Faust/Parte prima/Giardino
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Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
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GIARDINO.
MARGHERITA appoggiata al braccio di FAUSTO, MARTA
con MEFISTOFELE, passeggiando su e giù.
Margherita. Ben veggo ch’ella vuol usarmi cortesia; si umilia per farmi arrossire. I viaggiatori son soliti a mostrare condiscendenza, e pigliar per bene ogni cosa; ma io so che il mio povero discorso non può intertenere un uomo di tanta sperienza.
Fausto. Un tuo sguardo, una tua parola, mia cara, mi son più soavi che non tutta la saviezza che può insegnare il mondo. (Le bacia la mano.)
Margherita. Deh, non faccia! Come può ella degnarsi di baciare la mia mano, che è sì ruvida e brutta? Ma che non mi tocca fare in casa? E mia madre, per vero, è molto sottile. (Vanno oltre.)
Marta. E voi, mio signore, voi seguitate senza fine a viaggiare?
Mefistofele. Ohimè, le faccende e gli obblighi nostri ci astringono a questo! – Spesso egli è un dolor grande il doversi partire di alcuni luoghi, e nullameno non vi è nè via nè modo di rimanere.
Marta. Nel fervore degli anni debb’essere pien di diletto quell’andare qua e là senza impacci pel mondo; ma l’età grave vien via a gran passi, e non è finora tornato bene a nessuno il condursi celibe e solo verso il sepolcro.
Mefistofele. Ben dite: e con terrore io veggo dinanzi a me in lontananza quel triste termine.
Marta. Però, mio degno signore, consigliatevi in tempo. (Vanno oltre.)
Margherita. Sì, sì! lontano dagli occhi, lontano dal cuore. É vostra usanza il corteggiare; ma voi avete amici in quantità che hanno assai miglior senno e accorgimento di me.
Fausto. Dolce anima mia, credimi che quel che si vuol dire senno e accorgimento non è le più volte che vanità e cortezza d’ingegno.
Margherita. Come?
Fausto. Ah, il candore e l’innocenza saranno sempre ignari di sè medesimi, e del santo lor merito? Ed è pure strano che l’umiltà e la verecondia, preziosissimi fra i doni della benevola dispensatrice natura....
Margherita. Pensate a me alcuni istanti, ed io avrò ben tempo di pensare a voi.
Fausto. Voi siete sola sovente?
Margherita. Sì; è una piccola famiglia la nostra, e non di meno richiede molta cura. Non abbiamo fantesca; e spetta a me il far la cucina, spazzare, cucire, lavorar di calzette, e correre qua e là a tutte l’ore; e mia madre guarda fil filo ogni cosa. Non propriamente che ve la stringa il bisogno; chè anzi potremmo far più che altri. Mio padre ha lasciato un bell’avere, una casetta e un orticello pochi passi fuor di città. Ora per altro io ho giorni tanto o quanto tranquilli: mio fratello s’è fatto soldato, e la mia sorellina è morta. Io ebbi per quella creatura i miei begli impacci, e tuttavia me li piglierei ancora tutti di buon animo, tanto io le voleva bene.
Fausto. Un angelo ell’era, se somigliava a te.
Margherita. Io l’aveva allevata ed ella pure mi voleva bene. Mio padre era morto di poco, quando ella nacque: e tememmo allora di perdere ancora nostra madre, tant’era ridotta a mal termine; e non si riebbe che passo passo a gran pena. E però dovè dimettere il pensiero di allattare quella povera bimba, e la trassi su io da me sola con latte ed acqua, e fu come mia. Io l’aveva tutto il dì in braccio, e la trastullava sul mio grembo; e a poco a poco si ravvivò, si abbellì, si fe grande e briosa.
Fausto. Certo tu allora provavi un dolcissimo contento.
Margherita. Ma e assai ore tristi ancora. La culla della piccina era a canto il mio letto, di modo ch’ella non potea pur muoversi, ch’io non mi destassi. Ed ora bisognava darle bere, or coricarlami a canto; e quando non voleva chetarsi, levarmi su, e ballarla innanzi e indietro per la camera: e la mattina sul fare del dì andarmene al lavatoio, e poi al mercato, indi correre a casa; e via via ciascun giorno di un modo. A simil vita, caro signore, non si va sempre di buona voglia; nondimeno se ne gusta meglio il mangiare e il dormire. (Vanno oltre.)
