai con essa a la pastura,
     L’Aquila è pronta a farne avida preda.
     La Gatta dopo aver anche costei

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     Ripiena di timor, s’intana e asconde;
     20Indi pian piano a la campagna uscendo,
     Giunta la notte, del trovato cibo
     Largamente se stessa, e i figli pasce:
     Qual timida il dì tutto osserva, e guata.
     L’Aquila intanto paurosa stassi
     25Su gli alti rami ad osservar la Scrofa.
     Questa, i figli perchè non le sien tolti,
     De la tana non esce. Indi ambe, e i figli
     Di pura fame morti, a’ suoi Gattucci,
     Lauto convito l’empia Gatta appresta.
          30* Stolta credulità quinci comprenda,
     Un frodolento qual ruina apporti.