Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Non invanire della vittoria
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Del grande esercito de’ nemici, s’erano sottratti di là dal Giordano quindicimila; e, più dalla vergogna che dalla precipitosa fuga stanchi, giacevano confusamente, senza sospetto di nuova tempesta. Quand’ecco un lontano rumore a ogni momento approssimarsi, rumore di passi e d’armi. Ma gli uomini che sono usi alle liete fortune; la sventura par loro un sogno breve; e aspettano sempre di destarsi e scuoterla via da sè: tradiscono sè stessi con la speranza presuntuosa. Que’ Madianiti credettero fosse un’altra schiera de’ loro, scampata al macello: e chi sa non s’aspettassero di sentire che Gedeone e tutto Israello era vinto? Ma quando, al primo timido albore, e al silenzio minaccioso, conobbero la battaglia che veniva, sgomenti da quella stessa loro fidanza, si rimisero sconsigliatamente alla fuga. Gedeone li insegue buon tratto di via; prende i due capitani Zebeo e Salmana; e, stanco d’uccidere, e già sicuro della piena vittoria, si ferma, raccoglie i suoi, che, quasi veltri anelanti nel fervor della caccia, si sbandavano alla strage dei fuggenti: li raccoglie; e, innanzi che il sole sorgesse, ritorna.
I figliuoli d’Israello, liberati per mano di Gedeone, gli dissero: «Sii tu, Gedeone, signore nostro, tu e il figlio tuo, e il figliuolo del figlio tuo; giacchè ci hai liberati dalla forza di Madian». Gedeone rispose: «Non sarò io, no, signore vostro; nè signor vostro sarà il figlio mio; ma regni solo il Signore Iddio sopra voi».
Poteva Gedeone, onorato di tanti segni col favore divino, stimarsi idoneo a reggere il popolo d’Israello, anco ch’eglino non gli si profferissero ubbidienti: poteva, per amore de’ proprii figliuoli, volere quella potestà, e, come segue, confondere la vanità propria con l’affetto patrio e col paterno. Ma Gedeone pensò: «Altro è vincere una battaglia, altro è governare una gente. Buon guerriero può essere reggitore cattivo. E quand’anco io sapessi, chi dice a me e a questo popolo, che mio figlio saprà? Che il figliuolo di mio figlio saprà? E s’egli fosse imbecille? o pauroso? o sospettoso? o (Dio liberi) bindolo? Bell’onore a me e a lui! Di mia mano l’avrei messo in alto per fare infame il mio sangue, e perchè tutto il popolo d’Israello, passando lungo il luogo della mia sepoltura, dicesse parole di dolore o di sdegno. No, no, non è affare per me». E rifiutò il potere proffertogli, come l’uomo rifiuta un cibo messogli innanzi amorevolmente, che è buono a vedere, ma si sa di certo che non si potrà digerire. E fece benissimo.
Sovente, però, chi resiste alle maggiori tentazioni, dalle più piccole non si riguarda: ch’anzi si tiene come in facoltà di cedere a quelle. Disse Gedeone agli uomini del suo popolo: «Sola una cosa domando: datemi gli orecchini che avete presi al nemico» (perchè quella gente portava agli orecchi campanelline d’oro). E gli uomini d’Israello risposero: «Volentieri». E stesero un gabano per terra, e vi gettarono tutti gli orecchini tolti ai nemici o morti o presi; e che in tutto pesavano millesettecento pesi d’oro fine, senza contare le collane e gli altri adornamenti d’oro, e le vesti di porpora che portavano i re e i signori di Madian, e senza le collane d’oro che pendevano al collo di que’ cammelli tanti. Gedeone non prese che gli orecchini, e ne fece un efod, e lo mise per memoria in Efra, la città ch’egli stava. Era l’efod un paramento sacro, tessuto con fila d’oro e di roba finissima a varii colori fiammanti; e due piastre con opere di rilievo: e nel mezzo aveva due pietre preziose, e scritto in quelle i nomi delle tribù d’Israello: sei nomi in una pietra, sei nell’altra, secondo l’ordine che erano nati i figliuoli del Patriarca Giacobbe. Erano incastonate nell’oro le piastre. Il sacerdote portava dinnanzi al Signore sopra l’uno e l’altro omero per memoria i nomi de’ figli e delle tribù d’Israele. E gli uncinelli eran d’oro, e pendevano da due catenelle d’oro. Il paramento che Gedeone fece, non sarà stato per l’appunto come quello del gran sacerdote; ma il popolo, prese a tenerlo per cosa sacra; e col tempo se ne servirono a superstizione e al culto degl’idoli vani. Ecco, la vanità di Gedeone quanto male portò a tutto un popolo senza volerlo. La sua memoria si sarebbe molto bene conservata senza ninnoli d’oro; e le trecento trombe che squillarono nella notte tremenda, erano trecento voci che sempre avrebbero nelle generazioni lontane accompagnato quel grido: Spada di Dio e di Gedeone. E gli alberi della valle ove fu la disfatta, gridavano anch’essi: A Dio e a Gedeone. E ogni pietra del colle echeggiava così. E se tutti quelli che si pensarono di affidare a monumenti di materia costosa il nome loro, si fossero piuttosto fidati alla riconoscenza e contentatisi d’una memoria semplice e da poveretti; avrebbero alla intenzione loro stessa provveduto assai meglio; perchè quella memoria semplice non stuzzicava le ladre avidità. All’incontro, i ricchi monumenti ne vanno, prima o dopo, rubati e guasti da mani straniere, o da’ posteri stessi sconoscenti e ignoranti, con grande vergogna del paese, e con rammarico di chi lo ama e l’onora.