Marta. Le povere donne ne capitano spesso assai male, chè ravviare un vecchio scapolo non è cosa facile.
Mefistofele. Non so s’io mi dica che solo una pari vostra potrebbe ridurmi a miglior senno.
Marta. Ditemi schietto, signore; non vi ha mai dato nulla nel genio? non avete ancora collocato in nulla il vostro cuore?
Mefistofele. Dice il proverbio: Casa propria e donna savia valgono più che l’oro e le gemme.
Marta. Voglio dire, se non vi sentiste mai nascer dentro qualche viva propensione.
Mefistofele. Io fui accolto da per tutto assai cortesemente.
Marta. Io voleva dire, se non vi entrò mai alcun serio proposto nel cuore.
Mefistofele. Con le donne non si vuole scherzare.
Marta. Ah, voi non m’intendete!
Mefistofele. Io ne son dolente fuor di misura! Ma io intendo — che la vostra bontà è grande. (Vanno oltre.)
Fausto. E tu, mio bell’angelo, tu mi hai tosto riconosciuto, quando io misi il piè nel giardino?
Margherita. Non vedeste? Io chinai gli occhi in Terra.
Fausto. E tu mi perdoni, non è vero? Io fui bene sfacciato di appressarmiti a quel modo allorchè uscivi appena del duomo.
Margherita. Io rimasi attonita; chè mai non m’era occorso simil caso; e non ho mai dato che dire di me. Ohimė, io pensava, ha egli forse veduto nel tuo contegno alcun che di sconvenevole e di poco onesto? Gli è tocco a un tratto la fantasia, proprio come se credesse di aver a fare con una fraschetta. Ma il dirò io? Allora... allora cominciò a parlarmi nell’animo un non so che in favor vostro; ed io era malcontenta di me sentendo ch’io non sapeva essere malcontenta di voi.
Fausto. Gioia mia!
Margherita. Via, state un po’ cheto! (Coglie un fiore a stella e ne spicca ad una ad una le foglie.)
Fausto. Che n’ha a riuscire? un mazzolino?
Margherita. No; egli è un giuoco.
Fausto. Come?
Margherita. Oh, andate! Voi vi burlereste di me. (Sfoglia il fiore, e mormora sommessamente.)
Fausto. Che vai tu mormorando?
Margherita con più chiara voce. Egli mi ama — egli non mi ama!
Fausto. Cuor dell’anima mia!
Margherita continuando. Mi ama — non mi ama. — Mi ama — non mi ama — (spiccando l’ultima foglia con soave gioia) Egli m’ama!
Fausto. Sì, mia fanciulla; la parola di quel fiore ti affidi, simile ad una voce che ti scendesse dal cielo. Egli ti ama! E intendi tu, fanciulla, che vuol dire: Egli ti ama?
Margherita. Io sono atterrita.
Fausto. Oh, non tremare! E questi nostri sguardi, questo stringere delle mani ti dicano quello che da nessuna parola può mai essere espresso. Abbandonarsi pienamente all’amore; inebbriarsi delle sue voluttà; e durare in eterna beatitudine! eterna! Oh, disperazione, s’ella potesse mai aver fine! No, non avrà mai fine! mai fine! (Margherita gli stringe le mani, sciogliesi da esso, e fugge via. Egli sta un istante sopra pensiero, indi la segue.)
Marta, venendo innanzi. Si fa notte.
Mefistofele. Sì, e noi ce n’andremo.
Marta. Io vi richiederei di rimanere più a lungo; ma siamo in paese assai maligno. Egli par che nessuno abbia altro da fare che spalancar gli occhi sui passi altrui, e dire de’ fatti del vicinato; e benchè vi diportiate bene, non c’è verso di scansare le male lingue. E la nostra giovane coppia?
Mefistofele. Se ne son iti a volo su pel viale di là. Sollazzevoli farfalle!
Marta. Pare ch’egli ne sia invaghito.
Mefistofele. Ed ella di lui. Così va il mondo.