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parte prima. 143

e ballarla innanzi e indietro per la camera: e la mattina sul fare del dì andarmene al lavatoio, e poi al mercato, indi correre a casa; e via via ciascun giorno di un modo. A simil vita, caro signore, non si va sempre di buona voglia; nondimeno se ne gusta meglio il mangiare e il dormire. (Vanno oltre.)

Marta. Le povere donne ne capitano spesso assai male, chè ravviare un vecchio scapolo non è cosa facile.

Mefistofele. Non so s’io mi dica che solo una pari vostra potrebbe ridurmi a miglior senno.

Marta. Ditemi schietto, signore; non vi ha mai dato nulla nel genio? non avete ancora collocato in nulla il vostro cuore?

Mefistofele. Dice il proverbio: Casa propria e donna savia valgono più che l’oro e le gemme.

Marta. Voglio dire, se non vi sentiste mai nascer dentro qualche viva propensione.

Mefistofele. Io fui accolto da per tutto assai cortesemente.

Marta. Io voleva dire, se non vi entrò mai alcun serio proposto nel cuore.

Mefistofele. Con le donne non si vuole scherzare.

Marta. Ah, voi non m’intendete!

Mefistofele. Io ne son dolente fuor di misura! Ma io intendo — che la vostra bontà è grande. (Vanno oltre.)

Fausto. E tu, mio bell’angelo, tu mi hai tosto riconosciuto, quando io misi il piè nel giardino?

Margherita. Non vedeste? Io chinai gli occhi in Terra.