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che gli orecchini, e ne fece un efod, e lo mise per memoria in Efra, la città ch’egli stava. Era l’efod un paramento sacro, tessuto con fila d’oro e di roba finissima a varii colori fiammanti; e due piastre con opere di rilievo: e nel mezzo aveva due pietre preziose, e scritto in quelle i nomi delle tribù d’Israello: sei nomi in una pietra, sei nell’altra, secondo l’ordine che erano nati i figliuoli del Patriarca Giacobbe. Erano incastonate nell’oro le piastre. Il sacerdote portava dinnanzi al Signore sopra l’uno e l’altro omero per memoria i nomi de’ figli e delle tribù d’Israele. E gli uncinelli eran d’oro, e pendevano da due catenelle d’oro. Il paramento che Gedeone fece, non sarà stato per l’appunto come quello del gran sacerdote; ma il popolo, prese a tenerlo per cosa sacra; e col tempo se ne servirono a superstizione e al culto degl’idoli vani. Ecco, la vanità di Gedeone quanto male portò a tutto un popolo senza volerlo. La sua memoria si sarebbe molto bene conservata senza ninnoli d’oro; e le trecento trombe che squillarono nella notte tremenda, erano trecento voci che sempre avrebbero nelle generazioni lontane accompagnato quel grido: Spada di Dio e di Gedeone. E gli alberi della valle ove fu la disfatta, gridavano anch’essi: A Dio e a Gedeone. E ogni pietra del colle echeggiava così. E se tutti quelli che si pensarono di affidare a monumenti di materia costosa il nome loro, si fossero piuttosto fidati alla riconoscenza e contentatisi d’una memoria semplice e da poveretti; avrebbero alla intenzione loro stessa provveduto assai meglio; perchè quella memoria semplice non stuzzicava le ladre avidità. All’incontro, i ricchi monumenti ne vanno, prima o dopo, rubati e guasti da mani straniere, o da’ posteri stessi sconoscenti e ignoranti, con grande vergogna del paese, e con rammarico di chi lo ama e l’onora.