Esperimento di traduzione dell'Iliade di Omero/Intendimento del traduttore
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INTENDIMENTO
del traduttore
Gli uomini nati alle belle arti cercano in Italia una versione corrispondente alla fama di Omero. Il Cesarotti, ingegno sommo dei nostri tempi, che poteva egregiamente tradurlo, elesse d’imitarlo; e forse fa sospettare che il padre de’ poeti non risponderebbe nelle sue bellezze natie. Risplende nondimeno in altre lingue, e credo che l’italiana più ch’altre possa assumere le virtù di Omero senza studio di ornarle, e i suoi difetti senza timor d’avvilirsi. Però imprendo a tradurre l’Iliade.
Le immagini, lo stile e la passione sono gli elementi d’ogni poesia — L’esattezza delle immagini Omeriche non può derivare a chi le copia se non se dalla teologia, dalle arti, e dagli usi di quell’età eroiche; nè io scrivo verso senza prima imbevermi a mio potere delle dottrine di tanti scrittori intorno ad Omero. Chi mi trovasse in ambiguità l’ascriva in parte alle tenebre di rimotissime tradizioni. — L’armonia, il moto, ed il colorito delle parole fanno risultare, panni, lo stile: l’armonia si sconnette nelle versioni, e le minime idee concomitanti d’ogni parola, e che sole in tutte le lingue danno tinte e movimento al significato primitivo, si sono smarrite per noi posteri con l’educazione e a metafisica di popoli quasi obbliati: i dizionari non ne mostrano che il vocabolo esanime1. Onde io, inerendo sempre al significato, mi studio di dar vita alle mie parole con le idee accessorie e con l’armonia che mi verranno trasfuse nella mente dall’originale.
Ma varie sono le tempre intellettuali d’ogni uomo; vario il valore di ciascuna parola, a chi troppo oscurata, a chi troppo magnificata dall’antichità; incostante la pronunzia delle lingue morte; diversi gli organi di tante orecchie nelle quali i versi suonano; quindi opposte sempre le sentenze sulla corrispondenza dello stile nei traduttori. Nè io mi lusingo dell’assenso comune; che anzi sospetto d’aver dato al poeta un andamento più concitato, ed alla lingua italiana certa affettazione di antichità e di sintassi greca. Ma se i disegni della mente partecipano del divino, la materia e i sensi con che si traggono sono, pur troppo, sempre umani. — Per la passione, elemento più necessario degli altri, e così universalmente diffuso nell’Iliade, s’io lascerò freddi i lettori, non sarà colpa dell’incertezza del gusto nè delle storie, ma tutta mia e della natura del mio cuore, del cuore che nè la fortuna, nè il cielo, nè i nostri medesimi interessi, e molto meno le lettere, possono correggere mai ne’ mortali.
E perchè i principi e gli autori non odono la verità nelle loro stanze, io pubblico questo saggio per valermi delle sentenze dei dottti, e del sentimento degl’ingegni educati. Ad agevolare il confronto stampo la traduzione letterale del Cesarotti2, postillando i passi ch’io per varietà di lezione o di congetture spiego altramente: le interpretazioni latine sono assai volte inesatte, noiose alla lettura, nè facili a tutti; e i grecisti che volessero giovarmi abbondano di testi. L’esame ch’io fo de’ traduttori, che soli fra tanti, o per necessità di versione o per favore di scuole, evitarono l’obblio, giustificherà, spero, l’impresa: continuando, non li nominerò più, che ad ogni modo le altrui colpe non mi sarebbero merito: Ma da quelle versioni, e da’ retori e rimatori di quell’età, parmi che senza l’Ossian del Cesarotti, il Giorno del Parini, l’Alfieri e Vincenzo Monti, la magnificenza della nostra poesia giacerebbe ancora sepolta con le ceneri di Torquato Tasso. Da indi in qua un secolo la inorpellò, e l’altro la immiserì: nè mancarono ingegni: ma le corti, le cattedre de’ regolari, e le accademie prevalevano: quindi molti i valenti, rarissimi i grandi. Forse l’Ossian farà dar nello strano, il Parini nel leccato, l’Alfieri nel secco, il Monti nell’ornato; ma le umane virtù non fruttano senza l’innesto d’un vizio: i grandi ingegni emuleranno; i piccoli scimiotteranno; e i mediocri, ammaestrati dallo studio a giudicare dell’arte, ma impotenti per natura a conseguirla, si getteranno come corvi sulle piaghe de’ generosi cavalli.
Note
- ↑ Alla voce fante la Crusca spiega: servidore - ancella soldato a piè - fanciullo - creatura umana - figura da giuoco. Ma nell’Alighieri è derivata da fari latino, ed è animata dalle idee concomitanti di qualificare l’animale umano dalla loquela, distinguendolo da ogni altra specie. Quando per volere del tempo la lingua italiana non risponderà che dai vocabolari, s’intenderà mai per essi quel verso di Dante, se oggi dobbiamo ribellarci da un’accademia di grammatici e investigarne il senso dalla filosofia e dalle radici d’un altra lingua? E i dizionari greci, non compilati, come i nostri tre secoli dopo la morte del nostro primo poeta, e nella sua patria, anzi incerti da quali etimologie derivasse la lingua d’Omero, basteranno forse a’ traduttori? Per tradurre quegli antichi poeti ci vuole molto greco, ma molto più d’orecchio e moltissima logica; e non per tanto andrà spesso a chi meglio indovina. Vedrai all’ultime pagine l’applicazione di questo parere,
- ↑ Noi l’omettiamo perchè ci siamo prefissi di dare quanto a Foscolo solo appartiene.