Esempi di generosità proposti al popolo italiano/La speranza generosa/II
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E qui fermiamoci a considerare come questo fatto, fecondo d’ammaestramenti a ciascun uomo e alle intere nazioni, e ai governanti ed a’ popoli, contenga insieme una prova splendida della missione divina di Mosè, e del divino carattere de’ suoi libri. Aveva egli quest’uomo alcuna ragione d’utile proprio per trattare il suo popolo a questa maniera? Aveva egli la facoltà d’avverare il suo vaticinio? Non lo potevano o tosto o tardi smentire i casi? Non lo poteva smentire il suo popolo stesso insofferente di quei rimproveri, da quella sconfitta provocato? Il cenno d’un solo uomo poteva forse impedire a tanta moltitudine già irritata, e tante altre volte indocile, che di nuovo non ascendesse e non affrontasse il nemico? Tra tanti audaci, e che prima e poi, si mostrarono non codardi, non si poteva egli trovare uno che si facesse guidatore o per ambizione, o per vanità, o per devozione al comune onore, o per zelo, com’egli l’avesse inteso, della gloria di Dio scemata da quella rotta in cospetto delle genti infedeli? E non poteva Israello invocare alleanze valide, promettendo che si partirebbe la preda? Come non è sorto in mente a nessuno cotesto pensiero? Donde mai, in popolo così fluttuante di dubbi, tanta fede nella religione propria, ne’ proprii fratelli, nel proprio destino? E chi gliela ispirava cotesta fede, e chi l’ha coronata? E’ egli questo il prestigio d’un uomo tante volte contradetto, e contradicente anch’egli con le dubbiezze sue al cenno di Chi l’aveva inviato? Chi disse a lui che nessuno di quella turba fiorente di vita avrebbe passato il Giordano; nessuno se non due uomini soli, uno de’ quali a quell’ora aveva già quarant’anni? E che tante migliaia più giovani lascerebbero nella sterile solitudine le forti ossa loro? E, se non volgersi alla terra sperata, non potevan eglino tutti, o parte di loro, riprendere la via d’Egitto, e ritornare alla servile infingardaggine, desiderata? Non s’è egli visto moltitudini intere, o una parte di loro, imprecare alla liberazione o prossima o già conseguita, e fare sforzi per ricadere nella condizione di prima? Mosè poteva predire ch’egli non toccherebbe la terra promessa, perchè in suo arbitrio era il morire; ma era egli in suo arbitrio il far morire i compagni suoi, e vivere esso per quarant’anni ancora, infin che l’ora segnata nell’alto suonasse alla sua fine insieme e al principio della sua nazione? Chi congegnò queste cose? chi le disse a lui? chi le fece? Ed egli, il legislatore amato e temuto, il giudice sovrano, il capitano liberatore, doveva nel libro contenente la legge scrivere la confessione del suo proprio fallo, del non avere anch’egli creduto, dell’essere un momento, anche lui, stato di dura cervice e vile; e imporre a sè stesso la pena, e tramandarne, insieme con le memorie della propria grandezza, la memoria ne’ secoli. Governanti che dispregino e conculchino chi li ubbidisce fedele e credulo, che del disprezzo dell’umana natura facciano a sè grado e armatura e ornamento, pur troppi esempi ne abbiamo; ma ditemi dove un uomo che tanto s’innalzi sopra i suoi pari, e tanto si appareggi con essi; che li riprenda durissimamente, e che tanto teneramente li ami e che riprenda umilmente se stesso con tale sentimento della propria dignità? Dove un popolo che nel libro della sua storia e della sua fede, soffra tanto acri giudizi di sè e nel ripeterli ponga la sua consolazione e la gloria mentre che altre nazioni, quando credono a favole, e se le foggiano, non lo fanno se non per adulare sè stesse e i torti propri, palliare? Non son opera d’uomo nè tali fatti nè tali parole. E le parole son più che fatti; giacchè questi le seguono ubbidienti.