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in popolo così fluttuante di dubbi, tanta fede nella religione propria, ne’ proprii fratelli, nel proprio destino? E chi gliela ispirava cotesta fede, e chi l’ha coronata? E’ egli questo il prestigio d’un uomo tante volte contradetto, e contradicente anch’egli con le dubbiezze sue al cenno di Chi l’aveva inviato? Chi disse a lui che nessuno di quella turba fiorente di vita avrebbe passato il Giordano; nessuno se non due uomini soli, uno de’ quali a quell’ora aveva già quarant’anni? E che tante migliaia più giovani lascerebbero nella sterile solitudine le forti ossa loro? E, se non volgersi alla terra sperata, non potevan eglino tutti, o parte di loro, riprendere la via d’Egitto, e ritornare alla servile infingardaggine, desiderata? Non s’è egli visto moltitudini intere, o una parte di loro, imprecare alla liberazione o prossima o già conseguita, e fare sforzi per ricadere nella condizione di prima? Mosè poteva predire ch’egli non toccherebbe la terra promessa, perchè in suo arbitrio era il morire; ma era egli in suo arbitrio il far morire i compagni suoi, e vivere esso per quarant’anni ancora, infin che l’ora segnata nell’alto suonasse alla sua fine insieme e al principio della sua nazione? Chi congegnò queste cose? chi le disse a lui? chi le fece? Ed egli, il legislatore amato e temuto, il giudice sovrano, il capitano liberatore, doveva nel libro contenente la legge scrivere la confessione del suo proprio fallo, del non avere anch’egli creduto, dell’essere un momento, anche lui, stato di dura cervice e vile; e imporre a sè stesso la pena, e tramandarne, insieme con le memorie della propria grandezza, la memoria ne’ secoli. Governanti che dispregino e conculchino chi li ubbidisce fedele e credulo, che del disprezzo dell’umana natura facciano a sè grado e armatura e ornamento,